Giornalismo

Ghidini, Radio Popolare “A Milano la politica deve farsi carico dei cambiamenti sociali in atto”

2 Gennaio 2025

Appassionata di storia, soprattutto della Resistenza, da quasi 10 mesi dirige la radio in cui 26 anni fa ha iniziato a lavorare, dopo la scuola di giornalismo. Lorenza Ghidini è la prima direttrice di Radio Popolare, la incontro nel suo ufficio e parliamo di temi a lei molto cari, come il femminismo, Milano e Licia Pinelli. Questa è solo un’anticipazione di un’intervista integrale che sarà pubblicata nella seconda metà del 2025, in un libro intitolato “Giornaliste Italiane” un progetto nato con l’editore Luca Sossella e che comprende già un primo volume “Giornalisti Italiani” attualmente in libreria. L’idea è quella di proseguire il viaggio, iniziato con i giornalisti, attraverso la storia del giornalismo italiano e del nostro Paese, dagli anni ’70 a oggi. Come già successo per le interviste ai giornalisti, anche per questo secondo volume, alcune parti delle interviste alle giornaliste, soprattutto quelle che riguardano argomenti di attualità, saranno pubblicate in anteprima su GliStatiGenerali.

Prima direttrice della Radio, come sono andati questi 10 mesi? 

Io sono qui dal 1998 e la stragrande maggioranza delle persone che vedi sono qui da tanti anni, quindi non è stato facile trovare la giusta via per rapportarsi con loro nel modo diverso e che ti viene richiesto dal ruolo di direttrice, sono persone con cui ho lavorato fianco a fianco per molto tempo. In questo, come in altre cose, rivendico il fatto che un approccio femminile possa fare la differenza. In tutti i posti di lavoro esiste un tema di cura delle relazioni che diventa centrale, perché la completezza delle informazioni, la gradevolezza delle nostre trasmissioni, il fatto di azzeccare la costruzione di un palinsesto, sono tutte questioni importanti, più tecniche, più politiche, ma poi all’interno di un gruppo di lavoro il tema della cura delle relazioni è centrale. É fondamentale anche l’attenzione all’equilibrio di genere nella nostra messa in onda, con le nostre voci, ma anche con quelle dei nostri interlocutori ed interlocutrici. Avere una trasmissione di un’ora e mezza in cui tutti gli ospiti sono maschi, non si può e non si deve più fare, è possibile fare una trasmissione giornalistica di un’ora e mezza in cui tratti tre argomenti, senza che ci sia una donna che sia in grado di parlare di nessuno di quei tre argomenti? È questo il messaggio che rischia di passare se gli interlocutori sono tutti maschi, o anche se le donne parlano di temi femminili come la maternità, la scuola, i figli, l’educazione, la violenza sulle donne, vuol dire che questi sono temi a loro riservati, mentre di politica, di economia, di estero possono parlare solo gli uomini, questa cosa è tipica in molte redazioni. Quando vengo invitata in alcune trasmissioni televisive sono sicura che questo avvenga in forza della mia posizione di direttrice donna, in quota rosa, ma io sono felice che sia così, si apre una possibilità per Radio Popolare in virtù del fatto che anche nelle redazioni degli altri si percepisce che non si può più ignorare che perseguire questo equilibrio sia una cosa fondamentale, in questo momento nel nostro Paese. Ci tengo molto anche se è una battaglia faticosa, molto graduale, devo dire però che questo concetto delle quote impone degli spazi che altrimenti non si aprirebbero.

Spesso quando si parla di patriarcato si dice che il problema sia la mancanza di donne nei piani decisionali nel vostro settore, soprattutto nelle redazioni e a livello editoriale, perchè sono proprio i vertici che prendono la decisione della linea editoriale, la gerarchia delle notizie e di come vengono date. Ora in Radio Popolare c’è una direttrice donna, tu, e già da dieci anni Catia Giarlanzani, come amministratrice delegata di Errepi Spa, si notano già dei cambiamenti?

 Catia ha avuto un percorso abbastanza lungo per arrivare dove è arrivata e la sua competenza parla per lei. Quando è diventata amministratrice delegata non c’era ancora tutta questa sensibilità sul tema, dopo il nostro storico amministratore, Sergio Serafini, il testimone è passato ad una donna esclusivamente per la sua competenza. Le direttrici donne sono poche, non solo nel giornalismo, questo è un problema trasversale in tutto il mondo del lavoro, anche nella politica, tra destra e sinistra, è inutile continuare a raccontarci che a sinistra siamo più bravi, più sensibili, la verità è che abbiamo predicato bene e razzolato male, guarda i partiti, è arrivata prima la destra ad avere una leader donna, questo in tutto il mondo, non solo in Italia, quindi questo pregiudizio nei confronti della capacità delle donne esiste anche a sinistra, il patriarcato non è qualcosa di alcuni, fa parte della cultura occidentale, magari in altri luoghi va anche peggio, ma da noi non possiamo negare che questo arroccamento esiste.

