Diritti

Perché odiamo i Rom e i Sinti?

11 Ottobre 2016

0,3% della popolazione italiana: 180mila persone. Sono i cittadini italiani ed europei di etnia Rom e Sinti che vivono nel Belpaese. Giova ripeterlo: sono tutti cittadini italiani ed europei.

Come altre minoranze, sono stati perseguitati nei secoli in tutta Europa fino a essere anche loro condotti e uccisi nei campi di sterminio nazifascisti: in 500mila non tornarono più dai loro cari.

Eppure la storia non ha insegnato molto: oggi in Italia circa 35mila di loro, di cui la metà bimbi e adolescenti, li teniamo rinchiusi nei campi rom, ghetti del duemila che non hanno eguali nel vecchio continente. Ma anche nel resto d’Europa le cose non vanno tanto meglio. Gli episodi di razzismo si susseguono: l’ultimo in ordine di tempo è la battuta totalmente gratuita del senatore leghista e presidente del Copasir Giacomo Stucchi, all’indirizzo di una famiglia Rom “colpevole” di viaggiare sul suo stesso aereo. Inutile dire che la vicenda ricorda gli autobus separati per i neri negli Stati Uniti, che esistevano fino a mezzo secolo fa.

E allora è giusto domandarci: ma perché nel 2016, dopo tutto quello che è successo, ancora odiamo Rom e Sinti? Abbiamo girato la domanda al professor Tommaso Vitale, associato di sociologia al prestigioso Istituto di studi politici di Parigi e membro dell’associazione 21 luglio, che si batte per la parità di diritti per i nomadi.

Perché li odiamo, professore?

Penso a tre cose: due si possono dire e una è pericolosa.

La prima riflessione che faccio è che la questione dell’odio nei confronti di Rom e Sinti è rivelatrice. È vero che più persone ce l’hanno con loro, è vero che chiunque sia razzista ce l’ha anche con loro. Ma è vero soprattutto che, se si va bene a scavare, a guardare le persone che non sembrano razziste, sembrano cosmopolite e però ce l’hanno con loro, queste persone scopriamo che sotto sotto hanno attitudini che i sociologi definiscono etnocentriche, cioè amano le cose che riescono in qualche maniera a rapportare a sé. Quindi magari non amano i Rom, ma se ne hanno uno che è loro amico, lo considerano diverso dagli altri e non lo appiattiscono sugli stereotipi etnici.

Rom e Sinti rivelano un problema molto forte nelle nostre società che va un po’ al di là del razzismo. Parliamo del rapporto con l’alterità, con tutto ciò che non ricade nel nostro “intorno” più stretto. Questa è la ragione per cui, in tutti i paesi europei, più le persone hanno contatti con i nomadi e meno sono ostili verso di loro.

In altre parole è vero l’opposto del modo di dire “più li conosci più li eviti”.

Esatto. Questo vuol dire – e qui veniamo al punto due della mia riflessione – che ci sono enormi responsabilità della politica nel momento in cui nomina delle persone, dei gruppi etnici come cattivi. Tanto è vero che le indagini fatte sul sentimento verso i nomadi confermano che è molto variabile, va su e giù perché dall’atteggiamento della politica.

Spesso l’ostilità viene dai partiti di sinistra. Ad esempio mi vengono in mente il sindaco di Roma Walter Veltroni a Roma e il ministro Manuel Valls in Francia. Veltroni, per accreditarsi a livello nazionale, creò una “questione rom”, che non esisteva. Un po’ tutti i partiti socialisti europei hanno preso posizioni anti-nomadi e questo è un fatto storico certificato.

Se una cosa è inquadrata dalla politica come pericolosa, difficile, disturbante, aumenta il senso pubblico di ostilità. In questo giocano anche le politiche urbane, sociali. Parlo dell’anomalia italiana dei campi nomadi, un fenomeno di ghettizzazione che non ha eguali in Europa. Questo crea uno “spettacolo della miseria” che aiuta gli stereotipi, cioè la riduzione della questione Rom e Sinti a povertà e criminalità.

Qual è il terzo punto della sua riflessione, che può essere “pericoloso”?

È che c’è un discorso diciamo colto, pseudoscientifico e anche un po’ iniziatico, se mi passa il termine, che le scienze pedagogico-sociali hanno prodotto su questo gruppo di persone scorporandole dalle dinamiche politiche e esplorandole per i loro aspetti più folkloristici e strambi. Lì bisogna da un lato guardare questa questione da un punto di vista storico, dall’altro bisogna essere estremamente severi.

Un fatto storico è che la prima associazione scientifica in tutta Europa di antropologi che ha avuto come riferimento un’etnia e non un luogo è stata la Gipsy Lore Society, fondata nel 1888.

Però i nomadi sono tali proprio perché non hanno un luogo in cui vivono in pianta stabile.

Non è proprio così: Rom e Sinti costituivano gruppi tutti perfettamente iscritti inizialmente in zone urbane e rurali su piccolissima scala. Quindi il nomadismo era stagionale tra luoghi abituali.

Ma resta che la prima etnia che la modernità occidentale ha voluto scoprire nei suoi tratti è stata la loro. In generale, dopo la seconda guerra mondiale la psicologia e la pedagogia si sono sbizzarrite nel cercare tratti specifici e unici in questa cultura. L’antropologia si è accodata, andando alla ricerca delle dimensioni simboliche e certamente non ha dato prova del meglio di sé.

Questi studi hanno avuto un’impronta molto forte sui vari ministeri europei dell’educazione e delle politiche sociali. E quello che è più grave è che le considerazioni a cui questi studiosi sono giunti non sono state validate con quello che noi chiamiamo il metodo scientifico: psicologi, pedagoghi e antropologi hanno studiato delle cose, cercandole, e le hanno raccontate senza assumersi la responsabilità della generalizzazione implicita di quello che dicevano.

Quello che è grave è che ancora oggi abbiamo una produzione scientifica irrilevante in cui studiosi dicono di aver visto certi comportamenti di alcune famiglie e ne fanno un comportamento di tutti i gruppi. Faccio un esempio per far capire meglio di cosa parlo: negli anni ’80 sono stati scritti libri in cui si sostiene che i bimbi Rom non gattonano. In realtà sappiamo che può succedere che alcuni bimbi non lo facciano e si spostino in altri modi, ad esempio da seduti, ma è un fenomeno che non riguarda solo i Rom: può capitare a chiunque.

Il paradosso è che da un lato non amiamo Rom e Sinti, dall’altro subiamo il fascino della loro cultura. Penso alla moda, ma non solo.

Si tratta di normale ambivalenza. Francamente il mito dello zingaro è sempre stato interessante nelle nostre culture europee, ma i rom e i sinti non sono miti, sono persone. E gli italiani sono il doppio più razzisti contro di loro che contro altre etnie. Ci sono indagini in merito come l’ultima European Social Survey, in cui i cittadini europei rispondono a domande come: è un problema se tuo figlio va a scuola con un rom, un omosessuale, un ebreo o un nero? E da domande così non si scappa.

(Nella foto di copertina: nella foto: famiglie Rom assistono alla distruzione delle loro case in un insediamento non autorizzato. Foto dell’associazione 21 luglio)

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