Diritti

“Non chiedete a noi ucraini di arrenderci, i russi non si fermeranno mai”

29 Marzo 2022

È una voce dall’orrore, quella di Taras Lazer. Mi arriva intermittente da una Kyiv devastata dalla guerra russa, che fa scempio delle persone, delle case, delle cose. Un dottorato in lingua italiana, una profonda passione per la Sicilia, il professor Lazer insegna (meglio: insegnava) all’Istituto di filologia dell’Università Borys Grinchenko della capitale ucraina. Il suo è un italiano amaro, con un lieve accento del sud, a tratti increspato da un’ombra di ironia; con l’acribia dello studioso, nel corso della conversazione, cerca la parola giusta, il vocabolo che può aiutare a far intuire, almeno per un istante, la mostruosità di quello che sta succedendo in Ucraina.

Oltre a insegnare, prima della guerra il professor Lazer si occupava di traduzioni, soprattutto letterarie. Per esempio l’anno scorso ha tradotto in ucraino un libro di Gianni Rodari, e diversi scritti su Dante. Ma è anche uno sceneggiatore. Mi racconta che sono usciti già due film basati sulle sue sceneggiature, un terzo doveva essere girato quest’anno, «ma purtroppo… andrà in onda più avanti». E ancora, è un musicista, lavora con il gruppo Mavka (che prende il suo nome da una ninfa acquatica del folklore ucraino). Un umanista a tutto tondo, insomma, Taras Lazer. Che ora si trova, come milioni di altri ucraini, in guerra. E, per una ventina di minuti, si ferma e racconta.

Taras Lazer, guerra ucraina
Taras Lazer mentre fa il suo lavoro

Dove ti trovi, Taras, in questo momento?

Adesso mi trovo a Kyiv, sono venuto stamattina qui per lavorare con i giornalisti italiani, sto facendo il fixer per loro.

Com’è la situazione nella capitale?

Oggi siamo stati in diversi posti, molto evocativi direi. Per esempio sono stato dentro una casa civile bombardata dai russi. È un orrore. Oggetti di uso quotidiano sparsi dappertutto, la casa bruciata. Nera. Ti fa sentire orrore, odio… e amore per le persone che sono dovute scappare dalle loro case, dai loro rifugi, per cercarne un altro.

Poi sono stato nella metropolitana, dove sta la gente povera, la gente che non sa dove altro nascondersi, e si nasconde lì. Abita lì. Dorme lì. Mangia lì. Fa amicizie lì. Sempre sottoterra. Oggi siamo stati alla stazione della metro che si chiama Arsenal’na, la più profonda d’Europa, e probabilmente del mondo – ma di questo non sono sicuro. E là, a quella profondità, la gente vive.

Poi abbiamo attraversato diversi quartieri di Kyiv, varie strade, sempre con i posti di blocco, le strade deserte, cosa che a Kyiv non succede mai. Ma la cosa positiva è che è facilissimo trovare parcheggio, a differenza di prima! [una risata sommessa] Ma comunque è devastante vedere la mia città così nuda, così… sì, nuda. Senza gente, senza auto: tutti i negozi chiusi, le file davanti alle farmacie e ai pochi negozi aperti.

Ho visto anche un bunker interessante. I bambini scappano lì, ovviamente con i genitori, e con le persone anziane. C’era una scritta, Happy Birthday, sul tavolo, perché l’altro giorno hanno festeggiato il compleanno di un bambino lì. E mi hanno raccontato che, con la loro dolcezza e la loro ingenuità, i bambini calmano gli adulti e soprattutto gli anziani che diventano troppo ansiosi, i bambini calmano tutti quelli che li circondano. A me è sembrato un po’ paradossale perché di solito dovrebbe essere il contrario, dovrebbero essere gli adulti a calmare i bambini, a cullare i bambini, ma qui a Kyiv succede il contrario.

Poi ho visto un gruppo di persone che stavano in un parco, e un medico con un manichino gli mostrava come fare un massaggio cardiaco. Gli ho chiesto lumi, mi ha detto che ogni giorno fa questa sorta di lezione a tutti i vicini di casa. E mentre parlava sentivamo colpi vicini e lontani, ovunque, e loro neanche se ne accorgevano. Continuavano a parlare, a vivere. Gli ho chiesto come riuscissero a ignorare i colpi, e mi hanno risposto che ci si abitua a tutto. Anche se si è dentro un simile orrore, ci si abitua.

