
Diritti
Odio, il mainstream del nostro tempo
Il nostro è il tempo dell’odio? Per prendere la misura non dobbiamo aspettare che cresca il numero dei morti. Prima ancora dell’occhio è importante «avere orecchio». Vuol dire non sottovalutare l’effetto delle parole che si usano.
Hate speech non è solo parola. Soprattutto è effetti possibili in scala se lasciata a se stessa. L’odio non è “parola libera”. Le espressioni di odio, infatti, fondate sulla difesa dell’identità si materializzano in discriminazione verso gruppi di persone. Quel passaggio non è lento. Nel tempo della comunicazione digitale quel tempo di passaggio e di trasformazione – dalla parola in atto – è diventato molto corto. Soprattutto non è degenerazione incontrollata. È intenzione.
È tornato a ripeterlo Massimo Recalcati (una prima volta lo aveva scritto nel 2004, ma evidentemente il clima attuale lo ha indotto a ritornare a riflettere e a riprendere in mano ora il tema dell’odio). Ovvero l’odio – insiste ora Recalcati – si configura come una passione lucida che vorrebbe annientare la vita di altri
Un tema, quello dell’odio, che fa scrivere a Antonio Nicita, membro della Commissione straordinaria per il contrasto ai fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, come la questione non sia più né solo di contrastarlo o, né tantomeno solo di contenerlo, ma si fondi sulla necessità e sull’urgenza di proporre un’azione concreta che non si limiti alle enunciazioni di principio ma volta alla costruzione di una educazione radicalmente ripensata.
A lungo in quest’ultimo decennio la difesa astratta e romantica della libertà d’espressione è stata una risposta con cui i produttori di odio hanno rivendicato il loro diritto. L’effetto è meno libertà. Quella rivendicazione del diritto all’odio è il manifesto di una società che offre un privilegio e un primato alla libertà degli aggressori e non a quella delle vittime. E che dunque sceglie di perseguire e sostenere una democrazia diseguale.
In breve siamo di fronte a un bivio e dunque siamo chiamati a fare una scelta. Quella scelta, insiste Antonio Nicita, non è più procrastinabile. È finito il tempo delle attese. È suonata l’ora del tempo delle scelte.
Perché l’odio per concretizzarsi in risultato – ovvero diventare numero – non ha bisogno solo di bravi esecutori – meglio: esecutori efficienti – ha anche bisogno, forse ha soprattutto bisogno, di spettatori partecipanti, di zona grigia.
In quella zona grigia non importa essere entusiasti. È sufficiente essere obbedienti.
Soprattutto reagire dicendo: “Non mi riguarda”; “Fatti loro”.
Dov’è che l’abbiamo già sentita?
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