Diritti
“L’Ucraina crede nell’Europa, e ha una letteratura incredibilmente vitale”
Yaryna Grusha Possamai è filologa, scrittrice, giornalista, nonché docente di lingua e letteratura ucraina alla Statale di Milano. È un’ex bambina di Černobyl’, ha studiato a Kyiv, da anni vive in Italia (difatti è anche cittadina italiana). Per Yaryna – come per l’intera diaspora ucraina nel mondo – questi sono giorni di strazio: alcuni suoi familiari si trovano ancora nel paese, il suo vecchio villaggio è stato occupato, la scuola dove ha studiato è stata bombardata, e tra le vittime del conflitto ci sono anche due suoi amici.
Avevo conversato con lei poche ore prima dell’inizio della guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, ormai in corso da quattordici giorni. Una parte di tale conversazione è stata purtroppo superata dalla Storia (quella che tragicamente, da secoli, vede le grandi potenze scontrarsi per questo lembo strategico d’Europa che è l’Ucraina), ma molte delle parole di Yaryna – sulla cultura e sulla storia del suo paese, su una delle letterature più vivaci del continente – non hanno perso il loro valore. Anzi, casomai ne hanno guadagnato: perché anche durante una guerra, anzi soprattutto quando la guerra infuria, non bisogna dimenticare la bellezza della pace, della cultura, del dialogo.
Tu sei una filologa, partiamo dunque proprio dalla lingua. L’ucraino è un dialetto russo?
No. È un’altra lingua slava orientale, come il bielorusso o il russo. Ovviamente tutte e tre hanno una radice comune, un po’ come il latino per le lingue romanze. Poi ogni lingua ha preso la propria strada, in virtù di fenomeni storico-culturali.
L’italiano è nato nel Medioevo, e Dante è considerato il padre della lingua italiana. E l’ucraino? Quando appaiono i primi testi in ucraino?
Attraverso la sua importantissima opera Dante prese la lingua del popolo e la trasformò in una lingua letteraria. Anche in Ucraina accadde qualcosa di simile, per certi versi. A partire dal XIV secolo, parallelamente alla lingua usata dal clero – lo slavo ecclesiastico –, si sviluppò la prosta mova, la lingua del popolo, che divenne sempre più diffusa fino ad assurgere, alla fine del ‘700, anche a lingua letteraria.
E questo si verificò tra il XIV e il XVIII secolo, giusto?
Sì. La prima opera scritta in lingua ucraina apparve però alla fine del XVIII secolo, e per certi aspetti si trattò di un’operazione simile a quella fatta da Dante con la lingua ucraina. Mi sto riferendo ovviamente a Ivan Petrovyč Kotljarevs’kyj, che nel 1798 pubblicò la prima parte della sua Eneida (in italiano nota come Eneide travestita), che si ispirava – e qui possiamo notare un legame importante con l’Italia – all’Eneide di Virgilio. Il suo però era un poema burlesco, voleva far ridere: difatti i protagonisti erano i cosacchi.
Vedi Gabriele, lui proveniva da una famiglia di vecchi cosacchi. Aveva un’istruzione, era originario della Het’manshchyna, quel pezzo di terra governato dai cosacchi dove, tra la fine del XVI secolo e l’inizio del XVIII secolo, si creò un vivace centro di ucrainità. Tornando a Kotljarevs’kyj, egli scrisse altre cinque parti della sua opera, e poi anche due pièce.
Suoi testi come Il mago di Mosca vengono scritti in ucraino, non in russo.
Esatto. La sua era una lingua molto scorrevole, viva e pittoresca. Insomma, una vera lingua del popolo. E dopo il grande lavoro di Kotljarevs’kyj arrivò anche la prima grammatica della lingua ucraina, anche se allora non poteva chiamarsi “lingua ucraina” (nel 1818 si parlava ancora di “dialetto della piccola Russia”). Essa era scritta da Oleksii Pavlovsky. Anche lui era originario della Het’manshchyna, e il suo obiettivo era definire una grammatica per questa lingua, che stava nascendo da un punto di vista ufficiale, ma che esisteva già.
Una domanda che in molti si fanno. Parlare bene ucraino vuole dire automaticamente parlare bene pure il russo?
