Diritti
Il caso UNRWA a Gaza: punire tutti per educarne uno?
“L’Unione Europea è uno dei principali fornitori di aiuti umanitari a Gaza, e il supporto dell’Europa continuerà ad arrivare senza interruzioni attraverso le organizzazioni partner dell’UE. Al momento, non sono previsti versamenti di fondi a UNRWA fino a fine febbraio. Per questo, prima di prendere una decisione, l’UE aspetterà di vedere quale sarà il risultato delle indagini sui dipendenti accusati di aver preso parte agli attacchi del 7 ottobre. Solo allora l’Unione deciderà se bloccare o meno i fondi per l’Agenzia ONU. Nel frattempo, si ringrazia UNRWA per le informazioni messe a disposizione, e si accoglie con favore l’apertura delle indagini da parte delle Nazioni Unite.” E’ con queste parole che, lunedì 30 gennaio, la Direzione generale per la protezione civile e le operazioni umanitarie dell’Unione Europea ha dichiarato che, a seguito della bufera scatenata dalle inchieste di New York Times e Washington Post riguardo al possibile coinvolgimento di alcuni dipendenti UNRWA nelle azioni di Hamas, l’Unione Europea non smetterà, per il momento, di finanziare l’organizzazione umanitaria operativa a Gaza.
All’indomani dello scoppio del conflitto tra la confusione, gli scontri e i disaccordi che fin da subito si erano scatenati vi era un solo aspetto sul quale, sembrava, si fosse tutti d’accordo: l’imprescindibilità di fornire aiuti umanitari a Gaza. Era il 22 dicembre quando il Consiglio di Sicurezza ONU ordinava “misure urgenti per consentire immediatamente l’accesso degli aiuti umanitari” (si era capito subito, infatti, che Netanyahu, colto nel vivo su intelligence e sicurezza, difficilmente avrebbe acconsentito a un ‘cessate il fuoco’ prima di aver portato a termine la sua “vendetta”), e la società civile si mobilitava, seguita dalle istituzioni, affinché nel disastro della guerra profughi e civili – soprattutto, palestinesi – potessero reggere il peso del conflitto in “condizioni sostenibili” – se di ‘sostenibilità’ si può parlare, certo.
Così all’indomani del 7 ottobre, mentre nei palazzi e nelle piazze si discuteva sulla necessità di prendere posizione nel conflitto, partivano alla volta di Gaza i volontari di MSF, Croce Rossa e Save the Children, seguiti dagli operatori di diverse altre organizzazioni internazionali e non governative di stampo umanitario finanziate da privati e istituzioni per portare aiuti emergenziali e assistenza di base ai profughi di Gaza.
Tra queste, la principale era l’UNRWA. Nata nel 1948 per realizzare programmi di assistenza, sviluppo e lavoro per i rifugiati palestinesi, l’UNRWA è un’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite operativa tra Siria, Libano, Gaza, Giordania e Cisgiordania. A differenza dell’UNHCR, che si occupa della tutela dei rifugiati del mondo, l’UNRWA è dedicata esclusivamente al popolo palestinese: quanto al motivo di questa separazione (è importante precisarlo, visto che è stato chiesto: “Perché i palestinesi hanno un’agenzia ONU dedicata?”), il fatto che se l’UNHCR ha, tra i poteri del proprio mandato, quello di assistere i profughi nel reinsediamento nei loro territori, l’UNRWA questo potere non ce l’ha – e questo perché, al momento della creazione, il dibattito su quali fossero i “territori” da attribuire al popolo palestinese era ancora più che mai confuso. Al lavoro su assistenza, formazione, sicurezza e sviluppo (altra doverosa precisazione: tutte queste informazioni sono disponibili sul sito ufficiale dell’organizzazione, che fa capo direttamente all’ONU), l’UNRWA si fonda su quattro c.d. “principi umanitari”: come si legge nel suo manifesto, è nella missione di UNRWA intervenire con umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza, ponendo la sicurezza e il rispetto dell’individuo al centro. “In assenza di una soluzione al problema dei 5 milioni di rifugiati palestinesi, l’UNRWA lavora per creare le condizioni necessarie per garantire loro uno standard di vita dignitoso”, si legge sul sito di UNRWA. In quest’ottica, l’Agenzia fornisce istruzione, assistenza sanitaria, soccorso, infrastrutture, microcredito ed interventi di emergenza – perché “investire nello sviluppo umano dei rifugiati palestinesi significa investire nella pace, e la pace comincia qui”.
E’ per assicurarsi una maggiore efficacia sul territorio che UNRWA lavora soprattutto con personale palestinese (di oltre 30mila dipendenti, 13mila sono residenti a Gaza – e i funzionari internazionali sono circa 300), impegnandosi tuttavia ad agire in maniera apolitica, pragmatica e neutrale. In nome della sua neutralità, essa deve evitare in ogni modo di interferire con le dinamiche sociali e politiche interne al popolo palestinese, limitandosi a fornire aiuti, risorse e assistenza di base (quindi no, non è vero che “ai sensi del suo mandato l’UNRWA era tenuta ad evitare che Hamas si armasse”).
