Diritti
Il Sole 24 Ore ha perso il ricorso contro la giornalista che aveva discriminato
Ne avevamo dato notizia per primi lo scorso luglio: la giornalista Lara Ricci, vicecaposervizio, curatrice delle pagine letterarie del supplemento culturale Domenica del Sole 24 Ore, aveva dimostrato di essere stata discriminata dal gruppo editoriale in occasione del suo congedo per maternità. Il Giudice in quell’occasione aveva reso esplicito quanto sia fondamentale – tanto per le lavoratrici quanto per le imprese – conoscere il Codice delle pari opportunità nella sua versione aggiornata. Un testo evidentemente preso poco seriamente dal caporedattore Marco Carminati, che ha demansionato la collega, riuscendo ugualmente a trovare sostegno a posteriori nell’amministratrice delegata Mirja Cartia d’Asero. La quale, pur essendo stata a sua volta una madre lavoratrice, non aveva mancato di definire ‘lunare’ la sentenza, oltre al comunicato del Comitato di redazione del Sole, esasperando così ulteriormente la lunga guerra interna combattuta contro i suoi membri, che da sempre hanno attenzionato il caso. Valutando le numerose prove documentali portate dalla vicecaposervizio, il Giudice aveva stabilito per lei un risarcimento di ben 150 mila euro, oltre alla restituzione delle mansioni.
Il gruppo editoriale aveva allora opposto ricorso, ma la vendetta annunciata non si è consumata, anzi. Il 16 gennaio il Gruppo ha perso di nuovo. Il dispositivo della sentenza ha dato per la seconda volta ragione a Ricci: la giudice Maria Beatrice Gigli del Tribunale di Milano ha confermato il decreto opposto, disponendo inoltre la pubblicazione “di estratto della sentenza sul quotidiano Il Sole 24 Ore, entro 7 giorni dalla pubblicazione”. Ed entro trenta giorni verrà depositato il testo della motivazione di questa nuova sentenza.
La vicenda che ha riguardato Lara Ricci, personalità di primo piano del giornalismo culturale, è senza precedenti. Ma allo stesso tempo è una storia che, come abbiamo scritto in occasione della sua prima vittoria nei confronti dell’azienda, risuona forte in tutte le donne che lavorano in contesti patriarcali, e che decidono di avere figli. Oppure di non averli, quando è proprio il lavoro precario, sottopagato o non adeguatamente tutelato a causare questa scelta.
Infatti, al di là delle diverse valutazioni che si possono sentire sul tasso di fecondità in Italia e sulla cosiddetta fuga di cervelli all’estero, gli effetti economici e demografici del divario di genere sono ormai noti: le ricerche (pubblicate anche dal Sole 24 Ore) mostrano come il divario faccia spesso perdere il lavoro alle donne. Nella maggior parte dei casi succede per l’impossibilità di conciliare lavoro e cura, oppure per mancato rinnovo del contratto o per un licenziamento vero e proprio, o ancora perché la lavoratrice valuta che continuare a lavorare di fatto non convenga in termini economici (optare per il part time può non essere la scelta migliore, quando significa guadagnare pochissimo).
E sembra assurdo, ma il Sole 24 Ore è stato il primo gruppo editoriale a vantare la Certificazione per la parità di genere, rinnovata di recente a dispetto della prima sentenza Ricci. Un’operazione di puro pinkwashing, dunque, che le consigliere di parità a quanto pare non hanno contrastato, o per lo meno non a sufficienza.
La storia di Lara Ricci, difesa dagli avvocati Margherita Covi e Giovanni Luca Bertone, ci ricorda che desiderare entrambe le cose – lavoro dignitoso e tempo per la vita privata – è un semplice diritto, e che questo deve essere rivendicato quotidianamente in tutte le sedi opportune. Non resta che aspettare la terza puntata della saga: il Sole ha intenzione di ricorrere in appello entro l’anno.
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