Diritti

Porrajmos: riscoprire la memoria dello sterminio di rom e sinti

5 Febbraio 2019

È come se una città grande poco meno di Genova fosse svuotata e i suoi abitanti massacrati tutti, dai lattanti agli anziani. Altrettanto vasto è stato lo sterminio di rom e sinti nei lager nazifascisti sparsi per l’Europa. Ma si tratta di morti poco conosciuti. Per questa ragione il 3 febbraio, all’interno della Settimana della Memoria, l’associazione 21 luglio ha organizzato assieme all’associazione Progetto Memoria un evento commemorativo dal titolo Porrajmos.

Con questa parola della lingua romanì, che significa “grande divoramento” o “devastazione”, i rom e i sinti chiamano lo sterminio del loro popolo ad opera di fascisti e nazisti.

Un centinaio di persone, tra cui rom, sinti, ebrei sopravvissuti alla shoah, comuni cittadini di tutte le età e studiosi del razzismo, si sono dati appuntamento al ghetto di Roma, nonostante la pioggia invernale, e hanno camminato fino al quartiere Monti, che nel ‘600, secondo varie testimonianze e come ricorda anche la toponomastica del luogo, era popolato da rom e sinti. Dal Ghetto a Monti proprio per sottolineare la vicinanza dello sterminio del popolo ebraico e di quello rom e sinti.

Il presidente dell’associazione 21 luglio Carlo Stasolla ha guidato il gruppo nella “passeggiata della Memoria” organizzando il susseguirsi degli interventi. La prima testimonianza è stata quella di Lello Dell’Ariccia, che ha raccontato come la sua famiglia si è fortunosamente salvata dal rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943: suo zio era un sarto rinomato e tra i suoi clienti aveva alcuni diplomatici sovietici. Furono loro ad avvisarlo delle intenzioni dei nazifascisti, ma nessuno nella comunità ebraica romana volle credergli: era un orrore troppo grande per essere vero, secondo loro. Solamente i genitori del signor Dell’Ariccia si fidarono della sua parola e così riuscirono a mettersi in salvo scampando al rastrellamento insieme ai figli. “Quel giorno – spiega il sopravvissuto – 1022 persone di tutte le età sono state catturate e condotte ai lavori forzati o a morire gasate nei lager. Di questi, più di 200 erano bambini. Lo choc per mia madre è stato talmente forte, che da allora non è stata più la stessa”.

Ma come si può tramandare la memoria se dilagano i negazionisti, coloro cioè che sostengono che lo sterminio nazifascista non c’è mai stato oppure che è stato un evento marginale imputabile ai soli nazisti e non anche ai fascisti? Secondo il signor Dell’Ariccia criminalizzare il negazionismo è un errore, perché si fa passare per vittima chi ha idee del genere e si alimentano le teorie complottiste contro gli ebrei. “La soluzione è continuare a parlare – spiega il sopravvissuto – raccontare alle giovani generazioni quello che è successo e non lasciar correre quando si sente qualcuno che esprime il pensiero negazionista”. Il signor Dell’Ariccia invita tutti a conoscere l’associazione Progetto Memoria di cui lui fa parte e a iscriversi per contribuire a ricordare quanto è successo perché non si ripeta.

Alla passeggiata della Memoria partecipa anche la signora Dzemila, di origine rom: “Penso che iniziative come questa siano molto importanti, perché la gente ha la memoria abbastanza corta e se non si ricordano gli errori commessi durante la guerra, si possono ripetere. Prima non si parlava di quello che come popolo abbiamo subito: ora la memoria è stata riscoperta ed è importante preservarla, anche perché gli ultimi sopravvissuti dei lager, testimoni diretti di quello che è successo, stanno scomparendo”.

