Diritti
Ripartire dai Rom
Durante la puntata di ieri (2 marzo) di Presa Diretta, una bravissima Dijana Pavlovic ha ricordato la tragedia delle sterilizzazioni di donne Rom in Svizzera dagli anni venti fino al 1974. Una storia che pochi conoscono, e che rappresenta la continuazione, nel cuore dell’Europa e in quello che si considera un paese civile, del Porrajmos, lo sterminio nazista dei Rom. Erano parole, quelle di Dijana, che meritavano di essere seguite dal silenzio: dalla riflessione, dal rispetto. Sono state seguite, invece, dall’ennesima manifestazione di razzismo. Il leghista Buonanno, uno dei rappresentanti più pittoreschi del movimento, dopo aver rovesciato contro i Rom le solite accuse, ha concluso: “Gli zingari sono la feccia della società”. Ed il pubblico ha applaudito.
Chiunque dia addosso ai Rom, nel nostro paese, può essere sicuro di ricevere applausi: e di ottenere voti. Nei confronti dei Rom è in atto nel nostro paese una calunnia continua, sistematica e pericolosissima, che passa principalmente attraverso la disinformazione pseudo-giornalistica. E’ significativo il caso di qualche giorno fa: due ragazze Rom portate in questura a Siena sostanzialmente solo perché Rom, e denunciare per il possesso di tre cacciaviti. Il comunicato della Questura di Siena, ripreso dai giornali, era così titolato: “Fermate dalla Polizia due ladre con arnesi da scasso”. Un titolo che lascia intendere che le due ragazze siano state fermate per aver rubato, e non per il possesso di strumenti che, nella interpretazione della polizia, potevano servire per rubare (evidentemente, non si può fare a meno di notare, alcuni oggetti cambiano di funzione se posseduti dai Rom). E’ risaputo che molte persone si fermano alla lettura dei titoli: e quell’articolo, come tanti, avrà confermato il lettore medio nei suoi pregiudizi ziganofobici.
Molto conta, nell’alimentare l’odio, l’assurda convinzione che le donne Rom rapiscano i bambini. Una convinzione fondata sul nulla, ma che si alimenta costantemente grazie a pseudo-notizie giornalistiche. Per una donna Rom è molto facile finire in galera con l’accusa di aver tentato di rapire un bambino. Basta che gli si avvicini, magari solo per fargli una carezza. O anche meno. Nel 2007 a Maria Feraru, una donna Rom di 45 anni madre di otto figli, di cui uno malato di poliomielite, bastò il fatto di trovarsi casualmente vicino ad un bambino, sulla spiaggia di Isola delle Femmine, perché scattasse contro di lei l’accusa di volerlo rapire e finisse in galera. E può ritenersi fortunata, perché il processo nel suo caso ha consentito di accertare la verità. «Il gesto compiuto dalla nomade sulla spiaggia se posto in essere da una qualunque altro bagnante sarebbe stato interpretato quale manifestazione delle più varie intenzioni: dalla coccola verso il bambino, al tentativo di fermarlo mentre correva verso la strada”, ha ammesso il giudice. Una madre di otto figli è stata messa in galera per la sola colpa di non aver mantenuto una distanza di sicurezza tra sé e il bambino, evidentemente nemmeno per colpa sua, poiché era stato il bambino a correre verso di lei. In quanti avranno letto la notizia della sua scarcerazione? Quanti di quelli che, leggendo la notizia del suo arresto, si sono rafforzati nei loro pregiudizi, sono stati poi adeguatamente informati dell’innocenza della donna, ed aiutati a riflettere sulla gravità della cosa?
Le donne Rom non rubano i bambini. Si può dire che non rubino in generale? Se si rispondesse alle infamanti accuse contro i Rom affermando che tutti i Rom sono onesti, si direbbe evidentemente il falso. Esattamente come si direbbe il falso se si sostenesse che sono onesti tutti i foggiani, o i napoletani, o i torinesi; o, ancora, che lo sono tutti gli onorevoli, compresi gli invasati ziganofobi leghisti. E’ una questione di percentuale, si dirà. Vero. E di percezione sociale, bisogna aggiungere.
