Diritti

I Rom del presidente Rossi, l’omicidio in diretta Facebook, e noi

3 Dicembre 2014

«Tortuga. Impero della Filibusta» è vecchio libro illustrato per bambini. Parlava di un’isola caraibica e dei filibustieri. Che c’entra con la foto di Rossi e con i malaffari romani?

E’ un curioso cortocircuito mediatico il fatto che una foto con dei vicini di casa vestiti sgargianti provochi commenti sdegnati e violentissimi, come è accaduto con il post del presidente della regione Toscana Rossi, e che invece la foto in cui si dichiara di uccidere la propria ex moglie si riempia di apprezzamenti. Crudeli appaiamenti dei siti di Repubblica e Corriere a suggerire che lo Zeitgeist è cinico. E con i rom, si sa.

Qualche anno fa accadde che sulla pagina del sindaco di Pisa, Filippeschi – che al contrario veniva accusato di una presunta zingarofobia -, i cittadini riservarono un florilegio di «ai rom gli darei fo’o» intercalati da «buonista» e «coglione» a un noto attivista per i diritti dei migranti, Sergio Bontempelli. E ovviamente «prendili a casa tua»; «vorrei vede’ se tu li avessi come vicini». Poi succede di averli come vicini e non va bene neanche quello.

In effetti anche io sono rimasto un po’ perplesso, di primo acchito. E poi mi sono vergognato. Perplesso perché ho pensato «eccallà, il buonismo della sinistra» e perché sapevo che avrebbe dato la stura a quella reazione di pancia lì, che dunque Salvini, la Meloni, e la gente che non ce la fa più. Vergognato perché dopo che nell’ultimo mese ha tenuto banco una retorica dell’assedio e del disprezzo, nascondere una cordiale relazione con rom sulla via dell’integrazione, per paura di essere accusati di propaganda o per paura di perdere voti, vuol dire avere già perso una battaglia più grande.

Un gesto, quello di Rossi, che evidentemente non era scontato (a giudicare dalle reazioni) e che è divenuto però ancora più significativo alla luce delle vicende romane odierne, ben più che imbarazzanti. Che ci sia un problema di integrazione e di convivenza con i rom è evidente. Se ne è ampiamente discusso qui. Quello che non ha senso è considerarla una battaglia perduta e soprattutto infarcirla di falsità. L’esasperazione della gente non va combattuta urlando «al lupo». E neanche rassicurando senza agire. Partiamo dalla prima questione e andiamo verso la seconda.

Nel 2008 si parlò di 3 rapimenti di bambini da parte di rom, in pochissime settimane. A Napoli e Catania furono pretesto per raid violenti e sgomberi. Poi si scoprì che i casi erano falsi, ma le assoluzioni passarono sotto silenzio. Toccavano una paura profonda che è – come spero sia noto – una menzogna con le gambe lunghissime: per fortuna casi di rapimenti di bambini da parte rom in Italia non ce ne sono mai stati.

In questi giorni si è scoperta essere falsa la notizia del Messaggero che sosteneva che i rom avessero attaccato alcune scuole romane. Falsa ma sufficiente a far sì che Casa Pound si muovesse per impedire ai bambini di un campo rom di andare a scuola. Che è la mossa più scema che si possa fare per risolvere il problema; perché controllando che i bambini vadano a scuola si impedisce che vadano per strada, sia ora sia nel futuro. Certo è una buona mossa da parte di chi ha interesse a lasciare i rom ai margini, in modo da avere un focolaio eterno su cui soffiare quando non si sa più che pesci prendere.

Se una parte dei Rom sono un problema nelle nostre città non sarebbe tempo di vedere quali sono le buone pratiche per risolverlo, piuttosto che fomentare l’odio? Salvini e la Meloni hanno ragione su una cosa; i campi sono un sistema per cui spendiamo troppo e che non sono per nulla dignitosi. Però se non li si vuole nei campi, se non li si vuole nelle scuole, se non si vuole procedere a una politica abitativa, se non c’è un territorio in cui rispedirli, quale sarebbe la soluzione proposta dalla destra? Qualche sospetto mi viene, e non è piacevole.

