Diritti
The Taliban Show
Giorno dopo giorno, dall’occupazione di Kabul in avanti, un susseguirsi di interviste surreali ci viene inflitta a ritmo andaluso da varie emittenti televisive, in cui Talebani 2.0 con barba curata e buono, se non ottimo, inglese, rassicurano il vecchio continente e gli americani che le parole d’ordine del nuovo Emirato Islamico dell’Afghanistan saranno: “inclusività” e “diritti delle donne”. Manco stessimo guardando l’ennesima puntata distopica di South Park, Abdul Qahar Balkhi racconta ai microfoni di Al Jazeera di come il governo che si sta formando a Kabul punti ad essere inclusivo e di come sia “completamente infondata l’isteria che ha preso piede” tra gli Afghani in fuga disperata da quella che viene descritta come la migliore delle teocrazie possibili. Dalla BBC, intanto, ci rassicurano che i Talebani, conosciuti in tutto il mondo per il loro sistema giuridico all’avanguardia, stanno “indagando” sul massacro di nove uomini di etnia hazara nella provincia di Ghazni: in seguito alla denuncia lanciata da Amnesty International, quattro beduini seduti su di un tappettino all’ombra di un mandorlo in fiore consultano attentamente il volo dei pellicani in cielo e determinano che la direzione delle correnti non fa altro che confermare che il fatto non sussiste.
E noi qui, incollati a logori divani post-lockdown, ad ascoltare la “loro verità”, come direbbe Santa Oprah, con lo spirito critico di chi si è dimenticato che almeno ai tempi delle interviste a Olindo & Rosa di inizio anni 2000 circolava quel briciolo di scetticismo che permetteva all’uomo medio (oddio ho detto uomo?) di riconoscere a naso che i coniugi sondriesi erano tanto fuori come un balcone quanto dei terroristi provenienti dalle grotte di Tora Bora.
Ma ora che abbiamo raggiunto le vette del 2021, anno in cui il processo di Norimberga a tutte le vocali italiane si conclude con la condanna di “o” e “i” per crimini d’odio contro l’umanità, ricalcando le sentenze emesse nel ‘46 contro le loro alleate naziste, le doppie consonanti tedesche “SS”, come possiamo non scioglierci come neve al sole di fronte alla testimonianza di chi porta con sé il peso di un nome che sa di minoranza oppressa come Muhammad Suhail Shaheen, portavoce dei Talebani, il quale, nonostante i suoi virtuosissimi princìpi religiosi che rivelano l’apertura mentale di un cassetto chiuso da 42 lucchetti arrugginiti, concede graziosamente un’intervista ad una donna cisgender bianca e (probabilmente) etero che osa presentarsi impudicamente ai suoi occhi sprovvista del copri tenda da campeggio?
D’altronde “se i Talebani possono ancora twittare liberamente mentre il pericolosissimo ex presidente degli Stati Uniti viene bannato a vita dalla sacra piattaforma cinguettante, un motivo ci sarà?” si domandano fiduciosi i “liberali” occidentali.
Ora, tra qui e qualche decina di giornalisti e dissidenti politici setacciati col puntale di un bastone insanguinato di pace, migliaia di ragazze finalmente alleviate dal peso degli studi e donne liberate in inclusivi burqa color pece, ci si prepari in Occidente ad imparare a memoria i nomi esotici di una nuova classe di portavoce talebana (tutta maschile, cisgender e etero ma in questo caso va bene perché mica sono bianchi) ripulita dalle sabbie del deserto e dalla nomea di misogini rustici barbuti che, in diretta televisiva da Channel 4 o dagli studi di Good Morning Britain con tanto di tazza di Starbucks alla mano, ci spiegherà che le notizie sui tagliagola coltivatori di oppio provenienti dal deserto di Margow a cui eravamo abituati erano tutte “fake news”: d’altronde, perché mai continuare a vendere oppio quando il litio salverà il mondo dal surriscaldamento globale, causa halal a cui tutti i Talebani vegani degni di questo nome si convertiranno negli anni a venire? E perché mai ostinarsi ad utilizzare arretrati roncole e macheti quando i Democratici Americani in fuga hanno generosamente lasciato in prestito alla minoranza oppressa talebana 85 miliardi di dollari americani in armamenti, inclusi una cinquantina di aerei, un centinaio di migliaia tra carrarmati, camion e altri veicoli da terra, una sessantina di elicottri, più di 300.000 fucili d’assalto, e altre centinaia di migliaia tra carabine, pistole ed altri armamenti, con cui sparare sulla folla afghana in maniera molto più inclusiva?
E se da una parte, a Ovest del globo terracqueo, continueremo a dimostrare orgogliosi al resto del mondo i risultati del nostro progredire sul piano del linguaggio, dopo aver ripulito i vari Facebook, Twitter, televisioni e giornali da tutte quelle parole, immagini ed opinioni di scrittori, giornalisti, artisti e fumettisti blasfemi che si ostinano a macchiarsi del reato di vilipendere la religione del multiculturalismo, dei diritti delle lettere dell’infinito alfabeto arcobaleno, degli asterischi e della schwa, dall’altra parte del pianeta, a Est, Cina e Russia continueranno a nutrire i sempre meno affamati ex-beduini del deserto, assicurandosi che quando avranno la pancia piena l’unico spazio lasciato vuoto per digerire il loro litio salatissimo sarà quello a occidente. Noi, nel frattempo avremmo fatto fuori tutte le parole utili a descrivere (a noi stessi, perché nessuno ci starà più ad ascoltare ed in più, pigri come siamo, mica avremo imparato il cinese) quello che sta succedendo.
E gli afghani in tutto questo? I poveretti hanno cominciato a scappare. O almeno a provarci. E per quei pochi che ce la faranno a varcare i confini di quello che ancora si definisce il mondo libero, la triste notizia: si ritroveranno nelle prossime settimane, mesi, anni, come noi ora, sugli alberi le foglie, a guardare The Taliban Show con la stessa espressione dipinta in volto di un ingegner Fantozzi qualsiasi che, dopo essersi messo a dieta per giorni, viene costretto ad assistere allo spettacolo asfissiante del dietologo crudele e vorace che si sfonda di deliziose polpette di Bavaria. Inshallah.
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