Diritti
Lo strazio dei suicidi nelle carceri. l’Italia verso nuova condanna della CEDU
Dati raccapriccianti quelli che giungono dagli istituti penitenziari del nostro Paese. Oltre al sovraffollamento cronico e alla mancanza di personale, ogni due giorni un detenuto si toglie la vita. Una situazione sanzionabile dalla Corte di Strasburgo per violazione dell’art.3 della CEDU. Per quanto tempo ancora si può continuare ad ignorare la questione riguardante la salute mentale di chi è ristretto nelle carceri?
“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.”, recita testualmente l’art. 27 della Costituzione italiana. Ma, quando nelle carceri del nostro Paese, ogni due giorni un detenuto si toglie la vita, con ben 17 suicidi solo dall’inizio del 2024, e con un sovraffollamento medio negli istituti penitenziari pari al 118%, ovvero 60mila detenuti stipati in poco più di 50mila posti a disposizione nelle celle, viene da chiedersi se stiamo parlando di umanità o disumanità, riservata a coloro che vengono condannati ad espiare una pena.
Una questione, quella della salute mentale dei detenuti, che sembra non essere presa in debita considerazione dalle Istituzioni, ma che continua a mietere vittime in modo sempre più straziante, disattendendo totalmente qualunque scopo deflattivo o rieducativo della pena e di reinserimento dell’ individuo, relegato ad un avanzo sociale da cancellare non solo fisicamente ma ancor prima nella sua dignità.
“Una tendenza inspiegabile“, è stato il commento di Giovanni Russo, capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (Dap) del ministero della Giustizia.
“Il suicidio è a valle di tutti i problemi, non a monte. Sono numeri spaventosi ma siamo talmente assuefatti che ormai ci sembrano normali”, commenta invece Michele Miravalle, coordinatore nazionale dell’Osservatorio adulti sulle condizioni di detenzione di Antigone, da sempre in prima linea in tema di giustizia penale.
Antigone, infatti incasella i dati relativi all’ultimo trimestre del 2023, registrando un aumento di detenuti di 1.688 rispetto ai 400 dello stesso periodo ma nel 2022.
Continuando in questa direzione, non v’è dubbio che si saranno superate presto le 67mila presenze in cella che,nel 2013, indussero all’emanazione da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, della cosiddetta “sentenza Torreggiani“, sanzionando l’Italia per la fatiscenza ed il sovraffollamento delle proprie strutture penitenziarie.
Secondo i sopralluoghi nelle carceri effettuati da Antigone, nel 10,5% degli istituti non tutte le celle sono riscaldate, nel 60,5% delle celle, non vi è la possibilità di utilizzare l’acqua calda per tutto il giorno e addirittura mai e il più della metà delle carceri visitate, presenta servizi igienici privi di doccia, sebbene il richiamo a munire i bagni della doccia sia scaduto nel mese di settembre del 2005 come termine ultimo. Ancora, lo scorso anno, il numero di educatori assegnati era di 1 ogni 76 detenuti.
In particolare, secondo la Corte di Strasburgo, vi sarebbe la violazione dell’articolo 3 CEDU , laddove il detenuto disponga in cella di uno spazio inferiore ai 3 metri quadrati, così come avviene ormai da anni nelle strutture penitenziarie italiane.
La Puglia e la Lombardia presentano le carceri maggiormente affollate, rispettivamente 143,1 percento e 147,3 percento. Con Brescia che detiene il primato con un tasso del 218 percento.
Solo nel 2022, più di 4mila detenuti hanno ricevuto un risarcimento economico o uno sconto di pena perché sottoposti ad un regime carcerario non accettabile. Occorre sottolineare, ovviamente, come il bilancio dell’Amministrazione penitenziaria, di circa 3 miliardi di euro annui, possa destinare alle spese del personale solo i due terzi dell’ammontare. Se si considera che, per la realizzazione di una nuova struttura, occorrerebbero più di 25 milioni di euro e che, in base all’attuale numero di detenuti sprovvisti di un posto a norma all’interno delle carceri, sarebbe necessario costruire 52 istituti penitenziari, i fondi da investire corrisponderebbero ad 1 miliardo e 300 milioni di euro. Senza contare poi, della quantità di personale qualificato da inserire: dagli agenti della polizia penitenziaria, agli educatori, psicologi, medici, mediatori, direttori, personale amministrativo, assistenti sociali, infermieri.
Intanto l’ Osservatorio Carcere dell’UCPI denuncia una situazione di estrema gravità nelle carceri italiane e la totale inadeguatezza del Governo circa le possibili soluzioni del problema.