No. Persino la percentuale di corrispondenza lessicologica tra russo e ucraino è del 60%. Per esempio, a livello di lessico l’ucraino è più vicino al polacco e bielorusso, perché in tal caso la corrispondenza lessicologica è al 70% e al 84%. Anche a livello di grammatica ci sono differenze tra ucraino e russo. È comunque una lingua slava, quindi la struttura più o meno è quella. E poi nell’Ucraina odierna l’ucrainofono capisce molto bene la lingua russa, perché comunque siamo tutti cresciuti in un’ambiente culturale dove, grazie ai mass media (prima di tutto la TV), il russo arriva, ed è normale capirlo. Però capirlo non vuole dire parlarlo bene, la conoscenza attiva e quella passiva di una lingua non coincidono necessariamente, e infatti non ci sono tanti ucraini in grado di parlare bene il russo, piuttosto si avvalgono di una lingua mista, il suržik, appunto un misto tra il russo e ucraino.
Ecco, questo è un primo mito che va sfatato: molti ucraini non parlano bene il russo. Un altro mito, anzi oserei dire una leggenda nera diffusa dalla propaganda russa, è che tutti gli ucraini o quasi si siano schierati con i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Fermo restando che la storia è maestra di complessità, e che ci furono ucraini, ad esempio quelli della famigerata Divisione Galizia, che combatterono con i nazisti (ma combatterono al fianco di Hitler anche francesi, olandesi, belgi, norvegesi, persino russi), moltissimi ucraini combatterono nell’Armata rossa. Tu che hai i genitori originari di Černobyl’, e hai ucraini anche nonni e bisnonni, dimmi: i tuoi nonni hanno combattuto con l’Armata rossa o erano a fianco dei nazisti?
Mio bisnonno perse un braccio durante la Seconda guerra mondiale, e combatté nell’Armata rossa. Dovette farlo, tuttavia per molti ucraini la Russia di Stalin era abbastanza uguale alla Germania. Ed è vero che milioni di ucraini combatterono nell’Armata rossa, però considera che un altro mio bisnonno è stato fucilato dai russi, dai comunisti. Mia nonna proviene infatti dall’Ucraina meridionale, da un territorio al confine con la Moldavia, allora Bessarabia. Suo padre, mio bisnonno, per far campare la famiglia negli anni Trenta (anni durissimi), andava insieme ad altri ucraini in Moldavia a guadagnare qualcosina; faceva piccoli traffici per campare, era sopravvivenza. Una notte, alla fine degli anni Trenta, fu preso e non tornò mai più.
Ecco, dato che parliamo dei terribili anni Trenta, che per i popoli dell’URSS furono anni atroci. Che cosa significa per te Holodomor, la devastante carestia artificiale del 1932-33, di matrice stalinista?
Per decenni in Ucraina è stato un tema proibito, dolorosissimo. Un tabù, non soltanto nella società, ma anche nelle famiglie. Nella mia famiglia, per esempio, se ne parlava pochissimo, era una cosa che si sussurrava… Se ne parlava sempre a bassa voce, era come se nessuno volesse ricordare quei tempi, è stato un trauma che per decenni non è stato mai elaborato. Solo adesso la società ucraina, in qualche modo, sta cercando di elaborarlo. Un altro tabù era la guerra in Afghanistan, dove sono caduti anche tanti soldati ucraini. Né si parlava degli scrittori, degli intellettuali ucraini morti nei gulag, nei campi di lavoro, sterminati, fucilati…
Scusa, deportati e fucilati da chi?
Dal potere sovietico. Penso per esempio a Vasyl Stus, poeta, giornalista, critico letterario e dissidente, che nel 1985 morì per uno sciopero della fame in un campo di lavoro in Russia. Questo accadeva nel 1985.
Gorbačëv era stato eletto da pochi mesi…
Esatto. Vogliamo tornare a parlare degli anni Trenta, quando tanti scrittori, poeti, intellettuali ucraini furono arrestati, deportati, fucilati? È il Rozstrilyane vidrodzennja, Rinascimento fucilato. Sai, all’inizio il comunismo aveva dato abbastanza spazio alle culture nazionali. Difatti gli anni Venti furono cruciali per la cultura e la letteratura ucraine: a Kyiv come a Kharkiv si affermarono scrittori nuovi, non solo nella letteratura d’avanguardia ma in quella di massa. Negli anni Venti, per esempio, venivano scritti i primi gialli, i primi romanzi rosa, la prosa delle donne scritta dalle donne; era un periodo davvero bellissimo, si faceva tanta ricerca, tante traduzioni dal francese, dall’italiano, dall’inglese. Possiamo guardare agli anni Venti come il vero inizio della letteratura ucraina moderna.
