Diritti

Un vulcano chiamato Siria

9 Marzo 2019

“Un aereo sorvolò la casa. Uscii insieme ad altri per osservarlo. La paura incombeva su di loro come un’ombra. Fu in quel momento, mentre guardavo il cielo, che compresi il significato di esilio e patria. Anche se avevo già attraversato clandestinamente il confine, solo in quel preciso istante mi resi veramente conto che era il mio paese quello che stavo osservando, con un aereo che volava sopra le nostre teste sganciando i suoi ordigni. Lo fissai risolutamente, senza alcun timore. Mentre lo osservavo passare sopra di me, ripensai a quella volta in cui ero seduta a Place de la Bastille, nel centro di Parigi, a sorseggiare il mio caffè sotto un sole tenue; gli innamorati alla mia sinistra si stavano scambiando effusioni, quando un passerotto era atterrato sul mio ginocchio facendomi sobbalzare in preda al panico: quella non era casa mia, era l’esilio” (Samar Yazbek)

 

Sei condotto sull’orlo del cratere di un vulcano e vieni invitato a guardare dentro.

Non puoi non sapere cosa vi troverai: l’inferno.

Così accade a chi voglia leggere il libro di Abdullah Alhallak, Un vulcano chiamato Siria.

Certo l’inferno della guerra siriana: iniziata nel 2011 e non ancora terminata. Ha fatto 400.000 morti (stime precise non ce ne sono), quasi cinque milioni di profughi siriani nel mondo e sei milioni di profughi interni. Viene indicata ormai come la più grande catastrofe umanitaria del nostro secolo.

Ma ben oltre questa guerra terribile e di proporzioni enormi, il libro di Abdullah ha un altro merito. Aiuta a gettare uno sguardo sulla storia pluridecennale della sanguinaria dittatura che governa la Siria dal 1971 in modo feroce e spietato.

Abdullah, la guida che conduce fino all’orlo del cratere, è un giornalista siriano, attivista del Partito comunista siriano.

E’ rifugiato politico in Italia dove è giunto dal Libano, con la moglie, grazie al progetto dei Corridoi umanitari della Federazione delle chiese evangeliche e della Comunità di sant’Egidio.

In Siria ha pagato un prezzo altissimo per la sua richiesta di libertà nei confronti della dittatura di Bashar al-Asad. E’ stato incarcerato due volte, percosso e torturato e ha visto arrestare i suoi genitori per la sua militanza politica.

Il libro dunque documenta e racconta un punto di vista assolutamente privilegiato: quello di un protagonista capace di mettere insieme le notizie, i fatti e di spiegarne il senso. Perché la storia della Siria degli ultimi anni a noi non può che apparire un puzzle impazzito: un conflitto esasperato dalla presenza e dagli interessi di Usa, Russia, Turchia, Iran, Israele…dalla presenza e dagli interessi di numerosi gruppi appartenenti alla galassia dell’islamismo radicale e spesso in conflitto tra di loro.

L’orrore siriano ha lambito anche Milano.

A ottobre 2013 comparvero sul Corriere della Sera le foto di intere famiglie siriane con donne e bambini accampate in stazione centrale. Un evento che sorprese la città. Fu organizzato rapidamente un centro di accoglienza e per un paio d’anni fu un flusso continuo di siriani in transito verso il nord, Svezia, Germania, Danimarca dove un’antica immigrazione si era già insediata da tempo in fuga verso la libertà negata in patria.

Non è poi così grande il mondo. Non è poi così lontana la Siria.

Grazie ad Abdullah per aiutarci ad entrare nel suo dolore e nella sua speranza: “l’impegno di un progetto democratico e di giustizia per tutti i siriani resta un dovere e continueremo a batterci anche se probabilmente non avremo l’opportunità di vederlo realizzato. Forse, tra decenni, si parlerà della Siria come un paese che dopo la distruzione è riuscito a risorgere dalle proprie ceneri”.

Abdullah Alhallak, Un vulcano chiamato Siria, Jouvence

L’autore presenterà il libro venerdì 15 marzo alle ore 21 presso il castello Visconteo di Abbiategrasso

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