Diritti
Lo zoo dei terroni: feltrismo e dintorni
“Lasciamo a Conte il suo zoo pieno di terroni e ostile al nord che li mantiene tutti”.
Così l’ineffabile Feltri. Razzista non di primo pelo, eppure sempre a zonzo per i nostri palinsesti a dispensare il suo odoroso opinare. Indisturbato, naturalmente, perché bisbetico indomabile, caricatura reazionaria, troglodita in purezza, influencer da bar che ce l’ha fatta, quindi, funzionale all’audience. Come lo sono le battaglie di rutti su Youtube, gli starnazzamenti dei pomeriggi Mediaset e i reality show in blocco. Sia chiaro, non un’audience qualsiasi, bensì proprio quell’audience. La più inseguita.
La stessa che, per attitudine, con la politica e una corretta informazione non avrebbe nulla da spartire, ma che pretende, mossa da espansionistica mediocrità, di appropriarsi dell’intero campo dell’esprimibile o, perlomeno, del tele-esprimibile: beh, “pretende”, forse, è una parola grossa da attribuire a quell’audience specifica, senza pretese per definizione. Diciamo che, come premio fedeltà, glielo “lasciano pretendere”, la viziano.
Magari con la collaborazione del conduttore-tappezzeria di turno. Che tradirebbe qualunque principio, qualunque deontologia, pur di dare il giusto spazio, nel proprio studietto, all’opinione feculenta colorita, specie se sbraitata. In modo da intercettare, tra un applauso e il successivo, anche lo zapping ipnotico, anticamera del rigor mortis da abuso di divano. Il tutto, ovviamente, con l’eterno alibi del pluralismo.
A esser franchi, un modus operandi egemone che, più di ogni altra cosa, avalla l’inquinamento propagandistico-informazionale corrente. Sdoganandolo. Producendolo. Coccolandolo. Alimentandolo giorno dopo giorno. Facendo dimenticare anche la mera possibilità dell’inverarsi di grammatiche televisive, politiche e giornalistiche non offensive dell’intelligenza dello spettatore-elettore. Considerato ormai alla stregua di un’entità consumistico-emotiva acefala da non complessare.
Insomma, una corsa al peggio. Intervallata di rado, e con finalità di comodo, autoassolutorie, da qualche reductio ad Hitlerum dell’irrinunciabile ospite sbracato. Prese di distanza che, creando conflitto, alla fine dei conti, producono anch’esse spettacolo, dunque vanno bene: il pubblico di cui sopra benedice, l’inserzionista anche. La categoria è salva.
A questo punto, non potendo realisticamente sperare in un’inversione di rotta dell’intero comparto mediatico, purtroppo, riteniamo improbabile il pronto intervento di un oblio definitivo in grado di ingoiare il feltrismo in tempi brevi senza risputarlo.
Motivo per il quale, per tutelarci, possiamo, al massimo, nel nostro piccolo, cambiare canale e cancellare dalle nostre preferenze, senza voltarci indietro, qualunque programma gli dia asilo. Perché, fuor di retorica, chiunque lo ospiti è complice.
“Lo zoo dei terroni mantenuti” costituisce una delle più basse forme di spazzatura mai circolate. Spazzatura apertamente razzista. Di un razzismo furbo. Che punta sulla banalità del male per lubrificare le vendite.
Spazzatura che, con un’emergenza rifiuti permanente, scorrazza libera perché non solo si sente intoccabile, ma si sente addirittura protagonista, interprete privilegiata dello Zeitgeist, delle “sensibilità” più diffuse.
Conclusione: che i tempi siano maturi per accantonare una buona volta il modello informazione-discarica?
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