Stalin però diventava sempre più potente, e le cose cambiarono. Lui e i suoi accoliti vedevano in tutto questo fermento letterario e culturale una minaccia di nazionalismo che in futuro sarebbe potuta in qualche modo sfociare in una rivoluzione. Ecco perché repressero tutti i maggiori scrittori del periodo, con arresti, condanne a morte, deportazioni, violenza.
Nell’Ottocento e nel Novecento la cultura e la lingua ucraine subirono, per mano delle autorità di Mosca, dure repressioni. Pensiamo solo alla Circolare Valuev…
Sì, è vero. Diciamo che lo sviluppo della letteratura e della lingua ucraina è sempre stato ostacolato, anche con la violenza. Per esempio dalla fine dell’Ottocento all’inizio del Novecento, gli scrittori ucraini dell’Impero russo potevano pubblicare i loro testi in ucraino solo nell’Ucraina absburgica.
In Galizia quindi.
Esatto, in Galizia. Lì potevano, nell’Impero russo non era possibile. Allora l’Ucraina era divisa tra questi due imperi, ma in entrambi c’erano già cerchie di intellettuali e scrittori che da molto tempo avevano un’idea di Ucraina, che per loro non era soltanto un territorio, ma era soprattutto un codice culturale.
Abbiamo parlato degli anni Trenta e della Seconda guerra mondiale. Tu però sei cresciuta e hai vissuto in un’Ucraina finalmente indipendente, e sei stata testimone di entrambe le Rivoluzioni: la Rivoluzione arancione del 2004, e la Rivoluzione della dignità del 2014.
Nel 2004 ero al secondo anno di università. Per noi giovani, abituati a viaggiare in Europa, a studiare le lingue straniere, quella rivoluzione rappresentava la scelta di un futuro libero, di un futuro europeo, perché ci sentivamo legati a questa grande idea di Europa. Nel 2004 le proteste ebbero, come sai Gabriele, una natura politica. C’erano delle elezioni ed esse erano state truccate, e il popolo scese in piazza contro questi brogli, per esprimere sostegno al candidato “sconfitto”, Viktor Juščenko. Dopo due settimane tutto tornò tranquillo perché la Corte costituzionale poté verificare i brogli, e furono indette nuove elezioni; a vincere fu appunto il candidato arancione, filo-occidentale. Dopo otto mesi dell’inaugurazione però lui scelse come suo primo ministro Viktor Janukovyč, cioè il politico filo-russo contro cui eravamo scesi a protestare.
La gente si sentì abbastanza delusa e presa in giro, noi ci eravamo esposti, e forse anche per questo nei dieci anni successivi la società ucraina non mostrò troppa partecipazione, o forse non si sentiva così libera di esprimere le proprie opinioni.
La rivoluzione a cavallo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, la Rivoluzione della dignità o anche Euromaidan, fu diversa perché in quel caso non si scese in piazza a sostegno di questo o quel politico. Tutto ebbe inizio nel novembre 2013, quando il presidente in carica, il già citato Janukovyč, non volle firmare l’accordo con la UE al famoso hotel Kempinski di Vilnius. Nessuno in Ucraina poteva immaginare una mossa del genere, perché nei sei mesi precedenti il governo aveva propagandato invece il fatto che l’Ucraina avrebbe firmato l’accordo con la UE, in TV analisti ed esperti ci spiegavano in che cosa consisteva l’accordo e cosa avrebbe significato per noi ucraini. Ma alla fine Janukovyč non firmò. E la gente scese in piazza, soprattutto giovani e studenti. Tutto avveniva in modo pacifico, finché la notte tra il 29 e il 30 novembre Janukovyč decise di far sgomberare piazza Maidan con la forza: arrivò la polizia e picchiò brutalmente gli studenti.
Ecco, il giorno dopo la società civile dell’Ucraina scese in piazza. Un milione di persone andarono in piazza Maidan e non si mossero più da lì. I giornalisti le intervistavano, e ripetevano che non potevano permettere che i loro figli venissero picchiati. Non era una protesta politica, era una protesta sociale, era il desiderio di scegliere un futuro diverso.