E questa è la città che ho visto oggi, Gabriele. E quando l’ho vista oggi, così, mi sono reso conto di quanto io ami Kyiv, di quanto io ami la nostra capitale. Perché prima, abituato a vederla ogni giorno, non vedevo la bellezza segreta di questa città. Ora sì, ora sì che l’ho vista.

Tu sei un umanista, Taras, e stai dando un contributo alla battaglia che il tuo paese sta combattendo, raccontando questa guerra al mondo, aiutando i giornalisti italiani lì a Kyiv. Ma che cos’è per un umanista stare al fronte? Cos’è guardare la guerra, che è la cosa più antitetica all’umanesimo che esista?

Secondo me un umanista, quando ha la possibilità e le forze per difendere chi è più debole, agisce. Anzi, non importa se sei un umanista, un militare, un ingegnere o medico. È un essere umano quello che sa difendere chi è più debole, chi è vulnerabile e sta subendo un attacco. Noi ucraini adesso ci stiamo difendendo, e qui ogni distinzione sparisce, non c’è differenza tra un soldato, un filologo, un’infermiera o una cameriera. Tutti quanti combattiamo, con tutte le nostre forze, per la vittoria del bene, per la vittoria dell’umanità, perché noi tutti qui stiamo difendendo l’umanità. Siamo tutti umanisti qui, sia quelli al fronte vero e proprio, sia noi che stiamo aiutando qua.

Taras Lazer con sua figlia

L’Ucraina è stata per secoli contesa da varie potenze: la Polonia, i tartari e l’Impero ottomano, la Russia, l’Austria e la Germania… Uno potrebbe sentirsi sopraffatto da tutte queste vicende. Cos’è che ti dà forza in questi momenti, Taras?

Non ci ho mai pensato, sai? Ti dico perché. La mia condizione psichica, ma anche quella di molti altri – tanti miei amici hanno la stessa roba nella loro testa –, è tale che quando ti fermi un attimo, quando stai fermo e cominci a riflettere, a pensare e a ripensare a tutto l’assurdo e l’orrore che sta accadendo, alla tua vita personale e a quella di tantissime altre persone vittime dell’invasione russa, vieni investito da un miscuglio di emozioni così forte che quasi diventi pazzo. Senti l’odio, ti viene da piangere, provi l’orrore, ma poi arriva anche la gioia, ma una gioia strana, stranissima, tipo quando vedi che hanno ucciso dei russi. Capisci Gabriele? È una gioia molto strana, non è gioia per se stessi, è una gioia grottesca, assurda, creata da questa situazione…

E per non farti investire da questo miscuglio di emozioni cerchi sempre di fare qualcosa, ogni giorno, ogni minuto, cerchi di fare qualcosa per la vittoria o per te stesso, perché gli psicologi dicono che bisogna cercare di rilassarsi un po’ e di fare qualcosa per se stessi. E io… non so, io dal 24 [di febbraio] non mi sono fermato un minuto. O sì, ecco, ho provato a fermarmi solo un paio di volte, ad esempio entrando in una chiesa mentre celebravano la messa, o ascoltando la musica per strada, per pochi minuti. E sempre sono scoppiato a piangere, subito, gli occhi pieni di lacrime, ma così all’improvviso, capisci?

Quando tu ti fermi per un attimo e non lavori, quando non tieni sotto controllo la voragine dentro di te che ti sta proprio divorando, ecco che lei arriva. La tieni sotto controllo soltanto quando non ci pensi, e pensi invece a come tradurre un articolo, a come trovare una persona giusta per un’intervista, a come scrivere una notizia, quando ti informi su come stanno i tuoi genitori, quando vivi nel mondo materiale, quando dirigi la tua energia verso il lavoro. Invece, quando stai un pochino a rimuginare, ecco che quella cosa dentro di te si apre subito, si apre subito e ti divora. E ti viene da piangere, sei travolto da quel misto di emozioni. Grandi cose e piccole cose si confondono.

Le grandi cose sono Leopoli, le sorti della mia patria, tutta la bellezza distrutta; le cose piccole sono quelle che mi accadono ogni giorno: incontro persone da Mariupol, faccio un’intervista e inizio a piangere con loro per il dolore, l’orrore che hanno vissuto. E poi, quando rimango da solo, inizio a pensare a mia moglie e a mia figlia che stanno in Germania, e io che sto qui, in mezzo al nulla, in un appartamento che appartiene a persone di cui non so neanche il nome, che sono amici di amici degli amici che mi aiutano. E tutto questo mi si mischia dentro, e sta aspettando il momento di eruttare, come un vulcano.

