Diritti
Unioni civili: il paese che si fa i dispetti da solo
Sono eterosessuale, e ve lo scrivo nella prima riga. Che non si dica che solo gli omosessuali difendono il proprio diritto di un sentimento o di una fetta indispensabile della propria esistenza di esseri umani. Non ho nessun “orgoglio” etero, lo sono e basta e non lo considero nemmeno “giusto” o “regolare”. Non ho letto libri che raccontassero di errori di natura ma nemmeno mi è mai stata impartita a tavolino la lezione del siamo tutti uguali. Mi hanno solo abituato a guardare il mondo e a distinguere nettamente il bene dal male. Lo so e basta, lo capisco, lo immagino, lo spero. Questo dibattito sulle unioni civili – civili, che bella parola – che ogni tanto si riempie come un secchio immerso in un pozzo e gradualmente si svuota per tornare colmo fino all’orlo, un po’ mi annoia e un po’ mi inorridisce. Mi annoia perchè ho tanto la sensazione che stiamo allungando il brodo con le chiacchiere solo per rimandare un gesto di civiltà che dovrebbe venirci invece tanto semplice. Avete presente quando da ragazzini si faceva lo scherzo sotto al tavolo di annodare tra loro i lacci delle scarpe agli ospiti, sperando di farli cadere al primo passo? Ecco io l’Italia me la sto immaginando così: goffa, rallentata dai dispetti reciproci, sempre lì lì per cadere, mentre il resto del mondo (e dell’Europa) continua a camminare con più consapevolezza di sé, mostrando spesso un’arroganza che a noi piace usare solo in casa. Come sempre, di nuovo, l’abilità sta tutta nello spostare l’attenzione del tema centrale facendo scoppiare un dibattito alimentato da un giornalismo sempre più gossipparo e da un web che fa da fertilizzante. Così, la pubblicazione su gay.it dei nomi e cognomi di chi fa i lacci alle scarpe ad una legge che dovrebbe camminare spedita, diventa la notizia, lo scandalo, la gogna, il nuovo fascismo, anche se è accompagnata da un invito alla pubblica partecipazione e al confronto. Magari fosse sempre così: magari avessimo, per ogni gruppo di allacciatori di scarpe di ogni colore, partito e scranno, una lista trasparente con la quale parlare e alla quale poter dire “tu non mi rappresenti e non rappresenti l’Italia di oggi ma solo la tua voglia di dispetto”.
Stavolta nel mirino c’è la stepchild adoption, che non è la pura adozione da parte di coppia gay, giusto per fare chiarezza, ma è il meccanismo che permette a uno dei membri di una coppia di essere riconosciuto come genitore del figlio, biologico o adottivo, del compagno. E cosa c’è di meglio di avere solo un genitore? Io dico averne due che si vogliono bene. L’amore si moltiplica, non ha margini e argini, e nella storia di una famiglia fatta anche di responsabilità e necessità da condividere e poter distribuire in piena fiducia a seconda del bisogno, una legge come questa – figlia delle unioni civili – è preziosa.
Perchè, sorpresa delle sorprese, la procreazione sarà anche in mano a uomini e donne che assicurano discendenza ai popoli (detta così fa tanto Nuovo Testamento però avete capito il concetto), ma il mondo non è di proprietà di nessuno, essendo – fino a prova contraria – di tutti. Nessuno ha il diritto di decidere che sia giusto o sbagliato che persone dello stesso sesso esistano e decidano di condividere gioie e dolori nel modo più naturale che hanno, come fa ognuno di noi su questa terra. Nessuno può sentirsi investito di una superiorità sessuale, perchè allora dovremmo scagliarci contro le donne che non vogliono figli o gli uomini che fuggono da qualsiasi legame, o decidono che la soluzione sia averne ben più di uno.
Scrivo tutto questo a caldo, dopo essermi gustata Carol, un film che vi consiglio caldamente per tanti motivi. Se avete qualche barriera, la sua dolcezza ve la scioglierà come neve al sole. Forse non uscirete rinsaviti, ma una storia ben recitata, con una fotografia e una colonna sonora emozionanti dalla prima all’ultima scena, val sempre la pena. Non c’è dibattito che tenga, lì anche lo scandalo suscitato dall’amore tra due donne fatica davvero a vincere sul loro autentico bisogno l’una dell’altra. Come è giusto – e civile – che sia.
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