Diritti
L’odio è patrimonio dell’umanità?
Qualcuno ha scritto: “Ad un bambino non si insegna a rispettare un gay, gli si insegna a rispettare tutti. Non gli si insegna a non picchiare una persona di colore, gli si insegna a non picchiare nessuno. Non gli si insegna a non maltrattare una donna, gli si insegna a non maltrattare nessuno.”
Purtroppo per arrivare a comprendere questo occorrerebbe uscire da quella bolla autoreferenziale che fa sì che ciascuno si percepisca come il centro del mondo cui tutto è dovuto. La cultura dei NO–che–aiutano–a–crescere oggi è qualcosa di cui si è persa non solo traccia, ma persino memoria ed in un contesto caratterizzato da tali carenze gli “altri da noi” hanno una sola funzione, un solo ruolo che consiste del lodarci, approvarci, ammirarci, gratificarci ed osannarci benedicendo ogni nostra affermazione, decisione, scelta, opinione come se si trattasse della novella manifestazione di un novello Dio in terra.
Gli influencer ne sono un esempio e la consistenza della nutrita pletora di coloro che li seguono, ammirandoli e ripromettendosi di apprendere da loro come fare ad emularli, ci fornisce in qualche modo la misura della gravità del problema. Alla fine una società policentrica, in cui ognuno si vede il centro del mondo, non può che sfaldarsi e scomparire. In un tale contesto di per sé malato anche la diversità non è più una semplice condizione, quanto piuttosto ciò cui compete di assume due soli possibili ruoli secondo che il singolo sia lo spettatore di quella diversità, ovvero ne sia l’interprete e/o il portatore: il drammatico ruolo di aggregante divisivo.
Il falso mito della società inclusiva nasce da un fallimento educativo primario cui i suoi alfieri non cercano di porre rimedio puntando al ripristino dell’indirizzo educativo richiamato in apertura, quanto piuttosto all’uso, in chiave divisiva, di quella società, di quel Paese in cui detto mito viene dogmaticamente imposto per scopi politici che di politically correct non hanno decisamente nulla.
Accade così che in una società come la nostra, in cui le lobby politiche in essere che della ghettizzazione della diversità fanno la loro bandiera, al pari di quelle che della diversità ostentata fanno il loro vessillo millantando la negazione della diversità, di fatto non differiscono in nulla visto che, alla luce dei fatti, puntano esclusivamente, o almeno ci provano, a far man bassa di facili consensi per fini che nulla hanno a che vedere con l’attuazione dell’inclusività, quanto piuttosto con la legittimazione di un potere mediatico e quindi politico per affermare il proprio indiscusso primato.
In un tale contesto la diversità diventa un’arma politica, la fonte primaria della radicalizzazione della contrapposizione e lo strumento principale con cui abbattere ogni ponte comunicativo la cui edificazione viene vista come come una minaccia al proprio potere.
Quanti partiti politici, movimenti, sodalizi sparirebbero se da domani l’unica normalità diventasse la reciproca accettazione? Quanti leader perderebbero il loro ruolo e con questa perdita anche il potere politico che ne consegue? Le contrapposizioni basate sulla diversa valorialità attribuita al proprio credo religioso, alle proprie scelte sessuali, al proprio colore della pelle sono altrettante fonti di legittimazione politica di chi di quelle contrapposizioni abbisogna per attuare la pratica del divide et impera.
Essere omosessuale o eterosessuale è una condizione oggettiva al pari dell’essere bianco o nero, musulmano o cristiano, monogamo o promiscuo –e come tale non dovrebbe essere in alcun modo fonte di orgoglio ovvero di vergogna, di fratellanza ovvero di odio.
A quanto pare il bisogno primario dell’uomo, o almeno uno dei bisogni primari, pare essere proprio l’odio o, per meglio dire, avere qualcuno da odiare.
La riprova ci giunge da uno studio del 2016 dello University College London che ricostruisce per noi le sorgenti e la diffusione dell’odio politico, razziale e antifemminista su internet a partire da 4chan, il sito dell’alt-right americana, uno degli ”angoli più bui della Rete”, come lo ha definito Gianluca Stringhini, uno degli autori dell’articolo intitolato “Kek, Cucks, and God Emperor Trump: A Measurement Study of 4chan’s Politically Incorrect Forum and Its Effects on the Web”[1] , frutto di una ricerca portata avanti dal citato Gianluca Stringhini con la collaborazione di Gabriel Emile Hine, Jeremiah Onaolapo, Emiliano De Cristofaro, Nicolas Kourtellis, Ilias Leontiadis, Riginos Samaras, e Jeremy Blackburn.
