Diritti
Unioni civili. La corsa ad ostacoli per uscire dal lungo letargo istituzionale
Donne, uomini, bambini, anziani, eterosessuali, omosessuali, transessuali, padri, madri, figli, nonni. Difficile tracciare un identikit preciso delle migliaia di persone che sabato 23 gennaio hanno preso parte alla manifestazione #Svegliatitalia organizzata da Arcigay e altre associazioni lgbt (ArciLesbica, Circolo Mario Mieli, Agedo, Famiglie Arcobaleno e Mit) a favore del ddl Cirinnà, sulle Unioni Civili. Il sit-in si è svolto contemporaneamente in oltre novanta piazze in Italia e all’estero (Londra, Berlino, Bruxelles, Limerick, Copenaghen e Francoforte) registrando complessivamente l’adesione, secondo gli organizzatori, di circa un milione di partecipanti. Fra questi anche l’onorevole Cirinnà che ha assicurato che “il ddl non sarà stravolto” poiché frutto di una lunga mediazione da “parte di parlamentari che, aldilà della loro appartenenza di partito, vogliono dare a questo paese una legge sui diritti”.
Numeri importanti che attestano il profondo desiderio di una parte della popolazione (che pare non essere più la minoranza) di cambiare rotta per permettere all’Italia di allinearsi finalmente con gli altri paesi dell’Europa occidentale (e non solo) in materia di diritti civili. In effetti, l’Italia registra un forte ritardo fra gli stati europei, se si pensa che già 15 paesi hanno legiferato in materia, fra gli ultimi la “cattolicissima” Irlanda, che l’anno scorso si è distinta per essere passata nel giro di 22 anni dalla penalizzazione dell’omosessualità alla legalizzazione del matrimonio fra persone dello stesso sesso, attribuendogli rilevanza costituzionale per via referendaria (oltre il 62% della popolazione si è espressa a favore), e la Grecia, dove il Parlamento ha approvato lo scorso dicembre a larga maggioranza (198 voti a favore contro 56 contrari) una legge che legalizza le unioni civili per le coppie omosessuali.
In entrambi i casi, i provvedimenti riguardavano esclusivamente l’equiparazione dei matrimoni (o unioni civili) fra coppie eterosessuali e omosessuali, senza però includere altre disposizioni sulle adozioni. In realtà in Irlanda il Children and Family Relationships Bill, la legge sulle adozioni da parte di coppie omosessuali, era stata approvata un mese prima dal Parlamento, con l’esplicito intento da parte del Governo di anticipare i tempi rispetto al referendum sul matrimonio gay, in modo da non permettere al fronte del no di utilizzare l’adozione come argomento contro.
In Italia, invece, il ddl Cirinnà punta a disciplinare contemporaneamente le unioni civili e la cosiddetta “Stepchild adoption”, ovvero l’adozione da parte del genitore “sociale” del figlio (biologico) del partner. Quest’ultima disposizione (già prevista dalla l. 184 del 1983 per le coppie eterosessuali), da giorni al centro di un accesso dibattito politico tra fronte laico e cattolico, rappresenta per molti il vero pomo della discordia su cui l’intero impianto del testo rischia di implodere. Partiti fortemente contrari come FI, FdI, NCD e Lega temono che questa disposizione possa incentivare la pratica dell’utero in affitto, attualmente vietata in Italia. Anche fra le fila del PD, i cattodem ne hanno chiesto addirittura lo stralcio, proponendo come alternativa un affido rafforzato, senza però alcun successo. Di diverso parere, invece, la presidente della Camera, Laura Boldrini, che ritiene l’adozione un “dovere morale”.
Altro grande ostacolo da superare sarà la libertà di coscienza, opzione sostenuta dal Governo e da altri partiti di opposizione, e il, molto probabile, voto segreto. C’è chi vede nel voto palese, come Matteo Orfini, “il naturale compimento del ddl”, temendo imboscate dietro l’angolo e chi, invece, ritiene che il voto segreto rappresenti un’opportunità per incassare un maggior numero di consensi proveniente da una frangia più eterogenea di parlamentari.
Ed infine, l’ostruzionismo in aula che si annuncia feroce, come dimostrano i tanti, troppi emendamenti presentati al Senato (circa seimila, di cui cinquemila soltanto della Lega). Tuttavia, con l’emendamento del senatore PD Marcucci, da molti etichettato già come “salva-Cirinnà”, si potrebbero far decadere molti di questi emendamenti (così come accadde con l’emendamento presentato dal deputato PD Cociancich durante il voto al Senato della riforma costituzionale).
L’apertura del dibattito in aula al Senato, prevista per il 28 gennaio, si profila, dunque, tutta in salita e piena di ostacoli, anche se il premier Renzi ha più volte auspicato che il disegno diventi legge “entro la metà di febbraio” trattandosi di un tema “non più rinviabile”. Pare che nelle ultime ore, che precedono il dibattito in aula, proprio il premier si stia spendendo per serrare i ranghi del partito, cercando di ricucire lo strappo con i cattodem. D’altronde, in gioco c’è la paternità di un testo che potrebbe, tramutandosi in legge, passare alla storia per aver mutato la società di questo paese e aver colmato un vulnus legislativo, che per troppo tempo la politica ha ignorato.
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