Diritti
Una rivoluzione dall’Argentina: gli animali hanno dei diritti
Lei non sa di essere stata al centro di una lunga battaglia legale, e neanche di essere passata alla storia. Ma è così. Cecilia, 19 anni, è la prima scimpanzé ad essere stata liberata grazie al principio giuridico dell’habeas corpus, previsto dalla Costituzione argentina e fino a oggi prerogativa esclusiva degli esseri umani. Per anni Cecilia era stata rinchiusa in una minuscola gabbia dello zoo argentino di Mendoza, in solitudine. Una settimana fa è stata trasferita nel rifugio di Sorocaba, in Brasile, dove si sta gradualmente inserendo tra i suoi nuovi “coinquilini”, una quarantina di scimpanzé.
A riconoscere a Cecilia la condizione di essere senziente e dotato di diritti non umani è stata la giudice María Alejandra Mauricio. «Durante questo caso è stato ampiamente provato che gli scimpanzé raggiungono le capacità intellettive di un bambino di 4 anni. Non si tratta qui di dotarli dei diritti che posseggono gli esseri umani, ma di accettare e capire, una volta per tutte, che sono esseri senzienti, e che hanno il diritto fondamentale a nascere, vivere, crescere e morire nell’ambiente che conviene alla loro specie» si legge nella sentenza.
«La giustizia argentina ha battuto sul tempo il resto del mondo, dando una lezione importante sulla protezione e concessione di diritti alle grandi scimmie», ha dichiarato in un comunicato Pedro Pozas Terrados, presidente del Great Ape Project (GAP) e principale promotore della richiesta di habeas corpus per Cecilia. In effetti sempre in Argentina, nel 2014, era stato riconosciuto lo stesso diritto a un altro primate, ma in quel caso si trattava di un orango
«Pur non essendo la prima nel suo genere, questa sentenza è molto importante – dice a Gli Stati Generali Federica Basaglia, docente di filosofia morale all’Università di Ferrara –. Riporta all’attenzione dell’opinione pubblica una questione, quella dei diritti degli animali, che secondo me non può essere ignorata da una società civile e giusta». Anche per Francesca Rescigno, docente di istituzioni di diritto pubblico all’Università di Bologna «è ormai tempo che gli ordinamenti giuridici si muovano riconoscendo anche agli animali almeno alcuni specifici diritti in quanto esseri senzienti. Il cammino è ancora molto lungo ma almeno per alcuni primati c’è un generale orientamento di favore. Spero che questa sentenza sia di buon auspicio per molte altre».
Fondato nel 1993 da due filosofi (l’italiana Paola Cavalieri e l’australiano Peter Singer) il GAP è la principale ONG che si batte per far riconoscere il diritto alla vita e alla libertà individuale (nonché la proibizione della tortura) anche alle grandi scimmie. «Allora sembrava qualcosa di utopico, ma oggi il progetto del GAP si sta rivelando in qualche modo attuabile, e questo dà grandi speranze – dice a Gli Stati Generali Luisella Battaglia, ordinaria di bioetica e filosofia morale dell’Università di Genova –. La sentenza su Cecilia viene a definire una soggettività animale intesa in senso sufficientemente pieno. È importantissima dal punto di vista etico, politico, filosofico».
Positivo è anche il parere di John Mitani, professore di antropologia all’Università del Michigan. «Mi occupo di scimpanzé da 40 anni, e ho imparato che sono creature estremamente intelligenti, con emozioni, sentimenti e desideri non così lontani dai nostri». Ma il docente avanza anche un interrogativo. «Le grandi scimmie non sono le uniche creature senzienti oltre a noi esseri umani. Penso ad esempio ai cetacei, agli elefanti, ad altre specie di primati. Dobbiamo estendere gli stessi diritti anche a loro? E se lo facciamo per loro, lo faremo per tutti gli altri animali?».
