Diritti
Stefano Cucchi, i processi nei tribunali social ed il dolore di una sorella
Impazzano le polemiche italiote che cercano, quando meno se ne sente la necessità, di trovare un significato alle cose che non sempre devono avere un senso nel tutto. Matera e la blasfemia di un ragazzo che scrive sms e il miserevole dubbio – concedetemelo – se Checco Zalone è il nuovo Elio Petri o il cugino di terzo grado dei Vanzina. Polemiche ed interrogazioni sterili che, come al solito, gettano fumo negli occhi degli spettatori sociali. Aggiungo: uno dei problemi del nostro tempo, e nel nostro spazio, è l’ininfluente bisogno di commentare e sentirsi protagonisti di qualcosa.
Tra i tanti rilevantissimi argomenti venuti all’attenzione nazional-popolare di questi giorni, ve n’è uno che – ritengo – abbia un suo senso e ragionare su quel che è stato un fermo di polizia – con i suoi vergognosi risultati – abbia bisogno della massima attenzione possibile e, tanto per rispolverare un le memorie, sono chiare alcune precisazioni:
- Il 15 Ottobre 2009, a Roma, un ragazzo viene fermato dai carabinieri. Questi sostengono di aver visto il ragazzo cedere alcune bustine trasparenti ad un uomo in cambio di denaro. Al fermo, come spesso capita ed è previsto dalla legge, segue una perquisizione: il ragazzo viene trovato in possesso di varie confezioni di hashish ( pare fossero 12 ), tre confezioni di cocaina ( monodose ), una pasticca di sostanza inerte ed una pasticca di medicinale ( il ragazzo è epilettico ).
- Dopo la perquisizione, come la legge prevede, viene richiesta la custodia cautelare. Il ragazzo è esile – pesa 43 kg ed è alto 176 cm – ma non presenta traumi fisici. Verrà processato per direttissima il giorno dopo e, nel momento esatto in cui comparirà in aula, ha difficoltà a camminare e presente lesioni ed ematomi agli occhi. Prima dell’udienza, il ragazzo, parla con i famigliari ma non accenna, in alcun modo, ad eventuali percosse ricevute.
- Viene stabilita una nuova udienza, da celebrare qualche settimana dopo, e viene stabilito che il ragazzo debba rimanere in custodia cautelare presso il carcere di Regina Coeli.
Nei giorni a seguire, le condizioni del ragazzo peggiorano. Viene visitato all’ospedale Fatebenefratelli ed il successivo referto riscontra:lesioni ed ecchimosi alle gambe, al viso con relativa frattura della mascella, ecchimosi all’addome, emoragia alla vescica, lesioni al torace e due fratture alla spina dorsale. Viene richiesto il suo ricovero che, tuttavia, non viene accordato. - In carcere, il suddetto ragazzo, peggiora ulteriormente. Morirà il 22 Ottobre 2009 all’Ospedale Sandro Pertini. I suoi famigliari chiederanno più volte di sapere e vedere come sta il ragazzo ma verranno raggiunti solo dalla notifica di un ufficiale giudiziario che notificherà l’autorizzazione dell’autopsia.
Questo è il fatto. Che si parli di Stefano Cucchi è facilmente intuibile e, dal 2009, sono passati, esattamente, 2266 giorni. 54384 ore nelle quali una famiglia piange un figlio – indipendentemente dai suoi trascorsi – e cerca di capire cosa sia realmente successo. E’ bisogno di giustizia anche questo. Oggi le indagini sono ricominciate dopo che è stato accolto il ricordo della famiglia – in particolare di Ilaria Cucchi, la sorella – contro la sentenza del 31 ottobre 2014 con cui la Corte d’Assise d’appello di Roma ha assolto tutti gli imputati nel processo per la morte del ragazzo. La riapertura del caso – sacrosanta, aggiungo – viene motivata da parte dei giudici e della giuria popolare in un fascicolo di 67 pagine nel quale si sottolinea come “le lesioni subite da Cucchi sono necessariamente collegate ad un’azione di percosse e comunque da un’azione volontaria che può essere consistita anche in una semplice spinta che abbia provocato la caduta a terra con l’impatto sia del coccige, sia della testa contro una parete o contro il pavimento”.
