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Per combattere il cyberbullismo immergetevi nel mondo digitale dei vostri figli
Il dibattito sul bullismo e sulla sua espressione digitale, il cyberbullismo, è entrato nel vivo nel nostro Paese dopo un evento drammatico: il suicidio della quattordicenne Carolina Picchio nella notte fra il 4 e il 5 gennaio 2013 a Novara. La ragazza era stata molestata sessualmente nel corso di una festa, nel novembre precedente, da un gruppo di ragazzini fra i tredici e i quindici anni. I video girati in quell’occasione, avevano iniziato a circolare su Facebook conducendola alla disperazione. Nel suo ultimo saluto (due lettere lasciate alla famiglia e al fidanzato) scrisse: «perché questo? Beh, il bullismo, tutto qui. Le parole fanno più male delle botte, cavolo se fanno male».
Parte da qui, “Cyberbullismo”, il libro edito da Città Nuova, fresco di pubblicazione, a cura di Alberto Rossetti, psicoterapeuta e psicoanalista, e Simone Cosimi, giornalista. Il testo è stato realizzato con il contributo di Eraldo Affinati, scrittore e insegnante, Francesca Maisano, psicoterapeuta dell’età evolutiva e Andrea Pinna, influencer tra i più seguiti nel nostro paese.
Di questo testo ma soprattutto di questa forma di violenza che spesso occupa le prime pagine dei quotidiani, abbiamo parlato con Rossetti e Cosimi.
Partirei con il fare un po’ di chiarezza. Cos’è il bullismo?
Alberto Rossetti: Ci troviamo di fronte a un episodio di bullismo tutte le volte in cui un ragazzo viene esposto ripetutamente nel corso del tempo ad azioni violente, ovvero viene prevaricato o vittimizzato, da una o più persone. Per parlare di bullismo, oltre alla reiterazione dell’offesa, è necessaria anche una netta disparità di potere tra bullo e vittima. La vittima, schiacciata dalla forza dei bulli, non riesce più a reagire per paura di subire ulteriori ritorsioni. E precipita in un circolo vizioso.
Possiamo considerare il cyberbullismo come un’evoluzione sociale di una forma di violenza più “antica”?
Alberto Rossetti: In parte è così. Nel cyberbullismo si utilizzano strumenti tecnologici, in particolare app di instant messaging come WhatsApp e social network, per attaccare la vittima di turno. Del resto è normale che chat e social, sempre più al centro della vita dei ragazzi, vengano usate anche per questi fini. Molto spesso, inoltre, non è così netta la distinzione tra bullismo e cyberbullismo. Il bullismo prende vita tra i banchi di scuola la mattina e si sposta su WhatsApp al pomeriggio. Oppure, come spesso capita di vedere, atti di bullismo vengono registrati dagli smartphone e condivisi in rete.
Quali sono le caratteristiche del cyberbullismo? Che tipo di meccanismi rendono diversa dalle altre questa forma di violenza?
Alberto Rossetti: Nel cyberbullismo manca completamente la percezione della sofferenza della vittima. I ragazzi, anche se può sembrare strano, faticano a immedesimarsi con il dolore del ragazzo che stanno attaccando su WhatsApp. Inoltre, a differenza del bullismo tradizionale che termina nel momento in cui i bulli lasciano stare la vittima, nel cyberbullismo le offese restano costantemente online e il numero dei potenziali bulli può aumentare di continuo. Anche con il passare del tempo, le offese possono rimanere sospese online, lievitare e aggravarsi, ed è difficile farle scivolare via.
Se una volta “la classica presa in giro” avveniva tra i banchi di scuola oggi è amplificata dalla diffusione pubblica dell’umiliazione?
Alberto Rossetti: Esatto. Questo rende l’azione dei bulli ancora più violenta perché amplifica il sentimento di inadeguatezza provato dalla vittima. Sui social network, poi, le reti sociali si sono mischiate e non esistono più confini netti tra vari gruppi a cui un ragazzo appartiene. Questo significa che un’immagine offensiva messa in rete da parte di compagni di scuola arriverà anche al gruppo del calcio, degli scout, del mare, dei vecchi compagni delle elementari…
Quali meccanismi psicologici spingono la persona a comportarsi da bullo?
Alberto Rossetti: In alcuni casi può essere il desiderio di far sentire il proprio potere. Questo lo notiamo soprattutto negli episodi di bullismo “tradizionale”, dove i bulli cercano le loro vittime tra le persone più deboli per poter mettere alla prova la propria forza. Il discorso cambia un po’ nel cyberbullismo dove non troviamo solo la messa in scena della propria forza. Può infatti capitare che alcuni ragazzi si nascondano dietro all’illusione dell’anonimato per vendicarsi delle offese ricevute. Oppure succede che la noia e la voglia di fare qualcosa di diverso scatenino i ragazzi in rete. Il problema è che certi giochi, soprattutto online, finiscono male e le offese nate per scherzo diventano macigni scagliati contro la vittima.