In effetti più la scienza avanza, più diventa chiaro che il nostro specismo è ingiustificato: gli elefanti e i cacatua hanno dimostrato capacità di problem solving straordinarie, è stato provato che i cani sentono empatia verso i loro simili, e che la teoria della mente (ovvero la capacità di immaginare cosa passa per la testa degli altri) non è un’esclusiva degli esseri umani. Lo stesso dubbio è condiviso da altri esperti, inclusa la stessa Battaglia. «L’unica perplessità che mi aveva suscitato la creazione del GAP era che privilegiava le grandi scimmie, e quindi l’elemento antropomorfico – osserva la docente –. Siamo sempre legati agli animali che ci somigliano di più, e in fondo l’ambiguo limite dell’umano è rappresentato proprio dalle grandi scimmie. Non dobbiamo dimenticare anche gli altri animali, che non ci somigliano tanto, ma hanno comunque bisogno di essere protetti e che gli si riconoscano dei diritti».
Lo zoo di Mendoza, dov’era tenuta Cecilia, era finito pure al centro di una campagna per far trasferire in un rifugio l’orso polare Arturo, soprannominato “l’orso più triste del mondo”. Come Cecilia, anche lui era tenuto chiuso in una gabbia estremamente piccola rispetto alle sue necessità, e con una piscina alta appena 50 centimetri dove cercare di trovare sollievo dai 40° delle estati argentine. Come la scimpanzé, anche Arturo era rimasto solo dopo la morte del suo compagno di gabbia, e da allora gli animalisti si erano sempre più preoccupati per l’orso, che secondo i veterinari dello zoo dava segni di depressione e, persino, di disagio mentale. Nonostante le molte campagne per il suo trasferimento al parco zoo di Assiniboine in Canada, per Arturo non c’è stato scampo, ed è morto l’anno scorso dopo aver trascorso in gabbia oltre 20 anni della sua vita.
Le vicende di Cecilia e Arturo hanno rimesso sotto i riflettori l’annosa questione morale inerente gli zoo. Dalla PETA alla ENDCAP, passando per Greenpeace, sono molte le ONG impegnate nella lotta per abolirli. Eppure, come spesso accade, non tutto è bianco o nero. «Credo che gli animali debbano essere rispettati, amati e conservati, e che debbano poter vivere la loro vita liberamente nei loro habitat naturali. Ma sono anche consapevole dell’importante ruolo educativo che gli zoo possono avere nel promuovere la conservazione degli animali selvatici – sottolinea Mitani –. Sono convinto che le persone siano pronte a tutelare gli animali se li comprendono e possono entrare in contatto con loro, cosa che la maggior parte della gente può fare solo attraverso gli zoo».
Per quarant’anni Mitani ha potuto osservare i suoi “oggetti di studio”, gli scimpanzé, in libertà. Oggi è membro del consiglio scientifico dello zoo di Detroit. «Negli Stati Uniti molti zoo donano una parte del loro budget ad attività di ricerca e conservazione; lo zoo di Detroit ad esempio dona oltre un milione di dollari. Questo è un altro modo in cui gli zoo possono dare una mano». Talvolta gli zoo, e i programmi di cosiddetto “accoppiamento in cattività”, sono considerati anche l’ultima speranza per sventare l’estinzione di alcune specie. Ad esempio le tigri di Sumatra, la cui popolazione è ormai ridotta sotto i 400 esemplari. Ma uno studio condotto da un team dell’università inglese di East Anglia nel 2015 ha messo in discussione anche l’impatto di questi programmi. «La migliore possibilità di salvare queste specie è rappresentata da una conservazione efficace» ha detto Paul Dolman, uno degli autori dello studio, in un’intervista.
In effetti, proprio la distruzione degli habitat è tra le cause principali dell’altissimo rischio di estinzione che corrono moltissime specie. L’allarme sui primati è stato dato proprio lo scorso gennaio: secondo uno studio pubblicato su Science Advances, circa il 60% dei primati in tutto il mondo è a rischio di estinzione. Tra quelli che se la vedono peggio ci sono i gorilla. Martha Robbins è direttrice della ricerca sui gorilla al dipartimento di primatologia del tedesco Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology. «C’è enorme preoccupazione sui gorilla – dice a Gli Stati Generali – sono minacciati dal bracconaggio, dalla perdita dell’habitat e anche dal grande rischio di contagio di malattie respiratorie umane, come l’influenza o il raffreddore. È cruciale conservarli e sensibilizzare la gente sul bisogno di tutelarli e sulle strategie per riuscirci».
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