Qualche ora fa, sulla sua pagina facebook, Ilaria Cucchi pubblica la foto di uno dei carabinieri indagati. Da quel momento in poi il putiferio e la solita e consueta divisione in tifoserie verbalmente violente. Tutti vogliono essere i buoni e ritrovare negli altri i cattivi. Probabilmente, non riesco a motivare diversamente, la pubblicazione della foto avrà aperto un varco temporale nel quale, il continuum, abbia invertito le parti ed i presunti carnefici siano diventati le vittime e viceversa. Purtroppo, in questa storia, ci sono tantissimi cattivi e pochissimi buoni. Le vittime, invece, sono solo Stefano e i famigliari.
Personalmente, e quel che penso forse lascia il tempo che trova, ritengo che sia necessario – solo per una questione di onestà intellettuale ed umana, sottolineare alcune cose:
- Che Stefano Cucchi, nonostante i suoi trascorsi – limitati al suo personale vissuto -, sia morto mentre era nelle mani dello Stato Italiano è una vergogna disumana.
- La sorella di Stefano, Ilaria, è una gran donna e sino ad ora ha dimostrato una forza d’animo che io ed altri, al suo posto, avremmo difficilmente avuto.
- Pur comprendendo l’emotività alla base della pubblicazione della foto, nessuno me ne voglia, dissento e trovo inadatta la pubblicazione della foto del Carabiniere sul suo profilo.Anzitutto per due ragioni. La prima: la foto scelta non è casuale. È una di quelle foto dove, volendo, si può apparire ridicoli: una foto a mare. Per di più la foto incarna – il senso quello è – l’italiano medio abbronzato che mette in bella mostra le “phisique”. La seconda: Ci sono delle indagini in atto e seguirà un processo a carico, questa volta, dei carabinieri che ebbero Stefano Cucchi in consegna. L’opinione pubblica, che ragione con la stessa razionalità di un parasaurolopus, non può ricevere come buono pasto la foto di un “presunto colpevole”. Ritengo che il garantismo, in presenza di indagini e processi, sia sempre valevole.
- Proprio perché siamo esseri umani, con un cuore che pompa sangue ed emotività, Ilaria Cucchi avrà sempre – per quel che serve – un pizzico di sostegno da parte mia. Il dolore, spesso, fa commettere dei piccoli errori e sono perdonabili. Soprattutto dopo 3’263’040 minuti di continue offese.
- Chi invece sentenzia sui social, senza ragion veduta e senza un processo concluso, contro il carabiniere in mutande, non è diverso da un Giovanardi qualunque e qualunquista. I comparti stagni nei quali sguazziamo sono due facce della stessa putrida medaglia.
- L’offesa, non solo all’intelligenza umana bensì ad ogni specie vivente su questo pianeta, è il continuo sostegno, da parte di molti, che la morte di Cucchi sia il risultato della sua tossicodipendenza. Quest’ultima condizione, forse, avrà influito sul suo esile corpo ma sostenere che le percosse siano frutto di un’invenzione di non si sa chi è vergognoso.
- Sarei ben felice di sentire qualche rappresentante delle Istituzioni, se non proprio farsi carico delle responsabilità, riconoscere che c’è stato un concorso di silenziose colpe in tutta la faccenda. Un cittadino nelle mani dello Stato è morto, oggettivamente per delle percosse.
- Vi sono stati dei boia. Quali che siano i loro nomi non ci è dato ancora saperlo. Aspetteremo, ancora una volta, la fine di un processo. Rendere, oggi e qui, Ilaria Cucchi il boia ed i processati le vittime mi sembra fuori luogo. Abbiate pazienza. E lo dico pensando a quei politici che continuano a difendere le forze dell’ordine a spada tratta come se sotto accusa fosse un intero corpo di polizia e non degli agenti che, facenti funzione di ordine pubblico, hanno ucciso di botte un uomo.
- Il problema, oltre che nel sapere chi effettivamente sia stato, è che ci sia ancora gente convinta che sia morto perché tossicodipendente. Bisognerebbe dire: Stefano Cucchi è stato picchiato a morte perché tossicodipendente. Questa cosa è indicibile perché il minimo tentennamento su questa verità oggettiva ci rimanda ad uno stadio di regressione umana, sociale e morale.
- E’ da marzo 2013 che si verifica un rimpallo, sul testo del disegno di legge che prevede l’introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale, tra i due rami del parlamento. Abbiamo ancora tempo? Sarà necessario, ora, procedere alla legge?
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