Diritti

Time is running out: unioni civili in 28 giorni. Il fiato sul collo di Renzi&Co

5 Agosto 2015

I parlamentari stanno per prendersi la pausa estiva e, come era prevedibile osservando le cronache delle ultime due settimane, sulle unioni civili due sono i fallimenti che, ad oggi, continuiamo a registrare: il primo è che la fase emendativa e conclusiva in Commissione Giustizia non è completata e, di conseguenza, il secondo è che manca l’approdo nell’aula del Senato.

La fase emendativa si conferma come complessa e onerosa rispetto al comune processo di approvazione di una legge, molto di tutto ciò è grazie all’ostruzionismo di quei senatori come Giovanardi che oggi brindano per la riuscita, momentanea, della loro azione. Parte della responsabilità è anche da imputare alla eterna mancanza di posizione collegiale da parte del PD: sembra che in realtà alcuni mezzi per ridurre i tempi in commissione ci potevano essere e ci siano, come ha spiegato qui Antonio Rotelli, avvocato e membro dell’Associazione Rete Lenford.

L’arrivo in Aula invece può avvenire secondo due alternative: la prima è che la Commissione riesce a concludere la votazione sugli emendamenti e quindi licenzia il testo base di marzo con le eventuali modifiche e allora questo sarà relazionato in aula dalla relatrice, Monica Cirinnà; la seconda prevede, in caso di lavoro della Commissione lasciato incompleto, che in Aula possa arrivare il testo base votato a marzo insieme ai testi originari (una decina) con relatore il presidente di Commissione, che adesso è Francesco Nitto Palma, in quota Forza Italia.

Almeno su questo aspetto il PD ha tenuto una linea coerente, quella cioè di provare ad arrivare in aula secondo la prima strada, ossia con la fase emendativa in Commissione conclusa e quindi con un unico testo e con la garanzia che a relazionarlo debba essere la senatrice Cirinnà che ne ha piena potestà e competenza, avendolo seguito sin dalla gestazione. Certo è che se fino a due mesi fa il tempo stringeva e basta, ora è una morsa stretta intorno al collo, quindi non è escluso, come ha detto anche Sergio Lo Giudice, che si possa arrivare in aula anche senza relatrice, ma ovviamente sarebbe uno scenario totalmente sfavorevole e da evitare.

Ieri Loredana De Petris, capogruppo al Senato del Gruppo Misto SEL, ha chiesto la calendarizzazione in aula per il 10 settembre. Richiesta negata dall’Aula, cosi come era accaduto una ventina di giorni fa ad una analoga istanza da parte di Alberto Airola dei Cinquestelle. In entrambi i casi, avrebbe voluto dire arrivare in aula con relatore Nitto Palma e i dieci testi. Nel caso specifico del 10 settembre con la certezza anche di nessun progresso fatto in commissione, dato che il Senato chiude in questi giorni e riapre l’8 settembre.

In questo scenario, il punto saliente è comunque un altro ed è lo stesso di tre mesi fa, un anno fa, … : ossia la questione della volontà politica, che esula dallo scheduling dell’attività e dell’iter parlamentare. L’ultima promessa di Matteo Renzi, in ordine di tempo, è quella fatta un mese fa all’assemblea PD, in cui ha fissato il 15 ottobre come data per l’uscita del testo dal Senato. In rete è stata creata una pagina facebook che giorno per giorno fa il countdown che avvicina a quella data. Oggi sono 71 i giorni che ci separano da metà ottobre, ma a voler essere precisi io ne conto circa la metà, perché facendo bene i conti se consideriamo che il Senato riapre l’8 settembre, per arrivare a giovedì 15 ottobre mancano solo 37 giorni uomo, che si riducono a 28 se togliamo i fine settimana. Aggiungendo anche che in Senato non si lavorerà solo ed esclusivamente su questa riforma, ma anche su altri temi, è evidente che i tempi sono davvero stretti. Voglio essere magnanimo e resto fisso sul numero 28.

Ora in questi 28 giorni ci dovremmo attendere l’impresa quasi epica: la Commissione Giustizia del Senato che completa la votazione sugli “appena” 1.500 emendamenti residui e poi si arriva in Aula per tutta la fase dalla discussione alla votazione. In tutto ciò non ho alcun dubbio che ognuno continuerà a fare il proprio ruolo, come fatto finora: i Giovanardi, i Malan, i Gasparri ecc. continueranno nel loro ruolo ormai superato e senza sorprese di disturbatori anacronistici, come quelli che parlano tra loro dietro di te quando sei al cinema; mentre i senatori Cirinnà, Lo Giudice, Filippin, ecc. continueranno con la loro attività fatta di tenacia e impegno, in un contesto che purtroppo diventa sempre più difficile.

Ho già scritto mesi fa che questa non è la riforma voluta da un manipolo di qualche senatore o conseguente al capriccio della comunità LGBT. Questa è una riforma – non ancora perfetta – che riporterebbe il Paese nel presente. Ho anche detto che le posizioni individuali e etiche non sono più giustificabili: qui e ora la battaglia è collettiva e riguarda i diritti umani. La questione ormai è solo di definitiva volontà politica, sarebbe ingiusto e ipocrita dare la responsabilità solo al pressante scheduling dell’attività parlamentare a cui la riforma adesso è costretta.

Assistiamo tutti i giorni a qualche alto esponente della segreteria o della presidenza del PD che attacca qualche posizione minoritaria: la Serracchiani che chiede scusa sulla vicenda Azzolini, Guerini che la contraddice, Orfini che critica la minoranza dem, la minoranza dem che brontola per le nomine Rai, il vietnam e il napalm, i gufi e gli sfigati… ma basta, suvvia… mai che si sentisse prender posizione contraria contro i vari senatori Lepri, Fattorini, ecc. che dall’interno del Partito tentano di affossare e peggiorare la legge Cirinnà, in maniera anche più subdola e meno scontata di quanto non facciano Giovanardi e Malan. E’ mai possibile che viene chiesta la fiducia 44 volte sinora per provvedimenti dei generi più vari e questa riforma invece rischia di arenarsi per il volere di un senatore NCD, il cui partito ha meno elettori che eletti?

Sembra proprio che Renzi, Boschi, Orfini, Serracchiani, ecc. l’ansia del countdown proprio non ce l’abbiano. Eppure 28 giorni sono appena 672 ore. Una manciata di ore che se male impiegate lasceranno l’Italia nel passato.

Le stesse ore in cui continua, in questo ginepraio di vuoto normativo, la vita delle persone omosessuali in Italia, Paese in cui un etero è in coma perché viene pestato a sangue da una banda di ragazzi e ragazze perché “sospettato di essere gay” (a proposito quella legge sull’omofobia sarebbe pure da riprendere, migliorare radicalmente e approvarla definitivamente – ma questa è un’altra storia), o per esempio, dove i genitori arcobaleno camminano in un terreno impervio di insidie, toccando anche le entità più faticose della vita a cui sono esposti.

E’ che siamo arrivati nella stessa situazione di un concorrente di un quiz televisivo davanti agli ultimi dieci secondi disponibili di tempo per rispondere alla domanda del presentatore, quando il contatore del coundown scorre, il volume aumenta e l’ansia cresce esponenzialmente. Il fiato sul collo picchia forte e non bisogna perdere più un minuto di tempo. Ce lo ha appena detto anche la Corte Europea dei Diritti Umani.

28 giorni sono 672 ore. Come cantavano i Muse “Time is running out”.

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