Giornalismo
Sforza: “Ucraina, il germe dell’indipendenza non muore mai”
Il suo sogno era diventare professoressa, ma alla fine seguí il consiglio del padre e divenne giornalista.
Da sempre alla Stampa si è occupata di cronaca, poi è stata corrispondente dall’estero e oggi è direttrice di Tuttolibri e di Specchio, i due inserti culturali della Stampa. Incontro Francesca Sforza nella redazione del quotidiano a Torino, per parlare di Russia e Ucraina, di cultura e GPA.
Sei stata inviata in Cecenia alla fine degli anni ’90, quali similitudini e quali differenze vedi nell’attuale conflitto in Ucraina?
Quando sono stata lì, Putin diceva che la Cecenia si stava normalizzando, in realtà era un disastro, accadevano cose tragiche, sparizioni, ragazzi che venivano sequestrati e uccisi nella notte e dei quali non si sapeva più nulla, manifestazioni represse e degenerate nel sangue, una situazione drammatica. Quando sono stata in Ucraina, più tardi, ho rivisto il germe ceceno, che è nello spazio post sovietico, quello dell’indipendenza, un germe difficile da fermare, la Cecenia non ce l’ha fatta suo malgrado, ma anche se non ci torno da molto tempo sono convinta che l’indipendentismo non abbia smesso di resistere. Il germe dell’indipendenza non è una cosa che si può uccidere, si può spezzare, interrompere, mettere in galera, non si può sterminare completamente e l’Ucraina è la dimostrazione che quando scatta l’ora dell’indipendenza è difficile tornare indietro. Le storie sono diverse perché la Cecenia voleva essere indipendente e l’Ucraina è stata invasa, ma sempre la Russia si è imposta con il peso della sua forza, incurante delle realtà che andava a sterminare.
Qual è il ruolo della cultura nella società contemporanea?
I continui dibattiti sull’egemonia culturale che stanno anche un po’ inquinando il nostro dibattito pubblico dimostrano che la cultura è fondamentale, sarebbe sbagliato associarla ad un mucchio di libri. La cultura ha un grande indotto, per un grande Paese è un asset, è un coefficiente di crescita di una società. Tutti coloro che hanno in qualche modo a che fare con la cultura, sentono di partecipare ad un disegno più grande che è quello della trasmissione di quello che sanno e in questa trasmissione c’è un passaggio da una generazione all’altra. Si partecipa così ad un progresso, proprio nel senso letterale. Non è così per tutte le cose, altri settori della società hanno davanti il breve o il medio termine, mentre chi fa cultura pensa a trasmettere qualcosa dopo di sé, questa è la grossa differenza, e non mi sembra di poco conto.
Prendendo spunto dal Tuttolibri che parlava della tendenza letteraria degli ultimi anni di scrivere di fascismo, ti rigiro una domanda che è presente nel numero “Cosa rimane del fascismo nel subconscio collettivo degli italiani? E aggiungo io, che ruolo ha la politica di oggi nella costruzione di questo subconscio?
È stato il numero di Tuttolibri più politico da quando sono alla direzione, è stato anche molto criticato, ma è proprio come io intendo il giornalismo culturale, cioè questo tipo di giornalismo deve entrare con forza nei dibattiti del Paese e ha un strumento meraviglioso per farlo che è quello dei libri. I libri sono un luogo dove oramai le persone riversano le loro riflessioni, quasi tutti scrivono libri, c’è un grandissimo bacino e allora in questa fase non notare la quantità di libri che hanno come oggetto il fascismo significa non avere gli occhi aperti. Se il giornalismo culturale ha un difetto è quello di essere troppo culturale e poco giornalistico. Il lavoro che invece sto cercando di fare è quello di equilibrare le due cose, portare un po’ più di giornalismo nella cultura, perché il giornalismo, nel suo modo a volte di tagliare le cose con l’accetta ha un suo filo conduttore, che è quello di intercettare il sentimento e l’interesse del lettore, che viene suscitato da una cosa vera. Riguardo a “più fascismo o meno fascismo” se ne può discutere, ma mi piace di più che le voci si animino, che ci siano e siano diverse. L’altro difetto che trovo nel giornalismo culturale, e se posso dire anche nel giornalismo cosiddetto femminile, è un po’ di conformismo: mi piace la forza degli argomenti, non dell’aggressività. E mi interessa strutturare e avere delle idee che suggeriscano degli spunti non piatti, non banalizzati dalla ricerca di stare a tutti costi dalla parte giusta. Talvolta non è che “non si può dire”, a volte anche se lo dici o non lo dici non cambia niente, quindi forziamolo un po’ questo “non si può dire” … E chi può farlo se non chi ha con la parola una pratica, una prossimità maggiore? Il giornalismo culturale ha un grande compito, non può rinchiudersi sempre nell’ovvio, sono i giornalisti culturali che devono forzare i limiti dell’ovvio.