Tenuta ad agire nello scacchiere internazionale in assoluta trasparenza, l’UNRWA rende noti con cadenza annuale i suoi finanziatori: così, sempre sulla pagina ufficiale, si legge come tra i suoi principali sostenitori vi siano Stati Uniti (nel 2022, gli USA hanno versato all’UNRWA 393.9 milioni di dollari), Germania (202.1 milioni di dollari) e Unione Europea (114.2 milioni di dollari), seguiti da una serie di altri Stati perlopiù facenti parte dell’area UE – ad eccezione di Giappone, Arabia Saudita e Turchia – tra i quali spicca, al 14 posto tra Regno Unito e Danimarca, l’Italia (15.9 milioni di dollari, nel 2022).
Ed è sempre l’Italia che ha deciso, insieme a Stati Uniti, Canada, Australia, Regno Unito, Germania, Paesi Bassi, Svizzera e Finlandia, di sospendere immediatamente i finanziamenti all’organizzazione a seguito delle pesanti accuse ricevute da Israele il 24 gennaio: “Il governo italiano ha sospeso finanziamenti all’Unrwa, dopo l’atroce attacco di Hamas contro Israele del 7 ottobre” ha annunciato su X il Ministro Tajani, supportato dall’intero esecutivo del Governo Meloni “Insieme ai Paesi Alleati siamo impegnati nell’assistenza umanitaria alla popolazione palestinese, tutelando la sicurezza di Israele”.
Sicurezza di Israele la cui importanza, del resto, mai è stata messa in discussione da UNRWA e Nazioni Unite: risalgono a due giorni fa le dichiarazioni di Antonio Guterres a proposito della “necessità di far luce immediatamente sulle gravissime accuse rivolte ai dipendenti di UNRWA”, e la decisione di Philippe Lazzarini, Commissario Generale dell’Agenzia, di avviare una speciale procedura interna che permetta la quanto più rapida identificazione dei dipendenti possibilmente coinvolti negli attacchi del 7 ottobre. “Dei nostri 30mila dipendenti, sono 12 gli individui messi sotto accusa; di questi, 9 sono stati immediatamente individuati e licenziati da UNRWA, uno è stato dichiarato morto e gli altri due sono attualmente in corso di identificazione. […] Assicuriamo che ogni dipendente ONU che si scoprirà implicato in atti di terrorismo sarà oggetto di procedimento penale, e siamo pronti a collaborare con le autorità competenti per fare in modo che ciò avvenga nel modo più rapido. Nel frattempo, però, chiediamo ai governi di non bloccare arbitrariamente i fondi a UNRWA, perché è da noi che dipende la sopravvivenza di due milioni di civili”.
Sopravvivenza che, nel frattempo, a Gaza si fa sempre più difficile, mentre il numero dei morti continua a salire e la situazione si aggrava sempre di più: le notizie che arrivano dalle zone del conflitto sono drammatiche e le poche organizzazioni che rimangono, a fatica, operative sul territorio sono ormai allo stremo. “Siamo enormemente preoccupati per la decisione dei governi di sospendere i finanziamenti a UNRWA, principale fornitore di assistenza per milioni di palestinesi a Gaza. Oltre due milioni di civili, di cui più della metà sono bambini, dipendono dal sostegno dell’UNRWA a Gaza. Così, la popolazione rischia di morire di fame […]” è l’appello lanciato da più di venti ONG umanitarie agli Stati, mentre la Corte Internazionale di Giustizia ribadisce la necessità di adottare un’azione immediata ed efficace per garantire la fornitura di assistenza umanitaria ai civili di Gaza.
“Sbloccate i fondi, così paga Gaza. Se lo 0,09% dei nostri dipendenti ha sbagliato perché punire tutti?” ha ugualmente dichiarato ieri Tamara Alrifai, direttrice delle comunicazioni UNRWA “Tagliare i nostri fondi non è la soluzione. Noi siamo la più grande agenzia umanitaria di Gaza, gestiamo milioni di persone che sono state costrette a lasciare le loro case. Se andiamo avanti così, in un mese non saremo più in grado di lavorare, e Gaza si trasformerà in inferno”. E poi, chiedendoci uno sforzo di immedesimazione: “Al momento, in UNRWA lavorano 300mila dipendenti. Gli individui messi sotto accusa sono 12. Ora, prendiamo la Polizia italiana. Mettiamo che si scopra che qualche agente sia coinvolto in una terribile strage. Che cosa fate? Tagliate i fondi alle forze dell’ordine per punire l’errore di pochi?”
No, vero?
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