Tu cosa ricordi del 2014, di Euromaidan?
Io lavoravo a un progetto documentario, che si chiamava Babylon 13. Ero una sorta di produttrice e mi occupavo anche della traduzione dei sottotitoli, dei social media, parlavo con i giornalisti ecc. Fu un periodo speciale, sentivi di poter fare tutto, di cambiare la storia, di influire davvero sulle cose. Ci furono momenti difficili, e ricordo lo shock e il grande dolore degli ultimi tre giorni, quando quasi cento persone vennero uccise nel centro di Kyiv, il 18, il 19 e il 20 febbraio del 2014. Sino ad allora c’erano stati degli scontri ma la polizia ucraina non aveva mai oltrepassato il limiti, mentre durante quei tre giorni gli scontri divennero durissimi, e intervennero i cecchini, di cui ancora oggi non si conosce l’identità…
La Rivoluzione della dignità è scaturita dal desiderio degli ucraini di essere parte dell’Unione Europea. Secondo te questo sentimento è ancora diffuso in Ucraina?
Sì, ma oggi accanto al desiderio di far parte della UE c’è anche la forte volontà di difendere i valori democratici, che non sono i valori di un paese come la Russia, dove non c’è libertà di parola, e dove il governo è una dittatura. In gioco c’era e c’è ancora oggi la scelta di un modo di vivere. E per noi, nel nostro immaginario, i valori democratici e le libertà corrispondono a una vita europea, a una vita nella UE. So che oggi ci sono molti cittadini delusi dalla UE, e penso che gli ucraini si fidino della UE, credano nella UE più di quanto la UE creda in se stessa.
In Italia alcuni dubitano che l’Ucraina sia una democrazia, per quanto fragile e piena di difetti (ma anche le democrazie più mature sono fragili e piene di difetti: non dimentichiamo ad esempio cosa è successo nel gennaio 2021 negli Stati Uniti). Tu cosa ne pensi? L’Ucraina è una democrazia?
Io penso che l’Ucraina sia una democrazia. Nel 2014 abbiamo avuto regolari elezioni, il popolo allora si espresse per Porošenko e arrivò al potere lui. Nel 2019 il 70% della popolazione ha votato un attore comico, e nessuno ha avuto nulla da obiettare, c’è stato un passaggio dei poteri del tutto tranquillo, e non ci sono stati brogli o manovre losche. E questa forse è una nostra forza, avere elezioni realmente democratiche, cosa che la Russia non può vantare. E dopo il 2014 posso dire che è cambiata anche la percezione nei confronti della Russia. Prima dell’invasione della Crimea molti ucraini consideravano i russi come nostri fratelli, dopo il 2014 tutto è cambiato. La Russia è diventata un aggressore, e anche gli scambi culturali, storicamente intensi, si sono ridotti ai minimi, o persino interrotti.
Perché il regime russo è così aggressivo nei confronti dell’Ucraina, a tuo parere?
Forse perché sta perdendo la sua storica influenza, non solo politica ma anche economica, sul nostro paese. E poi non piace a Putin che l’Ucraina sia uno stato democratico. Non abbiamo nemmeno più bisogno del visto per entrare nella UE, si può andare avanti e indietro facilmente. Non sto dicendo che l’Ucraina sia perfetta, bada, però abbiamo le nostre vittorie, le nostre piccole e grandi conquiste: come la democrazia, e la libertà di parola. In Ucraina si può criticare il presidente, esiste un’opposizione vivace, una società civile pronta a fare manifestazioni. In Russia i pochi giornali che osano criticare Putin, come Novaja Gazeta, sono tacciati di essere al servizio dell’Occidente, e il più importante oppositore di Putin, Navalny, è in carcere.
È vero che in Ucraina, come dice la propaganda russa, siete pieni di filonazisti?
Ci sono dei gruppi di estrema destra, come ci sono anche in Italia. Certo, anche da noi esistono dei gruppi neonazisti, ma non hanno alcuna rilevanza sulla vita del paese, non sono neanche in parlamento. E il nostro presidente è di origini ebraiche, non dimentichiamocelo.
Oltre a essere una filologa, una giornalista e una docente universitaria sei anche una scrittrice. Di cosa parla il romanzo – in italiano – che stai scrivendo?
