Diritti

Quel fastidioso orpello chiamato Democrazia

5 Giugno 2017

Viviamo un’era di incertezza e di paura diffusa, al punto che i valori che ritenevamo fondanti della nostra società rischiano di essere scambiati per un freno al decisionismo invocato nella classe politica. I rischi sono enormi

Che sia finita l’era del “politichese”? Le raffinate supercazzole grazie alle quali si dice tutto e niente, sorridendo di fronte a esiti elettorali disastrosi e sottraendosi a situazioni imbarazzanti sono un vero e proprio genere letterario, ben conosciuto tanto da chi si occupa di comunicazione, tanto dai cittadini che cercano di decifrare le intenzioni dei loro rappresentanti come se si trattasse della Stele di Rosetta.

Ma le cose cambiano e la comunicazione si adegua. L’energico “Enough is enough” di Theresa May non lascia spazio a interpretazioni: secondo la Premier britannica l’Occidente è stato “troppo tollerante con gli estremisti” e dirlo senza giri di parole lo rende certamente più efficace.

Non è da meno Donald Trump, twittatore ai limiti della compulsività, che subito dopo l’attentato al London Bridge ha scritto sul suo social preferito: Dobbiamo piantarla di essere politically correct e occuparci della sicurezza della nostra gente. Se non ci facciamo furbi, le cose potranno solo peggiorare”.

Se l’uomo più potente del mondo si esprime in questo modo non è certo per la situazione contingente, ma per un più radicale cambio di passo, che ci costringe a farci delle domande su quanto abbiamo sempre dato per scontato.

Il fatto che il Presidente degli Stati Uniti si esprima come nelle chiacchere da bar non è “solo” un dato comunicativo, ma di sostanza. Così come l’uomo della strada propone di affondare i barconi degli immigrati o di ripristinare i forni crematori per gli “zingari” (cose che, purtroppo, ho sentito davvero con le mie orecchie), Trump torna sul suo discusso “travel ban” e, in un altro dei suoi numerosi tweet, auspica che la giustizia americana la pianti di fare tante storie e gli consenta di procedere con quello che lui ritiene giusto per la sicurezza dei cittadini.

Il filo rosso che lega tutti questi casi è l’idea secondo la quale le leggi, i diritti civili, le garanzie acquisite e, in buona sostanza, la Democrazia siano un fastidioso problema, un ostacolo all’adozione di provvedimenti che vengono invocati per scacciare le principali paure del difficile periodo che stiamo vivendo: terrorismo, immigrazione, povertà, mancanza di lavoro e sicurezza.

“Non mi interessa come, ma risolvete i miei problemi” è il grido che, in diverse forme, sempre più cittadini rivolgono alla classe politica. Credo di non essere l’unico al quale è capitato di sentire dire che “un po’ di dittatura”, delle leggi speciali, meno garantismo e un inasprimento generalizzato delle pene farebbero bene al Paese.

Dietro a questa pericolosa deriva c’è un dato di realtà. Se non troviamo il modo di connotare la democrazia come uno strumento che, per quanto imperfetto, è ancora il migliore per realizzare l’obiettivo di una società giusta e coesa, nella quale il rispetto delle regole promuova la paciifica coesistenza tra le differenze, non avremo più argini credibili di fronte alle pressioni che provengono dall’estrema destra e dai diffusi populismi che attraversano la nostra malandata Europa.

Dobbiamo essere in grado di interpretare i bisogni del presente affermando i valori democratici e nel contempo superando quei problemi oggettivi che ne mettono in discussione l’efficacia. I sempre più stretti vincoli economici posti a carico degli enti locali e la carenza di cultura politica che mette i rappresentanti del popolo in balia di dirigenti molto più ferrati sulle necessarie technicalities amministrative richiedono un salto di qualità.

O la democrazia dimostra di poter davvero migliorare la qualità della vita sociale, oppure sarà difficile difenderla dalle pulsioni di un mondo sempre più spaventato e, quindi, imbarbarito.

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