Diritti
Omofobia e libertà di opinione. Fare cose con le parole.
Recentemente, la Chiesa cattolica, tramite voce autorevole, ha assunto la posizione secondo cui è lecito sostenere i propri punti di vista senza essere accusati di omofobia. Si replica in tal modo alla polemica sorta alcuni giorni fa in relazione a una lettera inviata ai docenti di religione nella quale si invitava a schedare le scuole che affrontano le questioni “omosessualità” e “genere”, le odierne bestie nere del cattolicesimo.
Ma è vero che l’omofobia dovrebbe essere protetta dal principio della libertà di opinione? Se così fosse avremmo già fatto un progresso, in quanto la Chiesa, per la prima volta, accetterebbe ufficialmente di far partire una discussione, invece di condannare ex cathedra. Tuttavia, la nostra risposta è negativa, come cercheremo di illustrare.
Partiamo a monte, cioè, da ciò che possiamo chiamare “funzioni del linguaggio”. Perché apriamo bocca? Fondamentalmente, come nel secolo scorso hanno affermato i filosofi del linguaggio, per asserire qualcosa (una posizione, un’opinione), per esprimere delle emozioni, per dare ordini, fare promesse, influenzare gli altri, spingendoli a fare o non fare.
Non è vero che le parole sono solo parole. Pensiamo al caso di un sacerdote (o, se preferite, di un sindaco) che, date le giuste circostanze e rispettate le condizioni necessarie (per esempio, aver fatto la cresima, non essere già sposati ecc.), pronunci le seguenti parole: “Vi dichiaro marito e moglie”. Ha parlato a vanvera? Non direi, tanto è vero che, oltre alla Chiesa, anche lo Stato riconosce il matrimonio religioso e lo trasforma in un matrimonio civile a tutti gli effetti.
Così, anche azioni come la confessione, l’accusa in tribunale, l’espulsione di un giocatore di calcio da parte di un arbitro, l’insulto, la menzogna, la calunnia, l’istigazione all’odio possono essere considerate come aventi degli effetti concreti, benché siano condotte esclusivamente attraverso delle parole.
Se i lettori e le lettrici lo accettano, abbiamo così illustrato che le parole sono azioni, e, in quanto azioni, alcune possono essere anche azioni che comportano un reato (per esempio, la falsa testimonianza in tribunale).
Che cosa comportano i frequenti interventi della Chiesa cattolica contro l’omosessualità? Qualche cosa di grave: la violazione della regola d’oro dell’etica, di quella stessa tolleranza che sembra essere invocata come libertà di opinione (o libertà di professare la propria fede): non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. La regola è semplice, e serve non a imporre, ma a vietare. Se le tue azioni (anche azioni condotte esclusivamente attraverso le parole) fanno del male, ti devi fermare prima di attuarle. La regola d’oro della tolleranza significa semplicemente che non devi interferire con il modo di vivere altrui, a meno che il modo di vivere altrui non abbia come conseguenza un danno per qualcun altro (te incluso), cosa che andrebbe ovviamente provata. Quindi, si può intervenire solo se l’atto (anche condotto attraverso parole) è rivolto contro qualcuno. Altrimenti? Altrimenti siamo responsabili di omissione di soccorso.
Ora, l’omosessualità non fa male a nessuno. Nonostante tutto, non sembra che sia una malattia: se l’omosessuale sta male, è perché la società o altre persone lo fanno soffrire, altrimenti dovremmo dire che anche la povertà è una malattia, o l’essere mancini – in effetti un tempo si tentava di “rieducare” i mancini, così come, nei campi di sterminio nazisti, si cercava di “invertire la polarità” degli omosessuali maschi, a fini riproduttivi (no, non sto usando un paragone col nazismo, me ne guardo bene, lo cito per evitare che si finisca di nuovo lì).
Invece, insistere sul fatto che l’omosessualità è una malattia o, come talvolta si sente sostenere, che è una “porcheria contro natura”, questo sì che è un atto (performativo, cioè fare cose con le parole) che mira a procurare odio, a insultare, a rendere la vita impossibile alla vittima così designata e, alla lunga e nella peggiore delle ipotesi, a legittimare le persecuzioni – e, questo, al di là della mancanza di accordo su come vada definito il termine “natura” (in genere, lo si usa in mancanza di buoni argomenti al fine di rendere indiscutibile la propria opinione).
Potrebbe sembrare una posizione eccessiva, la nostra, se estrapolata dall’argomentazione precedente (sul performativo, sulle funzioni del linguaggio), e se non prendiamo in considerazione i numerosi esempi di condanna al carcere (o a morte) per gli omosessuali, di pestaggi (anche, recentemente, da parte di un docente, non ancora licenziato, ahimé, nei confronti di un alunno). Ci torna in mente un parente, morto da qualche anno, che era stato anche un ex uomo politico (democristiano, socialista, repubblicano ecc. ecc.) nella zona del Lago di Como, secondo il quale avremmo dovuto chiuderli tutti (sottinteso: gli omosessuali) in un campo circondato da filo spinato elettrificato, buttare via la chiave e aspettare che il tempo facesse il suo corso.
Sono solo esempi? Sì, non intendiamo generalizzare, né accusare i concittadini cattolici di essere complici, ma… amici cattolici, avete riflettuto, da un punto di vista storico, sulle conseguenze di un atteggiamento di questo tipo? Davvero questi atti di intolleranza e violenza fisica sono solo esempi? O non rischiano, piuttosto, di diventare veri e propri modelli da imitare?
Logon Didonai
Riferimenti
Una favola gay all’asilo? No, consigliata ai genitori. E se non sapete come affrontare la questione potete leggere la storia di Piccolo uovo.
Il professore che picchia l’alunno perché gay?
La lettera della curia di Milano.
Un nostro intervento precedente sul tema.
Dietrofront o precisazione della Chiesa.
Fare cose con le parole: il performativo (in italiano). In inglese.
Devi fare login per commentare
Accedi