Diritti
Porrajmos: riscoprire la memoria dello sterminio di rom e sinti
È come se una città grande poco meno di Genova fosse svuotata e i suoi abitanti massacrati tutti, dai lattanti agli anziani. Altrettanto vasto è stato lo sterminio di rom e sinti nei lager nazifascisti sparsi per l’Europa. Ma si tratta di morti poco conosciuti. Per questa ragione il 3 febbraio, all’interno della Settimana della Memoria, l’associazione 21 luglio ha organizzato assieme all’associazione Progetto Memoria un evento commemorativo dal titolo Porrajmos.
Con questa parola della lingua romanì, che significa “grande divoramento” o “devastazione”, i rom e i sinti chiamano lo sterminio del loro popolo ad opera di fascisti e nazisti.
Un centinaio di persone, tra cui rom, sinti, ebrei sopravvissuti alla shoah, comuni cittadini di tutte le età e studiosi del razzismo, si sono dati appuntamento al ghetto di Roma, nonostante la pioggia invernale, e hanno camminato fino al quartiere Monti, che nel ‘600, secondo varie testimonianze e come ricorda anche la toponomastica del luogo, era popolato da rom e sinti. Dal Ghetto a Monti proprio per sottolineare la vicinanza dello sterminio del popolo ebraico e di quello rom e sinti.
Il presidente dell’associazione 21 luglio Carlo Stasolla ha guidato il gruppo nella “passeggiata della Memoria” organizzando il susseguirsi degli interventi. La prima testimonianza è stata quella di Lello Dell’Ariccia, che ha raccontato come la sua famiglia si è fortunosamente salvata dal rastrellamento del ghetto di Roma del 16 ottobre 1943: suo zio era un sarto rinomato e tra i suoi clienti aveva alcuni diplomatici sovietici. Furono loro ad avvisarlo delle intenzioni dei nazifascisti, ma nessuno nella comunità ebraica romana volle credergli: era un orrore troppo grande per essere vero, secondo loro. Solamente i genitori del signor Dell’Ariccia si fidarono della sua parola e così riuscirono a mettersi in salvo scampando al rastrellamento insieme ai figli. “Quel giorno – spiega il sopravvissuto – 1022 persone di tutte le età sono state catturate e condotte ai lavori forzati o a morire gasate nei lager. Di questi, più di 200 erano bambini. Lo choc per mia madre è stato talmente forte, che da allora non è stata più la stessa”.
Ma come si può tramandare la memoria se dilagano i negazionisti, coloro cioè che sostengono che lo sterminio nazifascista non c’è mai stato oppure che è stato un evento marginale imputabile ai soli nazisti e non anche ai fascisti? Secondo il signor Dell’Ariccia criminalizzare il negazionismo è un errore, perché si fa passare per vittima chi ha idee del genere e si alimentano le teorie complottiste contro gli ebrei. “La soluzione è continuare a parlare – spiega il sopravvissuto – raccontare alle giovani generazioni quello che è successo e non lasciar correre quando si sente qualcuno che esprime il pensiero negazionista”. Il signor Dell’Ariccia invita tutti a conoscere l’associazione Progetto Memoria di cui lui fa parte e a iscriversi per contribuire a ricordare quanto è successo perché non si ripeta.
Alla passeggiata della Memoria partecipa anche la signora Dzemila, di origine rom: “Penso che iniziative come questa siano molto importanti, perché la gente ha la memoria abbastanza corta e se non si ricordano gli errori commessi durante la guerra, si possono ripetere. Prima non si parlava di quello che come popolo abbiamo subito: ora la memoria è stata riscoperta ed è importante preservarla, anche perché gli ultimi sopravvissuti dei lager, testimoni diretti di quello che è successo, stanno scomparendo”.
La signora Dzemila ha perso metà della sua famiglia nei lager e spiega che il rapporto con la memoria per i suoi cari è molto complicato: “Molti dei miei parenti non ne vogliono parlare: è qualcosa di brutto da dimenticare, quasi come se fosse una colpa. L’unica che mi raccontava quello che è successo era la mia bisnonna, che oggi non c’è più: era stata internata assieme a mio nonno paterno, suo figlio, ma si sono salvati. Durante la guerra, infatti, la sua famiglia ha provato a nascondersi, ma sono stati trovati; hanno ammazzato davanti agli occhi della mia bisnonna i suoi genitori e i fratelli, bruciandoli vivi, ma lei è stata risparmiata, forse perché era molto bella ed era chiara di carnagione, ed è stata rinchiusa in un lager insieme ai suoi figli, tra cui mio nonno paterno. Il campo di sterminio in cui è stata prigioniera era nella ex Jugoslavia, non so esattamente dove, ma so che era gestito da italiani”.
La passeggiata prosegue con l’intervento dell’antropologa e attivista antirazzista Annamaria Rivera: “Secondo studi americani, il Porrajmos è stato molto più vasto di quanto si pensi: è probabile che siano stati sterminati fino a 1,5 milioni di rom e sinti, perché in moltissimi sono stati fucilati appena catturati. Solo un terzo di loro, quindi, fu portato a morire nei lager”. La studiosa afferma che, per contrastare il razzismo che continua a colpirlo, è necessario dare la parola proprio a questo popolo. “In pochi sanno che tanti di loro hanno contribuito attivamente alla resistenza – prosegue Rivera – come Amilcare Debar, detto Taro, che era leader dei sinti cuneesi e che, con il nome di battaglia di Corsaro, combatté nella 14° brigata Garibaldi contro l’occupazione nazifascista”.
Eppure, la convivenza pacifica tra i popoli, secondo l’antropologa, è realizzabile. Per dimostrarlo Rivera ha organizzato una mostra fotografica intitolata “Un’antropologa a Essaouira”, che si terrà a Roma nella Biblioteca storica nazionale dell’Agricoltura dal 6 al 27 febbraio. La mostra è una selezione di fotografie scattate dalla studiosa nel corso di una lunga ricerca di campo, che mostrano come Essaouira, in Marocco, sia un modello di integrazione e convivenza pacifica.
Alla passeggiata della Memoria è presente e parte attiva anche un gruppo scout, il Roma 8, che ha lavorato al progetto: “Oltre i pregiudizi: alla scoperta dei rom”. “Sono stati proprio i ragazzi a voler conoscere meglio rom e sinti – spiegano i capi scout Gaia Cerquetelli e Marco Parisi – Quindi abbiamo fatto un sondaggio su un campione di 750 abitanti del nostro quartiere, Della Vittoria, e sono emersi pregiudizi fortissimi contro questo popolo. Siamo partiti proprio da qui per realizzare un video in cui diamo la parola a rom e sinti che parlano di se stessi smontando i luoghi comuni”. Il video sarà presentato il 15 febbraio alle 21 a Roma, presso il teatro Verde, con ingresso libero fino a esaurimento posti.
Spiega Ilaria, scout quindicenne: “Il nostro quartiere è molto frequentato dai rom e a me e ai miei amici dà fastidio il pregiudizio contro di loro, perché non è fondato su dati certi”. Osserva la coetanea Margherita: “Abbiamo scoperto che anche noi avevamo pregiudizi: pensavamo che i rom e i sinti vivessero tutti nei cosiddetti campi rom, ma non è vero, perché chi abita lì è una minoranza di questo popolo”. E Matilde interviene per completare il pensiero delle sue giovani amiche: “Chi ha pregiudizi non è cattivo: è solo ignorante. Con il nostro progetto vogliamo dire alle persone di informarsi sempre prima di dare un giudizio su qualcuno”.
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