America

Prigionieri politici della Rivolta Sociale in Colombia: il caso Z11 SUBA

15 Dicembre 2022

Come in Cile, anche in Colombia sono migliaia i giovani detenuti in attesa di giustizia, dentro e fuori le carceri colombiane, dentro e fuori il Paese. Tra i giovani imputati c’è il caso di Jonathan Cortés e Karina Cepeda, accusati di terrorismo dalla giustizia colombiana.

Karina Cepeda e Jonathan Cortés sono stati catturati il ​​27 ottobre dello scorso anno. Cosí inizia l’odissea dei due giovani, condannati come parte della prima linea colombiana, e questo nonostante siano giornalisti. Sono accusati di “disturbo al servizio di trasporto pubblico, collettivo o ufficiale; danneggiamento della proprietà altrui; violenza nei confronti di un pubblico ufficiale, uso o lancio di sostanze od oggetti pericolosi, terrorismo, nel comune di Suba”. Queste accuse possono ancora cambiare, fino all’inizio del processo.

In questi ultimi giorni il presidente colombiano, Gustavo Petro, ha annunciato che prima di Natale avrebbe liberato centinaia di giovani imprigionati durante l’epidemia sociale. Tuttavia, la pausa delle attività del governo colombiano a dicembre mitiga la speranza di questi giovani: le parole di Petro si trasformeranno in atti concreti?

Il problema centrale è che molti di questi giovani sono stati accusati di crimini contro l’umanità che non sono coperti da un ipotetico indulto. Queste imputazioni sono state dirette ai manifestanti della Rivolta Sociale per evitare, effetivamente, ogni forma di amnistia o asilo politico in altri paesi, e in modo da servire da monito e da esempio per evitare future proteste.

Questo fatto trova le sue radici nel provvedimento dell’ex ministro della Difesa di Iván Duque, Diego Molano, che nel 2019, durante le proteste universitarie, ha modificato l’articolo che regolava queste stesse proteste: prima in questi casi i detenuti erano accusati di “rivolta”, che era un delitto minore. Diego Molano cambia il termine “rivolta” in “agitazione sovversiva”, che è incluso negli articoli sul terrorismo; in questo modo i manifestanti hanno potuto essere accusati di crimini contro l’umanità.

In questo momento, Karina e Jonathan hanno scelto l’esilio per evitare un’ingiusta detenzione in carcere e dopo aver pagato quasi un anno di arresti domiciliari senza essere stati formalmente accusati.

“Il nostro processo inizia il 27 ottobre 2021: ci siamo noi due, giornalisti, che si occupavano della stampa, e le altre tre persone accusate con noi, un ambientalista e scrittore, e altri due ragazzi che protestavano”, ci racconta Jonathan Cortés. “Siamo i famosi cinque del caso Suba. Attualmente siamo io e Karo che siamo in esilio, poiché abbiamo deciso di non accettare il mandato di arresto e lasciare il Paese. Non sappiamo assolutamente nulla del difensore ambientale, né gli avvocati ci danno notizie al riguardo. L’altra ragazza, se non erro, ha potuto fare qualcosa con la Procura, anche se non abbiamo maggiori dettagli, anche se a quanto pare è riuscita a disporre una misura cautelare domiciliare, che era quella che avevamo. L’altro ragazzo, l’altro manifestante, è attualmente in carcere, che è Andrés Felipe Rodríguez Chávez. È l’unico di noi cinque che era in questo caso che si trova effettivamente in carcere ed è già stato formalmente condannato”.

Il giudice che si sta occupando del caso di Karina e Jonathan li avrebbe fatti tornare a casa, lo stesso che ha detto che “non sono un pericolo per la società”. Tuttavia, la Procura non è d’accordo con questa decisione.

Karo e Jonathan sono attualmente difesi dal Comitato per la Solidarietà con i Prigionieri Politici (CSPP), una delle fondazioni più antiche della Colombia.

“Oggi in Colombia c’è una situazione molto complicata in ambito penale, perché nei casi di falsi positivi[1] i tribunali stanno collocando giudici penali specializzati in reati come il terrorismo. Questi giudici sono stati creati appositamente per smantellare o perseguitare i membri della guerriglia, dei gruppi illegali, armati e organizzati, e non dovrebbero giudicare i giovani che si sono semplicemente serviti della libertà di manifestare”, continuano a dirci Karo e Jonathan.

In effetti, il rischio dell’attuale situazione, che rende quasi impossibile qualsiasi grazia o ricorso a un’organizzazione internazionale, è proprio questa condanna di terrorismo, oltre agli intrecci susseguitesi in Colombia con il progetto “Pace Totale”. Per quest’ultimo nel dibattito parlamentare ci sono stati 62 voti favorevoli e 13 contrari. Quel progetto è cambiato nel tempo: i primi grandi cambiamenti sono stati annunciati prima del dibattito. Il governo ha deciso di rinunciare all’idea di concedere la grazia ai membri del fronte che erano in carcere. Anche l’approvazione di quanto concordato dal Congresso o da qualche altro meccanismo è stata resa obbligatoria, come è avvenuto negli Accordi di Pace de La Habana.

