Diritti

Note e interrogativi circa la follia salvifica di Luca Traini

10 Febbraio 2018

Bizzarra follia, quella da cui è stato investito Luca Traini il tre febbraio di quest’anno: si riattiva soltanto a dispetto degli immigrati. La pluralità di discipline dentro cui le singolarità sono disperse,  sostituisce alla commistione di confini un coacervo disciplinare. Il confine, come pure annota Immanuel Kant in un passo dei Prolegomeni a ogni metafisica futura che possa presentarsi come scienza, è sì ciò che relega, ma pure ciò da cui emerge l’individuo nel suo più completo splendore. Ci si potrebbe interrogare, insieme con le indagini che Michel Foucault ha dedicato alla questione del soggetto ospite dell’eterotopia, contro-spazi eretti dalle società nelle proprie planimetrie (soggetto di detenzione e soggetto a detenzione), circa la costituzione dell’identità. Polemizzare contro noi stessi, lasciare che ci investa e ci infesti lo spettro del dubbio: chi siamo, noi? Individui psichici, attori giuridici, singolarità somatiche, soggetti di desiderio. Eppure: tutto insieme; agiscono a un solo tempo le discipline che acquattate dietro la schiena, imitano pedisseque ogni nostro movimento pur impercettibile perché sia garantito il benessere. Sibillino, l’interrogativo: di chi? In un passo del Trattato medico-filosofico del primo psichiatra (e ultimo alienista) Philippe Pinel si descrive con acume la natura della disciplina ancora in fasce, bel neonato prodigio. Osservando il monarca-monomaniaco Giorgio III d’Inghilterra e descrivendo le vigorose figure cui è affidata la guarigione, Pinel le descrive come coloro che assumono la direzione dell’ammorbato. Lo smarrimento e la costrizione alla rettitudine.

La follia non si dispiega allora soltanto nella pluralità dei propri aspetti – il termine è mutuato al testo capitale sull’argomento, Storia della follia nell’età classica di Michel Foucault – ma pure nella relegazione anodina del criminale al proprio gesto. È durante l’anno accademico 1973-1974 che Michel Foucault recita al Collège de France, istituzione per cui già deteneva la cattedra in Storia dei sistemi di pensiero dal 1970, un ciclo di lezioni il cui proposito è descrivere il golpe ai danni della disciplina giuridica cui si è compromesso Il potere psichiatrico. È l’avvento della funzione-psy: sulla scena del tribunale, giurando su altre Sacre Scritture che non contemplassero affatto afflati divini, la giustizia non può che lasciar pesare la minuzia della biografia. Il criminale è lì, è relegato all’istante del proprio crimine: quanta lucidità v’era in esso? A tal proposito Foucault non può lesinare una citazione al Code Pènale proposto da Napoleone Bonaparte 1810 e soltanto nel 1994 sostituito da un nuovo Code per cui né crimine né delitto sono previsti in caso di demenza. Similmente il Codice Penale Italiano, il quale contempla nel dittico di artt. 88-89 l’intero prisma dell’infermità mentale come vizio di mente parziale o totale; ma pure frammenta l’elemento psicologico del reato nei pressi dell’art. 45, lasciando emergere la triade doloso-preterintenzionale-colposo. Quanto hai ponderato il crimine prima di commetterlo? È l’esito d’un delirio oppure la vita psichica ha lavorato ragionevolmente per esso?

Il filosofo Michel Foucault (1926-1984)

Saranno disattesi i propositi di qualsiasi autore, per quanto di buona volontà egli sia, che desideri parlare ragionevolmente la follia; sarà vinto dalla frustrazione e la cupidigia di restituire al lettore l’integra struttura del discorso. Non sarà possibile dare a Cesare quel che è di Cesare, perché se la follia abita il territorio dell’assenza, nulla è suo; non possiede casa – come pure annota Pietro Cipriano in Il manicomio chimico –, neppure posto letto in clinica. Non ci si occuperà, allora, che del caso clinico, pur sublimandolo, nell’unica ascesi tollerata per il folle, alla trama d’una pagina; allora la narrazione diverrà prescrizione, un simulacro della norma cui purtuttavia è negato il piacere della Gestaltheorie. Le sue parti formano tutto solo con la fatica di Sisifo; pure, la follia, abbandonato lo spazio del rovescio totale a dispetto della Ragione, si frammenta sino a farsi granulare: anomalia, devianza, perversione; ancora: mostruosità, onanismo, terribili e perturbanti istanti dentro cui si disperde la lucidità. Si vede buio: l’annientamento del Secolo dei Lumi. Ci si converte alla follia.