“Abbiamo appena finito di denunciare con tre giorni di astensione dalle udienze il numero e la frequenza atroce dei suicidi nei luoghi di detenzione, carceri e CPR, ed un ennesimo suicidio di un giovane detenuto si è compiuto nel carcere di Latina”. si legge in una nota ufficiale diramata nelle scorse ore. “Così non si tratta più – continua il comunicato – di tutelare solo la dignità dei condannati ma di preservarne la vita. Dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere avevamo denunciato il rapporto fra simili terribili eventi e le parole d’ordine e gli slogan di una politica irresponsabile che ignorando i valori intangibili della dignità del condannato e delle finalità delle pene ritiene che il condannato possa essere ridotto ad una cosa lasciata a marcire. Collocando così il carcere al di là dei confini della civiltà e del rispetto della persona. Ma i fatti di Reggio Emilia nella loro ulteriore atrocità appaiono tanto più allarmanti perché, oltre che rispondere a quel medesimo contesto culturale, costituiscono l’evidente esito di una politica che ha da tempo abbandonato il carcere al suo destino e dimostrano come sia totalmente errato l’avere intrapreso una strada volta a privilegiare l’aspetto contenitivo e afflittivo della pena, la funzione autoritaria e securitaria del regolamento penitenziario e del trattamento, introducendo con il pacchetto sicurezza norme contrarie ad ogni principio di civiltà giuridica. Così come contrarie ad ogni principio di dignità e di umanità sono le condizioni nelle quali sono costretti a vivere i detenuti, condannati a pene definitive e in attesa di giudizio, spesso in condizioni di oggettiva illegalità per carenza dei minimi presidi igienici, sanitari e psichiatrici e troppo spesso ridotti in uno stato di disperazione e di abbandono.
“Denunciamo – prosegue la Giunta UCPI- l’assoluta inidoneità dei rimedi sino ad oggi immaginati dal Governo, l’assenza dei più volte sollecitati interventi urgenti volti alla eliminazione del fenomeno del sovraffollamento in continuo drammatico aumento e l’insistenza su politiche giudiziarie e legislazioni irrazionali e dannose che vanno in senso contrario ai valori e ai principi che devono governare la necessaria e urgente riforma dell’esecuzione penale e tutelare la dignità e la vita di tutti i detenuti. Non c’è più tempo.“.
La salute mentale dei detenuti sembra non essere un argomento di interesse istituzionale
“In carcere, dove i tassi di suicidio sono molto superiori a quelli nella popolazione libera, la relazione tra l’ambiente di vita e il suicidio è molto evidente, laddove c’è più sovraffollamento, meno proposte trattamentali, e condizioni di vita non dignitose, si muore di più. Sembra ovvio, ma la politica sembra non volerlo capire. Il carcere diventa sempre di più un contenitore di disagio che non viene assorbito dalla sanità pubblica esterna” – spiega sempre Michele Miravalle, ricercatore di Antigone e dell’ Università di Torino-. “Dalle nostre osservazioni notiamo come le dipendenze sono tornate a essere un problema enorme: raccogliamo testimonianze di operatori spesso sconcertati dal mix di sostanze che assumono sia i minori sia i giovani adulti, con le note problematiche legate all’astinenza e al fenomeno dello spaccio interno agli istituti. E poi la salute mentale”.
Lo stesso Miravalle, prosegue ancora, “Il carcere oggi è luogo sospeso, dove i problemi del fuori si ingigantiscono. Il disagio carcerario è sempre o eterodiretto o autodiretto. Nel primo caso, il rischio è che la popolazione detenuta si organizza promuovendo proteste nel migliore dei casi pacifiche ma che possono diventare violente. E non è un caso che il governo abbia introdotto un nuovo reato di rivolta. Oppure l’aumento degli atti di autolesionismo e suicidi, con l’autoafflizione. In questo momento credo sia più questa la via. L’enfasi sulle nuove galere, i nuovi padiglioni è poco più che retorica. Nella pratica è una strada difficile e dal risultato incerto”, conclude.
A fronte di questa ecatombe di esseri umani vilipesi ed abbandonati ad un destino segnato, il Governo pensa di liquidare la questione con un semplice e qualunquista “aumentare le carceri e sostenere la polizia penitenziaria”, così come sostenuto da Giorgia Meloni a Tokyo, il 5 febbraio.
“Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione“, diceva Voltaire. Già, ed è dentro quelle mura che si consuma il delitto nel delitto: restare assolutamente indifferenti allo strazio di chi oltre all’errore di cui si è macchiato (forse), è costretto a patire anche l’orrore di non essere considerato un essere umano.
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