Diritti
Seppellire i morti
Sì, andrò a seppellire mio fratello
che è anche il tuo, tu lo voglia o no.
Nessuno potrà dir che l’ho tradito.
Sofocle, ANTIGONE
Oggi sabato che precede la Pasqua tutti i cristiani ricordano Giuseppe d’Arimatea, ricco notabile di Gerusalemme che si adoperò per la sepoltura di Gesù, andando da Pilato per prenderne il corpo e offrendo il proprio sepolcro per la deposizione.
Una necessità per tutti i credenti ebrei per i quali l’uomo che non riceve sepoltura appare come castigato da Dio, come un empio.
Una pratica di pietà che ha una radice antropologica assai profonda.
La paleontologia ci avverte sul fatto che il seppellire i morti segna una svolta nell’evoluzione. I primi umani si distinguono dagli animali proprio a causa del loro dare sepoltura ai morti: non li lasciano abbandonati alle intemperie, preda degli animali, ma li collocano in luoghi appartati, ne ricompongono il cadavere dandogli una posizione significativa e presto li venerano, li onorano con doni, cose preziose e anche cibi, quasi a esprimere il loro desiderio che vivano ancora.
Un’opera della pietà che non può, nelle circostanze in cui viviamo per l’emergenza sanitaria in corso, non essere confrontata con quanto succede in questi giorni.
Oggi non è possibile celebrare riti religiosi di congedo, non è possibile organizzare momenti di saluto o di ricordo.
Come icona emblematica e terribile di questi giorni rimarrà l’immagine della colonna dei camion militari per portare ai forni crematori le bare dei defunti di Bergamo.
Su Repubblica di ieri hanno pubblicato un’intervista a Gabriella Gribaudi, professoressa di storia contemporanea all’Università di Napoli, con studi specifici sulle catastrofi, le guerre e le calamità naturali, e un libro uscito proprio in questi giorni[1].
Ha dichiarato, evocando il lutto vissuto in solitudine in questi giorni: “è un’esperienza molto simile a ciò che si vive in guerra. Un tratto ricorrente nelle testimonianze dei familiari delle vittime è l’angoscia di non aver potuto dare degna sepoltura ai propri cari, perché il corpo non si trovava o perché si era costretti a tumulazioni velocissime, talvolta dopo la ricerca delle bare smarrite. Questo è un dolore che si protrae negli anni”.
Saranno molte le ferite da curare quando tutto sarà finito.
La mancata possibilità di dare una doverosa sepoltura ai morti si aggiunge alle altre.
[1] La memoria, i traumi, la storia. La guerra e le catastrofi nel Novecento, Vella
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