“È uno scenario complicato, Petro aveva detto ‘sì, li liberiamo’ e ‘liberiamo i giovani’, ma sappiamo anche che questo è populismo. Allo stesso modo, si sono verificati due eventi importanti: il primo è stata la creazione della commissione accidentale, composta da diversi deputati, onorevoli rappresentanti e senatori per la liberazione di persone come noi. La seconda è la questione della “Pace Totale”, volevano includerci nella “Pace Totale” con guerriglieri o paramilitari, come se fossimo seriamente un gruppo criminale, cioè non come giornalisti, ma come manifestanti. Quindi, essere all’interno di una “Pace Totale” significava accettare quello che ci stava accadendo, cioè ammettere di avere delle responsabilità, di essere un gruppo armato, di essere uno dei cattivi. Fortunatamente non è successo perché era la cosa sbagliata. In verità, il fatto di no fare parte della “Pace Totale” è un sollievo. E ora, riguardo a questa seconda proposta, sappiamo che sostanzialmente sarà per il prossimo anno poiché i funzionari vanno in vacanza e presumiamo che sarà risolta entro la metà del prossimo anno”, continuano Karo e Jonathan, sottolineando che in questo momento la magistratura colombiana è rappresentata da Francisco Barbosa, lo stesso procuratore del governo precedente, che ha ordinato anche l’arresto dei giovani dei falsi positivi giudiziari.

“Essendo Barbosa la massima autorità della Magistratura, in questo caso non si può assolutamente fare nulla e lui non si arrenderà. E perché ha l’autonomia per fare questo genere di cose. Per avere un “cambiamento”, bisognerebbe aspettare che questo procuratore esca e che si nomini qualcuno un po’ meno di parte nell’affrontare queste questioni. Allo stesso modo, parlando di noi, per ottenere l’amnistia o la grazia dovremmo arrivare a una fase processuale in cui finiscono per condannarci a 15, 20, 30, 40 anni, come hanno condannato altri giovani. Lì potremmo parlare della possibilità di un perdono, ma è molto difficile perdonare qualcuno che ha commesso un crimine contro l’umanità. È quasi impossibile a causa dei trattati internazionali. Quindi, questo piccolo problema è quello che stanno discutendo in tutta tranquillità, è quello che vogliono fare con il tavolo alternativo penale riguardo a questi crimini contro l’umanità. Ma se la Procura insiste per non rimuoverli, sarà impossibile” continuano a dirci i due giovani cronisti.

“Parliamo di un caso in cui c’è una sentenza molto diversa da quella degli altri, anche se si tratta comunque di un caso di falsi positivi giudiziari, che è il caso dei ragazzi di Portal Resistencia. Questo caso è stato deciso più o meno 15 giorni fa e sono stati condannati per due crimini, a 15 anni di carcere, e uno di questi era contro l’umanità. Quei ragazzi non sono coperti dall’indulto, perché uno dei crimini è contro l’umanità: il reato di tortura. Quindi tecnicamente il governo, per chi non conosce la materia, dipinge per loro cose molto belle, ma in realtà non è così… te l’ho detto, di torture, rapimenti e terrorismo. Se il nostro caso continua con quei tre crimini, e ci accusano e ci condannano con gli altri tre ragazzi per quei tre crimini, non possono concederci l’amnistia. Poi passa anche tutta la faccenda della pace che non ci aiuterà affatto”, spiegano i giovani.

Intanto l’attesa è lunga, perché per arrivare al processo, per chiedere presumibilmente la grazia, bisogna aspettare un tempo enorme.

“Gli avvocati sono stati molto enfatici: ci hanno detto che questo processo durerà da un minimo di due anni a un massimo di sei anni”. Troppo tempo.

Il problema è che “se la giustizia viene ritardata, semplicemente smette di essere giustizia. Con la commissione penale alternativa, ciò che vogliono esaminare è caso per caso, uno per uno, passo dopo passo. Ci sono alcuni articoli, anche nella stessa Costituzione colombiana, che definscono illegale il modus operandi utilizzato in questi casi da parte della giustizia colombiana, la stessa Corte Interamericana dei Diritti Umani (IACHR) dice che un reato di terrorismo non può essere imputato a un atto di protesta sociale. E, nonostante ciò, in Colombia ignorano queste norme e queste leggi internazionali e fanno semplicemente quello che vogliono”.

Allora vale la pena chiedersi, dov’è la giustizia per tanti giovani che hanno deciso di protestare contro le ingiustizie di un governo che trascina ancora le cicatrici dei suoi errori?

Di Elena Rusca & Felipe Román Lozano, pubblicato nel “El Clarín de Chile” il 4 dicembre 2022

[1] Lo scandalo dei falsi positivi è emerso alla fine del 2008, ha coinvolto numerosi membri dell’Esercito nazionale colombiano, responsabili di omicidi extragiudiziali di civili innocenti fatti passare per guerriglieri uccisi in combattimento, nel quadro del conflitto armato in atto dal 1964 tra truppe regolari, Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC), Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e altre brigate paramilitari. In questo caso si intende “falsi positivi a livello giuridico”.

 

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