10 mesi fa hai dichiarato che Radio Popolare doveva tornare a occuparsi del territorio ed effettivamente lo state facendo, quali sono secondo te le sfide più grandi su cui si gioca il futuro di Milano?

Quelle di cui abbiamo parlato, voglio tornare sulla questione del Corvetto. Nonostante la storia di questo ragazzo, Ramy, e l’epilogo drammatico della sua vita, non centri granché con il tema dell’integrazione, con la separazione della vita nelle periferie, si trattava infatti di un ragazzo completamente integrato, con un lavoro a tempo indeterminato come elettricista, non parlava nemmeno arabo, la nostra città è alle prese con grandi cambiamenti e se la politica e l’associazionismo non si fanno carico di tenere agganciati tutti sarà un problema. Di fianco al Corvetto c’è lo Scalo Romana, dove stanno costruendo il villaggio olimpico, un quartiere in grande spolvero, qui le strutture dopo i Giochi ospiteranno uno studentato con prezzi concordati con l’amministrazione e già pubblicati che, nonostante vengano chiamati calmierati, saranno comunque molto onerosi, diventerà quindi uno studentato per studenti ricchi. È chiaro che a due passi dal Corvetto i cittadini vedranno avvicinarsi la città dei ricchi, i residenti vedranno accorciarsi le distanze, non possiamo più parlare di periferie quando la linea gialla della metropolitana collega Corvetto al Duomo in soli 15 minuti. Più sarà evidente questo divario tra Scalo Romana e Corvetto, popolato da famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese, più il problema si acuirà e dovrà essere compito della politica governarlo. In Corvetto ci sono molte associazioni attive, molti oratori che fanno un ottimo lavoro ma non basta, l’amministrazione pubblica deve fare la sua parte. 

Licia Rognini Pinelli cosa ha significato per te?

Licia, come la vicenda Pinelli in generale, è un’eredità che mi sento di aver avuto da Piero Scaramucci, per il suo legame con la vicenda, per il libro che ha scritto con Licia “Una storia quasi soltanto mia”, lui è stato sempre molto presente nelle lotte e nelle battaglie per la verità sulla morte di Pino Pinelli, in quella notte del 1969. Quando sono arrivata alla radio ero un’appassionata lettrice di storie legate ai misteri d’Italia, dal caso Moro, alla strage di piazza Fontana, la strage di Bologna. A Radio Popolare questa passione si è trasformata in una passione politica e siccome Scaramucci arrivava da quella storia sono stata fortunata ad aver avuto il privilegio di lavorare con lui. Quando si è aperto l’ultimo processo della strage di Piazza Fontana, ho chiesto se potevo seguirlo personalmente, sono stata a quasi tutte le udienze del processo, per me coniugare le mie passioni con il mio lavoro è stato un privilegio. Licia l’ho conosciuta tramite Piero Scaramucci quando fu invitata al Quirinale, dall’allora Presidente Napolitano, era una persona riservatissima, non partecipava nemmeno ad eventi pubblici sulla storia di Pino, venne qui a Radio Popolare per riparlare con gli ascoltatori del libro “Una storia quasi soltanto mia” ripubblicato da Feltrinelli. Negli anni a seguire ho avuto anche l’opportunità di conoscere le sue due figlie, Claudia e Silvia, che oggi portano avanti la ricerca di giustizia per Pino.

 Come cambierà il progetto Europa con l’elezione di Trump? 

Vedo il progetto a rischio, nonostante lo stesso non si sia proprio realizzato come i grandi padri fondatori l’avevano pensato, siamo rimasti lontani da un progetto di vera unione politica. Con Trump e con le destre che viaggiano con il vento in poppa in Europa vedo il rischio che la UE non si rapporti con gli Stati Uniti come un insieme, ma che ciascuno dei leader di queste destre, che hanno simpatia per il presidente neoeletto, si rapporti con lui singolarmente, per trattative volte ad esempio a non subire dazi eccessivi sui propri prodotti nazionali, e che questo vada ulteriormente a scapito della coesione europea e del progetto comunitario.

Scioperi di questi giorni qual è la tua idea sulle dichiarazioni di Landini

 Rivolta sociale è un’espressione che non dovrebbe nemmeno essere commentata, ci si rivolta, si protesta verso le cose che si ritengono ingiuste, andando nelle piazze. Vogliamo pensare che per una frase del genere il sindacato, nella persona di Landini, abbia chiamato ad una rivolta violenta? Negli anni ’70 il sindacato ha pagato con i suoi stessi uomini e i suoi funzionari il fatto di aver sempre difeso le istituzioni democratiche, se c’è una realtà che nel nostro Paese è veramente al di sopra della possibile contiguità, vicinanza e tolleranza verso la violenza politica è proprio il sindacato. Rivolta sociale vuol dire che certe cose non ci stanno bene e quindi è giusto dirlo, ci ribelliamo a questo stato di cose, come? Scendendo in piazza, scioperando, gli strumenti sono questi.

 

 

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