L’ho finito, sto rivedendo la seconda stesura. Il romanzo parla di una traduttrice, che vive in Italia e si reca in Liguria (regione che conosco bene, dato che vi ho vissuto per un anno e mezzo con mio marito, che è italiano) per tradurre un testo. E lì, durante il suo vagabondaggio ligure, incontra un anziano soldato italiano che ha fatto la campagna di Russia. Lui è un ultranovantenne, un testimone della Storia, quella con la S maiuscola. E lei, grazie a questo incontro fortuito, inizia a ricordare il suo passato, le sue radici, la sua terra in guerra ormai dal 2014: il Donetsk, con il suo fiume maestoso, il Don. Grazie ai ricordi di quell’italiano così vecchio risale alle sue origini, a ciò che ha dimenticato.
La storia d’Italia e quella dell’Ucraina si intrecciano, da secoli.
Esatto. L’Italia del resto ha influenzato molto anche la letteratura ucraina moderna. Per esempio c’è questo scrittore ucraino morto nel 1913, Kocjubyns’kyj Mychajlo, che pubblicava a Leopoli, che era malato di nervi come si diceva allora, e soggiornava a Capri. E per esempio una delle sue più grandi opere, Le ombre degli avi dimenticati, è praticamente una rivisitazione di Romeo e Giulietta: è una storia d’amore tra due ragazzi che appartengono a due famiglie in lotta tra loro, e tutto ha uno sfondo carpaziano, un’ambientazione montana.
E ancora, vorrei citare la grande scrittrice ucraina, Lesja Ukrajinka, che veniva a curare la sua tubercolosi in Italia, a Sanremo, e scrisse dei drammi ambientati nell’impero romano. Ukrajinka, ovvio, è uno pseudonimo: lei proveniva da una famiglia di nobili ucraini che giocò un ruolo importante nell’ucrainità, diciamo; aveva come lo zio lo storico e filosofo Mykhajlo Drahomanov, che dovette scappare dall’Impero russo per via delle sue idee filo-ucraine, mentre sua madre raccoglieva il folklore ucraino e scriveva favole per bambini. Lei, Lesja Ukrainka, scrisse per sua sorella anche il primo libro di storia in lingua ucraina. E lei conosceva benissimo l’Italia e la cultura italiana, infatti traduceva dall’italiano.
A proposito, dato che insegni letteratura ucraina: quali sono tre, quattro grandi scrittori ucraini che l’Italia dovrebbe conoscere per capire un po’ meglio la vostra cultura?
Io consiglierei quelli che sono già tradotti, e di cui parlo anche nel mio corso. Il primo sarebbe Taras Ševčenko, il poeta nazionale per così dire, un grande esponente del romanticismo. Poi consiglio Kocjubyns’kyj, di cui ti ho parlato poco fa: lui viaggiava e aveva molti scambi anche con le letterature straniere, la sua opera può essere accolta e compresa molto bene in Italia. Poi consiglierei lo scrittore contemporaneo Serhij Žadan, edito da Voland: i suoi romanzi sono interessanti perché parlano dell’est dell’Ucraina, da cui lui proviene. E, nota, lui comunque è ucrainofono, non è russofono.
Non sono tutti russofoni nel Donbass.
Esatto, lo sono per la maggior parte, ma non tutti.
Ed anche vero che non tutti i russofoni sono pro-Putin.
Infatti uno degli scrittori che potrebbe essere preso come esempio, un autore che ha anche rilasciato un’intervista alla Stampa dove ha detto “io parlo russo ma odio Putin”, è originario di Kiev, Aleksej Nikitin; anche lui è edito da Voland, il suo romanzo si chiama Victory Park ed è un romanzo urbano, perché parla della Kiev degli anni ’80. Molto interessante.
A proposito, pure Gogol’ era nato in Ucraina.
Gogol’, sì. Lui era uno scrittore dell’Impero russo di origine ucraina. Lui scelse di scrivere in russo, e di vivere a San Pietroburgo. Però alcuni suoi testi sono dedicati all’Ucraina, come Taras Bul’ba e gli altri racconti di Mirgorod. Era un po’ come Italo Calvino che, pur viaggiando in tutto il mondo, non dimenticava mai l’Italia, la Liguria, che spuntava sempre nei suoi testi.
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