La signora Dzemila ha perso metà della sua famiglia nei lager e spiega che il rapporto con la memoria per i suoi cari è molto complicato: “Molti dei miei parenti non ne vogliono parlare: è qualcosa di brutto da dimenticare, quasi come se fosse una colpa. L’unica che mi raccontava quello che è successo era la mia bisnonna, che oggi non c’è più: era stata internata assieme a mio nonno paterno, suo figlio, ma si sono salvati. Durante la guerra, infatti, la sua famiglia ha provato a nascondersi, ma sono stati trovati; hanno ammazzato davanti agli occhi della mia bisnonna i suoi genitori e i fratelli, bruciandoli vivi, ma lei è stata risparmiata, forse perché era molto bella ed era chiara di carnagione, ed è stata rinchiusa in un lager insieme ai suoi figli, tra cui mio nonno paterno. Il campo di sterminio in cui è stata prigioniera era nella ex Jugoslavia, non so esattamente dove, ma so che era gestito da italiani”.

La passeggiata prosegue con l’intervento dell’antropologa e attivista antirazzista Annamaria Rivera: “Secondo studi americani, il Porrajmos è stato molto più vasto di quanto si pensi: è probabile che siano stati sterminati fino a 1,5 milioni di rom e sinti, perché in moltissimi sono stati fucilati appena catturati. Solo un terzo di loro, quindi, fu portato a morire nei lager”. La studiosa afferma che, per contrastare il razzismo che continua a colpirlo, è necessario dare la parola proprio a questo popolo. “In pochi sanno che tanti di loro hanno contribuito attivamente alla resistenza – prosegue Rivera – come Amilcare Debar, detto Taro, che era leader dei sinti cuneesi e che, con il nome di battaglia di Corsaro, combatté nella 14° brigata Garibaldi contro l’occupazione nazifascista”.

Eppure, la convivenza pacifica tra i popoli, secondo l’antropologa, è realizzabile. Per dimostrarlo Rivera ha organizzato una mostra fotografica intitolata “Un’antropologa a Essaouira”, che si terrà a Roma nella Biblioteca storica nazionale dell’Agricoltura dal 6 al 27 febbraio. La mostra è una selezione di fotografie scattate dalla studiosa nel corso di una lunga ricerca di campo, che mostrano come Essaouira, in Marocco, sia un modello di integrazione e convivenza pacifica.

Alla passeggiata della Memoria è presente e parte attiva anche un gruppo scout, il Roma 8, che ha lavorato al progetto: “Oltre i pregiudizi: alla scoperta dei rom”. “Sono stati proprio i ragazzi a voler conoscere meglio rom e sinti – spiegano i capi scout Gaia Cerquetelli e Marco Parisi – Quindi abbiamo fatto un sondaggio su un campione di 750 abitanti del nostro quartiere, Della Vittoria, e sono emersi pregiudizi fortissimi contro questo popolo. Siamo partiti proprio da qui per realizzare un video in cui diamo la parola a rom e sinti che parlano di se stessi smontando i luoghi comuni”. Il video sarà presentato il 15 febbraio alle 21 a Roma, presso il teatro Verde, con ingresso libero fino a esaurimento posti.

Spiega Ilaria, scout quindicenne: “Il nostro quartiere è molto frequentato dai rom e a me e ai miei amici dà fastidio il pregiudizio contro di loro, perché non è fondato su dati certi”. Osserva la coetanea Margherita: “Abbiamo scoperto che anche noi avevamo pregiudizi: pensavamo che i rom e i sinti vivessero tutti nei cosiddetti campi rom, ma non è vero, perché chi abita lì è una minoranza di questo popolo”. E Matilde interviene per completare il pensiero delle sue giovani amiche: “Chi ha pregiudizi non è cattivo: è solo ignorante. Con il nostro progetto vogliamo dire alle persone di informarsi sempre prima di dare un giudizio su qualcuno”.

Le persone depongono fiori davanti alla targa che ricorda il Porrajmos nel quartiere Monti di Roma
Le persone depongono fiori davanti alla targa che ricorda il Porrajmos nel quartiere Monti di Roma
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