Diritti
Tiziana Cantone, la rete e quella finta libertà che ci rende schiavi
Mi è sempre piaciuto molto praticare il rapporto orale alla mia partner e penso sinceramente e senza falsa modestia di avere un gran talento. Ma io sono un maschio, se lo scrivo sono “un figo”, nessuno mi insulterà mai dandomi del “puttano”. È vero: in Italia – ma non solo da noi – c’è un problema culturale legato a come viene vissuta la sessualità, specialmente lontano dalle grandi città, in quei luoghi dove ancora oggi “la gente mormora”. Delle cause potremmo parlare a lungo, discutendo di quanto la Chiesa Cattolica contribuisca ancora oggi a congelare i nostri costumi o riaprendo il dibattito sul ruolo della donna, su quanto sia continuamente vittima di pregiudizi. Tutte questioni aperte che puntualmente si ripresentano quando sono portate alla ribalta da un fatto di cronaca o quando il celebre idiota di turno pronuncia una frase sessista.
Ma la vicenda che ha portato al suicidio di Tiziana Cantone tocca un altro grande tema, qualcosa che ormai quotidianamente ci passa sotto gli occhi. Parlo ancora di loro, di quelle che Umberto Eco definì “legioni di imbecilli” composte da quei “leoni da tastiera” che sfogano i loro istinti più repressi, le loro frustrazioni e i loro disagi psicologici nel grande circo della rete. Una plebe diffusa che dai siti e dai social network parla a un pubblico vasto, agevolata da algoritmi basati su regole funzionali al commercio, che con la sensibilità umana hanno ben poco a che spartire. Sono quegli algoritmi che fanno in modo che cercando “Tiziana Cantone” sul più noto dei motori di ricerca, si trovino ancora i link dei siti dove uno scarto dell’umanità e dei suoi degni simili, hanno pubblicato momenti di intimità di Tiziana, senza il suo consenso. Al resto ha pensato la plebe, amplificata dal gioco dei like, delle condivisioni, dei contatori di visite che “portano in alto” alcuni contenuti rispetto ad altri.
È giusto che la rete resti libera, che nessuno limiti la possibilità a chiunque – anche alla più inutile delle zavorre biologiche, figlia del sovrappopolamento del pianeta – di potersi esprimere. Ma servono delle regole, perché ciò non sia confuso con la libertà di diffamare, insultare, ridicolizzare e schiavizzare altri esseri umani. Regole che limitino la troppa libertà di “interpretazione” di grandi realtà come Google e Facebook e puniscano anche le aziende se necessario. Bisogna agire in fretta, perché la diffusione di tecnologie sempre più avanzate e di nuove forme di comunicazione sta aggravando esponenzialmente emergenze sociali come il cyberbullismo, piaga sempre più diffusa tra i giovanissimi. La falsa libertà della rete aveva reso schiava Tiziana Cantone. Schiava un’immagine virtuale sovrapposta alla sua immagine reale, di quella carne fatta di pixel che ha finito per logorare il suo corpo vivo, i suoi sentimenti, la sua voglia di vivere.
Tiziana Cantone non c’è più, di lei restano gli articoli come questo che parlano dei motivi della sua morte, quei maledetti video che probabilmente in queste ore sono tra i più cliccati della rete, i fotomontaggi fatti per schernirla e ridicolizzarla sui social network. Chi era davvero non lo sapremo mai, è qualcosa che uno schermo luminoso non saprà mai riprodurre.
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