Mi hai chiesto cosa mi dà forza, Gabriele. Nella situazione che ti ho descritto non è che ci sia qualcosa che mi dà forza. Però mi dà sempre forza l’idea che noi combattiamo per il bene, e la consapevolezza di lavorare per il bene mi dà la forza di trattenere quell’energia dentro di me. Ecco. Non posso invece vedere dell’arte, non posso ascoltare della musica, né guardare un film, perché quando lo faccio inizio a riflettere, e quando inizio a riflettere si apre in me quella voragine che ti menzionavo. L’altro giorno volevo vedere un film, ne ho guardato un minuto e poi ho spento, perché non mi arrivava, anzi mi dava proprio fastidio.

Che cosa vorresti dagli italiani? Cosa vorresti che facesse il governo italiano per l’Ucraina?

Che io sappia voi non avete tanti aerei, no?

Beh, un po’ di aerei li abbiamo.

Eh, mandateci gli aerei. [ride]

Per cosa?

Battute a parte, ora ti rispondo bene. Io vorrei che il governo italiano ci aiutasse in tutti i modi possibili, ma soprattutto in due modi: sanzioni contro la Russia, e poi in merito alla questione del nostro cielo. Dobbiamo chiudere il cielo, ci dovete vendere i missili, o fare pressioni sulla NATO perché ci difenda. Oppure dateci dei sistemi antiaerei. Questa cosa è importantissima, Gabriele.

Noi ucraini non vi chiediamo di venire con le truppe e di aiutarci sul campo di battaglia, ma solo sistemi antiaerei. Voi in Italia vedete le nostre città distrutte, le nostre vite distrutte, ma sono distrutte perché non abbiamo i sistemi antiaerei che potrebbero proteggere i nostri cieli. Questo è fondamentale ora. Servono le sanzioni, e i sistemi antiaerei. E gli aerei, in modo che possiamo combattere gli aerei russi, che volano sulle nostre città e le bombardano, in alcune zone senza incontrare resistenza.

A chi in Italia dice che l’Ucraina dovrebbe arrendersi tu cosa diresti?

Ma vaffanculo! Vabbè, questa è la prima cosa che mi è venuta in mente però… perché? A che scopo? Perché dobbiamo arrenderci? Per non far arrabbiare Putin? Ormai è arrabbiato. Per non farci uccidere? Ci uccide già. Perché dobbiamo arrenderci? Per farci uccidere di meno? Ma ci siamo già arresi, anni fa, per quanto riguarda la Crimea e il Donbass, no? Se guardiamo la verità in faccia, con il Donbass è stata una resa, e con la Crimea anche. Magari non si diceva de iure, ma de facto era così. E com’è andata a finire? Con un altro attacco.

Tu mi stai dicendo: “Abbiamo già provato ad arrenderci e non ha funzionato”.

Sì. Anche se non veniva detto esplicitamente, perché non si poteva. Ma nei fatti si era trattato di questo, di una resa. E com’è andata a finire? Con un altro passo avanti da parte russa, perché i russi non si fermeranno mai finché non avranno mangiato tutti intorno a loro. Finché non avranno rinnovato il Patto di Varsavia. Ecco ciò che vogliono. Se voi italiani guardate bene come si comportano i russi, se analizzate come si comportano, vedrete che loro si allargano. Partono dall’idea che deve vincere la loro visione del mondo, e la loro visione del mondo è quella di avere il potere come l’ha avuto, a un certo punto, l’Unione Sovietica.

È una visione totalitaria, a tuo parere.

Sì. E faranno di tutto per realizzare tale scopo. Lo faranno poco a poco, mangiando l’Ucraina, poi i paesi baltici, la Polonia, la Bulgaria, e così via. Perché loro creano le bugie, creano le storie, creano i miti con la loro macchina propagandistica sui media e sulle tv, vi investono un sacco di soldi, solo uno stupido non se ne accorge ormai. E con questi mezzi manipolano la coscienza di alcuni europei, soprattutto di alcuni italiani, come si è visto di recente. Però vorrei anche sottolineare che da quando la guerra è iniziata il popolo italiano è totalmente cambiato, mi sembra, per quanto riguarda la sua visione dell’Ucraina.

Grazie Taras.

Grazie a voi.

 

 

La cover del post è stata gentilmente fornita da Taras Lazer.

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