Diritti

L’eutanasia per chi vuole completare la propria vita sarebbe un atto di civiltà

14 Ottobre 2016

«Le persone che, dopo profonda riflessione, ritengono di avere completato la propria vita dovrebbero essere messe in condizione di terminarla dignitosamente». Con queste parole, i ministri della Giustizia e della Salute del governo olandese hanno chiesto al Parlamento di avviare una discussione per ampliare la legge sul suicidio assistito in modo da comprendere quegli individui che ritengono di aver “completato” la loro vita, anche se sani.Una proposta che è destinata a far discutere e che ha già scatenato polemiche anche in Italia, dove la parola “eutanasia” provoca da sempre reazioni scomposte.

In Olanda, la legge sull’eutanasia fu approvata nel 2002, per concedere la “dolce morte” a malati terminali con “dolori insopportabili”. Secondo le stime, nel 2015 ben 5.516 pazienti hanno scelto di ricorrere all’iniezione letale, il 3,9% delle morti totali del paese, Nel 70% dei casi chi ha chiesto l’eutanasia era malato di cancro. Un altro pianeta rispetto all’Italia, dove la responsabilità di “staccare la spina” (eutanasia passiva) e mascherare il decesso come “morte naturale” se la prendono pochi medici coraggiosi, agendo a loro rischio e pericolo.

La vera domanda che tutti dovremmo porci, cercando una risposta di coscienza e non di appartenenza è la seguente: cosa è l’eutanasia se non un atto di civiltà? 

Il dibattito in Italia è arenato ormai da anni e nessuno ha l’ardire di porre la questione fuori dal seminato di un trattamento sanitario per malati gravi, sia per le forti ingerenze del Vaticano nella politica nostrana, sia per una serie di pregiudizi culturali che investono anche il mondo laico, assai più di quanto sembri. Ma a meno che non si pensi che la nostra anima appartenga a qualcun altro e al netto di velleità di reincarnazioni o vite eterne sulle nuvole o in mezzo a dei canyon pieni di lava, è davvero difficile capire la tesi di chi non considera la scelta di porre fine alla propria esistenza come un “sacrosanto” diritto di ogni essere umano. Ancora più incomprensibili i fanatici dell’accanimento terapeutico, da assimilare per modi e intenti a quelli religiosi.

Tuttavia, malgrado la nostra conclamata e oggettiva arretratezza rispetto alla questione, è un errore considerare il diritto alla morte come una “concessione” da dare ai malati terminali o a chi è ridotto a una vita vegetativa. La vita, fino a prova contraria, appartiene al suo titolare e ogni essere cosciente dovrebbe disporne a suo piacimento. Semmai – volendo entrare nel burocratico – la discussione potrebbe vertere su quanto lo stato debba svolgere la funzione sanitaria di assecondare la scelta di chi vuole morire, ma in un tempo in cui se non tagli qualche poltrona non sei nessuno, il rapporto costi/benefici rischierebbe di avallare tesi estreme.

C’è poi un’enorme questione sociale. Nei prossimi trent’anni, l’attuale generazione dei quarantenni si troverà a dover affrontare una lunga vecchiaia senza le stesse garanzie che lo stato oggi assicura ai loro padri. Già in questi anni, si registrano moltissimi casi di migrazioni da parte di pensionati che in Italia non arriverebbero alla terza settimana del mese. Vere e proprie comunità di “migranti del fine vita” si stanno formando in paesi dove abitare costa meno, dalla Spagna alla Bulgaria, fino alla Tunisia. Parliamo di pensionati a cui comunque è garantito un reddito – seppur minimo – a cui milioni di futuri anziani non accederanno. Per moltissimi, l’uscita dal sistema produttivo coinciderà dunque con una vita di stenti, in parte a spese dei servizi sociali (sempre che non spariscano anche quelli), in parte a spese delle famiglie.

E qui la domanda se vogliamo più “politica”: ma in una società dove l’individuo è considerato quasi interamente per il suo ruolo nei cicli produttivi, perché non permettere a quell’individuo di “spegnersi” quando lo ritiene opportuno? Persino la degradante sommatoria di macchine a cui è ridotta la nostra specie ne gioverebbe, ironia della sorte.

 

“Uomini, poichè all’ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia,
gioir nei prati o fra i muri di calce,
come crescere il gran guarda il villano,
finchè non sia maturo per la falce”

Fabrizio De André,
Recitativo (Due invocazioni e un atto di accusa)
/ Corale (La leggenda del re infelice)

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