Lo scopo del lavoro è stato quello di capire cosa genera e come si propaga l’odio in rete, in che modo, nel breve volgere degli ultimi 15–20 anni, grazie a YouTube, Wikipedia e Twitter si sia arrivati ai livelli attuali di odio in Internet che si configura come un pozzo pieno di miasmi che vomita ingiurie, notizie false, incita all’odio, conia insulti razzisti, confonde le donne con la pornografia.
Come lo stesso Stringhini ha sottolineato nel corso di una intervista[2] rilasciata nel 2017 lo studio è stato condotto seguendo “4chan.org per vari mesi durante la campagna elettorale e i primi mesi di presidenza di Donald Trump” per poi passare a studiare “come fake news, insulti e incitamenti all’odio debordano su Youtube, Facebook e Twitter” caratterizzati da un livello di amplificazione a dir poco pazzesco.
Nel corso della stessa intervista Stringhini ha pure raccontato di come lui e i colleghi dovevano alzarsi periodicamente dal computer e distrarsi guardando foto di gattini in quanto “Non fa bene stare a lungo su siti come 4chan. Non dico che finivamo per convincerci di quel che leggevamo, ma di certo ne sentivamo l’influenza pur essendo solo osservatori esterni”[3].
L’osservazione più interessante, a mio avviso, di cui Stringhini ci ha fatto dono nel corso dell’intervista è quella relativa alle fonti di tutto ciò: “A volte avevamo l’impressione che non fossero semplici individui, ma partiti o movimenti elettorali. Alcuni post arrivavano dall’estero. Abbiamo studiato soprattutto insulti e fake news di contenuto politico, ma crediamo che lo stesso meccanismo si metta in azione anche per argomenti diversi. Prima si individua un nemico, poi lo si attacca con un raid fino a quando non si riesce a cacciarlo dal web”[4].
Una osservazione che la prima parte di questo articolo, per certi versi, integra andando ad abbozzare un tentativo di risposta ad un altro ben più pregnante quesito: quello riguardante la ‘fertilità’ del terreno su cui siti come 4chan seminano: è difficile pensare che certi messaggi possano passare e diffondersi così rapidamente se non giungono a confermare idee e pregiudizi già ampiamente serpeggianti tra i destinatari del martellamento mediatico di cui abbiamo sin qui parlato.
Un interessante lavoro dal titolo “Britain first and the UK Independence Party: social media and Movement-Party dynamics”[5] di Thomas Davidson e Mabel Berezin nel quale testualmente si legge[6]: “Gli studiosi di movimenti sociali hanno recentemente rivolto la loro attenzione alle interazioni tra partiti politici e movimenti sociali, ma poco si sa su come i social media abbiano influenzato queste relazioni, nonostante l’adozione diffusa di queste tecnologie. Presentiamo un caso di studio della relazione tra Britain First, un movimento sociale di estrema destra anti-musulmano, e l’U.K. Independence Party, il partito politico euroscettico che ha guidato la campagna per la Brexit. Il movimento è apparso marginale sulla stampa ma ha dominato i social media, sfruttando questa presenza per sostenere il partito. Esaminiamo le dinamiche del rapporto tra questi gruppi dal 2013 al 2017, attingendo ai dati dei social media, dei giornali e di altre fonti online e concentrandoci sulle interazioni tra le élite e i sostenitori di base. I nostri risultati illustrano come i gruppi di estrema destra abbiano utilizzato le nuove tecnologie per generare una quantità senza precedenti di sostegno popolare e per cercare di influenzare il mainstream politico.” che ci riporta al recente lavoro pubblicato dal Nuovo Giornale Nazionale sulla genesi della rivolta che ha infiammato la Francia a Luglio 2023.
[1] https://arxiv.org/pdf/1610.03452.pdf
[2] https://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2017/06/13/news/odio_insulti_e_fake_news_la_prima_mappa_del_lato_oscuro_del_web-167988521/
[3] https://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2017/06/13/news/odio_insulti_e_fake_news_la_prima_mappa_del_lato_oscuro_del_web-167988521/
[4] https://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2017/06/13/news/odio_insulti_e_fake_news_la_prima_mappa_del_lato_oscuro_del_web-167988521/
[5]https://files.osf.io/v1/resources/bmq5n/providers/osfstorage/5bc6352353cec4001bae7ba3?action=download&direct&version=3
[6]https://files.osf.io/v1/resources/bmq5n/providers/osfstorage/5bc6352353cec4001bae7ba3?action=download&direct&version=3
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