GPA reato universale è l’ultimo colpo che il Governo ha tirato ai diritti civili. Secondo il New York Times siamo in fondo alla classifica delle libertà civili, peggio dell’Ungheria se parliamo di diritti LGBTQ. Secondo te perché questo accanimento? Se si tratta solo di propaganda, quanto pesa allora il livello culturale del nostro Paese?
Pesa tantissimo, in questo c’è ancora molto da fare, non siamo all’altezza degli standard dell’Unione Europea, ed è desolante che nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei nostri luoghi ci siano ancora delle discriminazioni sul colore della pelle, sull’orientamento sessuale. Mi piace molto l’espressione americana color blind, una società che è cieca rispetto al colore, nel senso che ti guarda come persona. E’ chiaramente un’ovvietà, ma per renderla digeribile e digerita, ci vuole un lavoro complesso, che non vuol dire essere tutti gentili e carini, ma avere la forza di cambiare punti di vista. Io esempio ho fatto una rubrica su Specchio, “la spettatrice nera” a cura di Igiaba Scego, una scrittrice afroitaliana che ogni settimana offre un punto di vista diverso. Una volta per esempio ha scritto che non è vero che gli afroamericani sono in quanto tali progressisti, spesso sono molto conservatori, perché vengono da una cultura di segregazione. Questo è un ragionamento che contribuisce all’abbassamento del livello di arretratezza, che è la vera cosa che genera la discriminazione.
Quali politiche dovrebbero essere messe in atto per alzare il livello culturale del nostro Paese?
Ho un’autentica fissazione per la scuola, avendo tre figli ho visto molte scuole, penso che la scuola sia obiettivamente abbastanza disastrosa. In Italia può esserci, se hai la fortuna di capitarci, una classe buona, con dei bravi insegnanti e una gestione funzionante, e poi c’è tutto il resto, questo perché funzionano le persone, ma non funziona il sistema. La formazione è quella cosa da cui comincia tutto, se abbiamo un Paese meno colto, più arretrato, che legge meno libri è perché la scuola ha sbagliato qualcosa. Il nostro Paese deve investire nella scuola, che non vuol dire solo dare più soldi, perché se questi servono per comperare i banchi a rotelle è tutto inutile, bisogna investire sul capitale umano, altrimenti siamo destinati a contribuire all’abbassamento del livello culturale generale.
L’intervista completa a Francesca Sforza sarà pubblicata nella seconda metà del 2025 in un libro intitolato “Giornaliste Italiane” un progetto nato con l’editore Luca Sossella e che comprende già un primo volume “Giornalisti Italiani” nelle librerie in questi giorni. L’idea è quella di proseguire il viaggio, iniziato con i giornalisti, attraverso la storia del giornalismo italiano e del nostro Paese, dagli anni ’70 a oggi. Come già successo per le interviste ai giornalisti, anche per questo secondo volume, alcune parti delle interviste alle giornaliste, soprattutto quelle che riguardano argomenti di attualità, saranno pubblicate in anteprima su GliStatiGenerali.
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