Le vittime che tipo di conseguenze si trovano a dover affrontare?
Alberto Rossetti: Dipende da ragazzo a ragazzo. Diciamo che in alcuni casi i bulli sanno attaccare le persone più deboli, meno difese, con difficoltà pregresse nel relazionarsi con gli altri. In questi casi l’ulteriore offesa che i bulli provocano alla vittima può diventare davvero molto violenta. Il ragazzo che subisce atti di bullismo può sentirsi inutile, colpevole, indegno di stare al mondo.
Perché spesso gli adulti tendono a minimizzare il problema come se si trattasse di un comportamento dovuto alla giovane età?
Alberto Rossetti: Gli adulti considerano con troppo facilità il bullismo come un gioco tra ragazzi. Per questo è importante stare ad ascoltare cosa dicono i nostri figli. Non tutte le offese e gli scambi un po’ più accesi rappresentano atti di bullismo o cyberbullismo, questo è vero. Però bisogna imparare a vedere quando il confine è stato superato, quando cioè non ci troviamo più di fronte a uno scontro tra ragazzi ma a un’azione che punta in maniera mirata a sconfiggere e umiliare una persona. Su questo non dobbiamo scherzare, perché gli stessi ragazzi non stanno più giocando.
Esiste una legge che tutela le vittime?
Simone Cosimi: Per il bullismo non esiste una legge organica. Contrariamente al cyberbullismo, normato lo scorso anno con la legge n.71/2017, non c’è un provvedimento dedicato. Vive di numerose fattispecie che possono ovviamente verificarsi in contemporanea e dunque occorre rifarsi agli articoli del codice penale. Dalle percosse (art. 581 c.p.) alle lesioni (art. 582 c.p.) fino alla molestia e al disturbo alle persone (art. 660 c.p.) passando per lo stalking (art. 612-bis c.p.) o tutti i temi relativi alla privacy. Discorso diverso per il cyberbullismo dove il fenomeno specifico della diffusione in rete viene affrontato con intento fondamentalmente di sensibilizzazione anche se non mancano nuovi strumenti come l’ammonimento al cyberbullo da parte del questore, come nello stalking, o la richiesta di rimozione di determinati contenuti ai fornitori di servizi entro 48 ore e l’intervento del Garante della privacy se questi non ottempera.
Le piattaforme come Facebook, Twitter, oppure i motori di ricerca come Google, che tipo strumenti offrono per tutelare i più giovani?
Simone Cosimi: Dipende. Sotto il profilo del controllo parentale lo scenario sta cambiando. Google, per esempio, ha lanciato Family Link e YouTube Kids per i bambini. Sotto l’aspetto strettamente inteso del cyberbullismo le piattaforme hanno sviluppato programmi di sensibilizzazione e di prevenzione. Twitter ha aggravato la sospensione degli account che si macchiano di abusi o introdotto nuove policy contro le molestie, Instagram ha aggiunto novi strumenti di controllo come i fitri per bloccare i commenti ingiuriosi e sistemi anti-spam in diverse lingue. Purtroppo è un lavoro lungo e complesso ma soprattutto culturale: gli algoritmi possono poco. Ma certo aiutano.
Quali politiche possiamo attuare per arginare il fenomeno?
Simone Cosimi: La strada segnata dalla legge sul cyberbullismo, salvata da passaggi parlamentari complicati che stavano per stravolgerne il senso originario, è buona. Mette insieme alcuni strumenti concreti con un percorso più ampio come il piano d’azione e monitoraggio affidato alla presidenza del Consiglio che tuttavia stenta a decollare (il tavolo tecnico che dovrebbe prepararlo si è riunito la prima volta solo a febbraio 2018). C’è poi un tema ancora più largo fatto di educazione tout court: occorre contrastare l’imbarbarimento dei rapporti sociali e i genitori devono tornare a fare i genitori. Basti pensare ai complicati rapporti con i docenti: se mamma e papà non hanno rispetto del ruolo dell’insegnante e ne contestano ogni giorno l’operato con casi che arrivano a urla, improperi e aggressioni, come si può pretendere serenità dentro e fuori dalla classe?
Vi sentireste di dare qualche consiglio alle famiglie?
Simone Cosimi: Consiglierei ai genitori di non sostituirsi ad altri ruoli educativi ma di tentare di interpretare al meglio il proprio. Consiglierei poi di sporcarsi le mani e capire quali ecosistemi digitali i figli frequentino, per comprenderne gli eventuali rischi. Direi infine che tutto passa dall’esempio: il miglior insegnamento è una vita famigliare rispettosa.
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