Benessere

Parma bella senz’anima e la rimozione – globale- della povertà

24 Ottobre 2017

Qualcuno la chiamerebbe, parafrasando il titolo di un noto saggio, la banalità del male (edizione social). Parma, una normale mattina di ottobre in una produttiva e – complessivamente – benestante città. Due senzatetto dormono all’addiaccio nei pressi di una trafficata rotonda del centro. Un passante li vede, si ferma, li fotografa con il telefonino e invia tutto al giornale locale con un commento sul degrado che colpisce la città. Dove sono le forze dell’ordine? Perché nessuno ha messo fine a questo “spettacolo indecoroso”? Il quotidiano pubblica la foto nella sezione delle segnalazioni dei lettori del sito web e alcune domande, per altri lettori, sorgono spontanee. Come mai questa persona ha sentito il bisogno di “proteggersi” dalla visione della povertà? Come mai di fronte a persone che, con tutta evidenza, si trovavano in una situazione di forte disagio, non ha provato né un senso di umana solidarietà, né – sentimento oggi più comune – una solenne indifferenza?
Forse perché siamo andati oltre. Non vogliamo più solamente essere protetti dai pericoli legati alla presenza di situazioni di disagio sociale (che pure potremmo, più saggiamente, affrontare combattendo il male prima che si generi, evitando che qualcuno, per bisogno, sia spinto a delinquere), ma non vogliamo neppure vederlo.

Lo spettacolo della povertà, lungi dall’urtare la nostra sensibilità etica (quanto sono lontani gli struggimenti patetici di un certo paternalismo borghese sulla piccola fiammiferaia di turno che, per assurdo, arriveremo, prima o poi, a rimpiangere!), ferisce la nostra supposta sensibilità estetica.

Ci infastidisce che lungo il tragitto che dal nostro privato orticello conduce al nostro altrettanto privato ufficio si possa incontrare qualcuno che sta male. Perché Parma è una città pulita e benestante, Parma è un “modo di vivere”, un modello in materia di stile e qualità della vita, garantita da ordinanze anti bivacco e controlli sui musicisti di strada. I senzatetto in città sono apprezzati solo post mortem, sotto forma di monumento, come quello al Matt Sicuri in piazzale della Macina. Il ricordo d’altra parte smussa gli spigoli e ci si dimentica che i tempi del Matt Sicuri erano quelli di un welfare diverso, di un’amministrazione che si faceva carico della comunità a partire dai soggetti più deboli e ci si dimentica che questo costava la fatica di un costante confronto con un modo di vivere che poteva stonare con l’immagine che la città voleva dare di se stessa. Una certa città, perché ieri – come oggi – ci sono persone che quotidianamente si impegnano per migliorare le condizioni di vita di chi si trova in difficoltà, rischiando di stonare con l’immagine cittadina e di non essere banali, assumendo su di sé il carico della rimozione altrui.

In fondo è tutto qui: in un’epoca di rimozione, dove la malattia viene negata con il rifiuto dei vaccini, la guerra con la chiusura delle frontiere, la povertà deve sparire sotto una coltre di decoro formale.
Consapevoli di condannarci a un eterno Truman Show ci svegliamo ogni giorno con la speranza che non tocchi a noi giocare la parte di quelli fotografati, esposti senza alcun pudore nel nostro bisogno, esposti da chi oltre al pudore ha perso di umanità e si sveglia ogni giorno – in questo caso in ogni senso- più povero.

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