La nostra società è stratificata: ci sono i ricchissimi, i ricchi, la gente che se la cava, la gente che non ce la fa. I ricchissimi e i ricchi, quelli che stanno in alto, hanno molti poteri. Tra gli altri, il potere di far passare inosservati i loro reati. E di depenalizzare reati che, per la loro natura, causano danni profondi alla società. I ricchi sono per natura rispettabili; può essere che subiscano qualche processo, ma molto raramente finiscono in carcere. Le carceri invece sono piene di quelli che stanno in basso, i cui reati sono evidentemente imperdonabili. Detto in altri termini: in Italia, come altrove, c’è una giustizia di classe. Una giustizia che non è affatto uguale per tutti, come pretende; e ciò è uno scandalo, ed il fatto che di questo scandalo non si parli è uno scandalo anche maggiore.
C’è ragione di ritenere che la commissione di reati sia più frequente ai due estremi della società: in alto e in basso. In alto, per la forza corruttrice del denaro e del potere e la facilità di farla franca, di cui ho appena detto. In basso, per necessità e disperazione, per mancanza di denaro e di lavoro, perché non si vede altra via per ottenere accesso alle risorse.
Ora, consideriamo i Rom. Della ziganofobia fa parte la convinzione che essi siano naturalmente portati al furto ed alla delinquenza, e che rappresentino nel nostro paese un corpo estraneo, che è bene estirpare. Quest’ultima convinzione è errata non meno della prima. Una percentuale significativa di Rom – più del 60% – è in possesso della cittadinanza italiana. Sono italiani, con i diritti ed i doveri di tutti gli italiani. Quanto ai loro comportamenti delinquenziali, ammettendo che siano significativi, proviamo a darne una lettura diversa da quella etnica. La posizione dei Rom nella società italiana è di totale esclusione. In una immaginaria piramide, occuperebbero la base. Non sorprende che su di loro si scarichino tutte le tensioni della società. I Rom rappresentano una minoranza etnica sottoproletaria. Di queste due caratteristiche – l’essere minoranza etnica e l’essere sottoproletariato – vorrei evidenziare la seconda. Proviamo a interpretare i Rom come sottoproletariato. In quest’ottica, i loro reati acquistano un significato diverso. E’ noto che presso il sottoproletariato la frequenza di alcuni crimini è maggiore che in altre classi sociali. I sottoproletari rubano, violentano, estorcono eccetera molto più di altre classi sociali. Un confronto tra sottoproletariato Rom e sottoproletariato italiano sembra essere, da questo punto di vista, a tutto vantaggio del primo. I Rom non hanno creato vaste organizzazioni criminali come la camorra o la ‘ndrangheta, non hanno mai costretto negozi a chiudere per via del racket, non si sono mai infiltrati negli appalti. Al confronto con i criminali italiani, sono dei dilettanti. La loro è una sorta di delinquenza di sussistenza, disorganizzata, che non incide significativamente sul tessuto economico della comunità, a differenza delle grandi organizzazioni criminali italiane.
Ogni gruppo sociale costretto ai margini e ridotto all’impotenza tenta, con gli strumenti che ha, di ottenere le risorse che gli occorrono. In una società che funzioni, nessun gruppo sociale deve far ricorso a strumenti violenti per la propria sussistenza. La società italiana è molto lontana dall’essere una società che funzioni. E’ una società fortemente diseguale, nella quale la ricchezza ed il potere sono concentrati nelle mani di pochi e la mobilità sociale è bloccata. In uno scenario simile, le attività delinquenziali dei gruppi marginali non possono che essere interpretate come segnali riguardanti il malfunzionamento dell’intero sistema.
Gli zingari sono la feccia della società, ha detto Buonanno. La feccia rappresenta lo scarto di una lavorazione, quel che resta di una trasformazione. In enologia, non è infrequente che la feccia venga chiamata “la mamma del vino”. Il cambiamento di cui abbiamo bisogno consiste nel riconoscere nella madre Rom che finisce in galera solo perché si è avvicinata a un bambino – anzi, solo perché un bambino le si è avvicinato – “la mamma della società“: quel residuo delle nostre logiche violente, discriminanti, omicide che occorre guardare in faccia e prendere per mano per cambiare la nostra società, prima che sia troppo tardi.
Nell’immagine: Dijana Pavlovic.
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