Traini è dunque un folle o non è che un folle? Cosa sottende alla salvifica accusa per cui l’incursione armata del già candidato per la Lega vicino agli ambienti di CasaPound e Forza Nuova sarebbe stato preda, e dunque vittima, d’un attacco di follia? Il barlume d’un delirio; il lampo d’una idea compiuta ancor prima d’esser ponderata del tutto. Ciò che gli psichiatri restituivano alle tribune giuridiche nel corso delle perizie era l’emersione d’un istinto biografico il quale non aspettava altro che essere riattivato scuotendolo dal letargo. La vita del criminale, qualunque fosse la colpa (quel morbo totale e dalla comprovata piacevolezza che ha nome di onanismo; la mostruosità rammendata sul volto oppure sulla corona nel corso della Rivoluzione del 1789; l’annientamento del focolare domestico) si disseminava di episodi irrilevanti allo sguardo di chi non era edotto circa l’ermeneutica psichiatrica. Oltre L’interpretazione dei sogni di cui scrive Sigmund Freud, bensì l’interpretazione della veglia. Le scene da un’infanzia sono ormai relegate non più alla funzione di memoria, bensì a quella dell’aneddotica: al soggetto non è più concessa alcuna storia, alcuna voce. Un sembiante gli si è sostituito: ne possiede, certo, i ricordi, ma soltanto quelli affini al crimine di cui si è macchiato. Il criminale è diventato davvero un criminale.

La follia è dunque una regione giammai distinguibile con precisione: neppure i folli, poiché così vasto e disomogeneo è il delirio da cui sono attraversati, potrebbero descriverne la struttura con rigore accademico (per tale ragione nessun folle autentico varcherà la soglia nell’Università). Quando tuttavia l’istante della follia lacera la struttura della Ragione per mezzo di un’azione scellerata – come pure il legale Giancarlo Giulianelli ha chiamato l’incursione armata di Traini – è necessario che l’una e l’altra (le altre, si potrebbe scrivere) si accordino per mezzo di un traghettatore che non permetta il naufragio del linguaggio. È l’innesto, il coacervo: una pennellata di follia oltraggia (inesorabilmente) la struttura della Ragione; un imperativo ragionevole è proiettato nella follia. Purtuttavia tale innesto si risolve nella malafede attraverso cui la disciplina psichiatrica conforma i propri barlumi di criminalità: insomma, non si è mai sicuri dell’efficacia dell’intervento. Bisogna affidarsi a una voce che decida circa la sanità e la follia d’un soggetto criminale perché sia condannato o prosciolto.

Traini «ha una personalità disturbata», afferma ancora Giulianelli, «lo dimostra anche il disordine della sua stanza». L’avvento della personalità, dell’istinto, i quali dovrebbero dimostrare l’abisso sopra cui il soggetto è stato in cattivo equilibrio finché non è caduto: bastava una folata di vento. Sconvolto dall’assassinio di Pamela Mastropietro per opera del nigeriano Innocent Oseghale, Traini ha deciso per «un’azione personale», la giustizia sommaria. È la riattivazione della follia sopita. Perché non sia avvenuta per altre migliaia di notizie di cronaca dove la dialettica dell’assassinio contemplasse due individui di analoga nazionalità, oppure ad attori invertiti riguarda ciò che della vita psichica sopravvive in forma di personalità. Che abbia a che fare con l’effigie della Terza Posizione tatuata sulla fronte? L’interrogativo investe completamente la relazione tra personalità e azione criminale o scellerata. Quanta follia investiva il folle prima che fosse conformato come folle? Che grado di parzialità può essere accordato alla follia? Già contraddizione totale, non può ammettere altra contraddizione che non se stessa.

Relegando la ferocia del conflitto al territorio della follia, credendo di marginalizzarla nell’irragionevolezza, non la si conforma che in difficoltà ancora più inedite le quali polemizzano del tutto con gli elementi psichici dello scellerato. Lo splendore della ragione, impiegato sia da chi desideri costringere agli abiti della follia qualsiasi atto che attenti alla serenità individuale sia da certa stampa che ambisca a ridimensionare l’affinità di Traini con ideologie di estrema destra (dunque xenofobe e francamente razziste), non può che paventare un solo motteggio: si fa presto a dire follia. È necessario dunque sostituirvi coscienza critica, innestando il germe dell’ironia in una così cruda sicumera: seh, si fa presto a dire follia!

Antonio Iannone

 

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