Poi passa un giorno ed emerge che a Roma, come da tempo denunciano le associazioni di settore, i campi vengono mantenuti in buona parte per interessi economici, attraverso una rete estesa e vischiosa. Si scopre che la funzionaria del comune addetta alla gestione dei nomadi, ora indagata, è  in contatto con una cupola di affaristi, con la testa a destra e braccia anche a sinistra. Oltre a mostrarci la ragnatela della collusione, l’inchiesta ci ricorda che con gli immigrati e i rom ci si mangia; e a mangiarci sono degli italiani. Dei 35 euro che vanno ai richiedenti asilo politico, 33 vanno a albergatori, imprese di bonifiche, mediatori. Per quanto riguarda i rom, secondo l’Associazione 21 luglio, lo scorso anno se ne sono andati 24 milioni, e non un euro è finito in tasca alle comunità rom. Di questo ha ottimamente scritto Laura Eduati sull’Huffington Post.

Se si intraprendesse un percorso per favorire l’inclusione e uscire in maniera definitiva dalle ottiche di assistenzialismo, si spenderebbe di più? Non credo. Si spenderebbe meglio? Certamente. Conosco l’obiezione: pensiamo prima agli italiani. Non vi è solo il fatto che scolarizzare e curare la marginalità serve anche a contrastare la delinquenza e dunque a migliorare la sicurezza degli italiani. Vi è pure  che parte consistente dei rom sono italiani, e quindi l’obiezione è valida solo in parte. Sono inoltre italiani che spesso non possono accedere alle case popolari, se vi è una clausola che stabilisce che non si sia già in strutture abitative permanenti (e per quanto abnormi, i campi sono spesso considerati tali e non «strutture temporanee»), come succede a Roma.

Ma soprattutto due cose. In primo luogo, come detto, già ora spendiamo cifre altissime per i campi, per un sistema che non funziona. Per fare esempi diversi, a Pisa, vi è stato un progetto di politica edilizia straordinaria, per numeri precisi, legata al rispetto di norme di legalità e alla frequenza scolastica. Il progetto venne chiamato «Città sottili» ed è stato in funzione dal 2002 al 2009. Secondo le cifre che sono riuscito a reperire in rete, è costato 3 milioni di euro ed ha agito su circa 500 Rom; a Roma per una presenza stimata di 7000 rom sono stati spesi quasi 80 milioni in un lasso di tempo comparabile (2005-2011). Se fate i conti, integrare conviene. In secondo luogo esistono fondi europei che possono essere usati in questa chiave: dunque i fondi per la politica abitativa rom non tolgono soldi alle politiche di sostegno per le altre famiglie italiane. L’Unione Europea del resto, nell’aprile di quest’anno, ha promulgato un atto che impegna gli Stati membri a prendere misure per colmare il divario fra i Rom e il resto della popolazione attraverso 4 punti cardine: istruzione, sanità, alloggio, lavoro.

Se pensiamo che guardare ai rom è solo un rigurgito di buonismo da salotto, che se lo meritano, che non ci riguarda, andrebbe ricordato che quando tacciono le strumentalizzazioni delle destre, c’è una triste contabilità della marginalità. A Roma, nel febbraio 2011, morirono in un incendio 4 bambini rom. La stessa tragedia era accaduta nel 2007 in un incendio in un campo a Livorno; nel 2010 fu trovata carbonizzata a Follonica, in una baracca di fortuna, una bambina di 5 mesi.

Ma peggio fu quello che successe negli anni ’90, a colpire l’ondata di rom appena arrivata per fuggire la guerra. Nel 1995, in due paesi del pisano, Lari e Cascina, un gruppo rimasto ignoto, nominatosi la Fratellanza Bianca, decise di dichiarare la propria guerra. Scelse nemici di rango. Un giorno consegnarono un scatola regalo, con dentro una bomba, a due fratellini, Sengul, 13 anni, e Emran, 3 che persero entrambi un occhio. Qualche settimana prima, Matteo Salkanovic, di 5 anni, aveva visto a terra, all’ingresso del campo, tra la polvere e la guazza, una libro con copertina colorata, e una vecchia mille lire sopra. Sulla copertina erano disegnati soldati e navi e mare. Era «Tortuga. L’impero della filibusta». Matteo la prese e gli esplose la mano. Libro-bomba, il neologismo più infame, scrisse De Gregori sull’Unità. All’epoca sulla mille lire c’era la Montessori, dilaniata.

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