Diritti
L’amore al tempo della Shoah
Era il 1943, sul palcoscenico bellico ellenico, il nostro protagonista Vincenzo, un salentino doc, prestava servizio militare presso il gruppo motorizzato di stanza ad Atene. Ligio al suo dovere di soldato, non aveva disdegnato di interessarsi, nel tempo libero, al gentil sesso locale. Tra i suoi commilitoni ve n’era uno le cui origini lontane erano greche. Il suo bisnonno dovette abbandonare la Grecia per controversie politiche del tempo trasferendosi definitivamente in Italia. Costui, conoscendo la lingua greca, aveva rintracciato ad Atene alcuni suoi familiari di cui non aveva mai avuto sue notizie, motivo per cui trascorreva buona parte del suo tempo insieme a costoro. Vincenzo, incuriosito, anche perché amico di Giovanni, cominciò a frequentare i parenti di Giovanni e ovviamente i loro amici.
In un tiepido pomeriggio di fine gennaio del 1943, era un sabato, il gruppo di parenti e amici greci di Giovanni, decisero di andare a trascorrere qualche ora nel quartiere più caratteristico di Atene “Plaka”. Il destino volle che Giovanni casualmente incontrò Yorgos, un suo compagno di studi dell’università che si era laureato in Italia in medicina a Bologna. Yiorgos era con sua sorella Fanny, una splendida ragazza. Trascorsero così tutto il pomeriggio tutti insieme. Ma per Vincenzo quell’incontro fu fatale. Non riuscì a staccare gli occhi di dosso da Fanny. Non sapendosi esprimere in greco, cercava di farlo alla meno peggio intercalando parole in tedesco e in inglese. Una cosa fu certa, se ne innamorò! Trovandosi in Grecia, Eros dio dell’amore dell’Olimpo, aveva colpito profondamento il cuore di Vincenzo e per come sono poi andati i fatti, Eros, aveva scoccato una ulteriore dardo che colpì profondamente il cuore di Fanny.
Nei giorni seguenti i due cuori feriti da Eros cominciarono a frequentarsi sempre più intensamente, al punto che tra due nacque un “grande vero amore”. La presenza di Vincenzo tra i parenti e gli amici greci di Giovanni fu tollerata grazie alle favorevoli intercessioni di quest’ultimo.
Trascorsero così alcuni mesi, sino a quando l’8 settembre del 1943, a causa dell’armistizio firmato con gli Alleati (le forze anglo americane), portò al rovesciamento dei fronti. I nemici in poche ore divennero i tedeschi, i quali per rappresaglia, iniziarono a rastrellare i militari italiani. Migliaia furono gli italiani trucidati in quei giorni e altrettanti deportati.
Proprio in quei giorni e per i mesi che seguirono, i greci, ai quali eravamo andati per rompere loro le reni, divennero i salvatori di non pochi italiani. Avevano capito sin dall’inizio del conflitto che gli italiani non volevano quella guerra, che non gli apparteneva e che era frutto di scelte scellerate, come sempre pagate dalla povera gente. I rastrellamenti e gli eccedi contro gli italiani non si contavano più. La notizia degli oltre 5.000 militari italiani trucidati a Cefalonia aveva fatto comprendere ai nostri soldati quanto fosse realmente drammatica la situazione, aggravata poi, da un totale sfaldamento delle linee guida militari, oramai allo sbando e senza controllo.
Vincenzo e Fanny avevano capito che il terreno sotto i piedi stava crollando e che le speranze di un futuro migliore si affievolivano giorno dopo giorno. Decisero così di suggellare il loro amore convolando a nozze. Il 25 novembre del 1943 nella chiesa di San Paolo in Atene, in gran segreto si sposarono. Vincenzo fu tenuto nascosto dagli amici greci, con il sostegno dell’amore di Fanny sino alla fine di dicembre. Purtroppo, nell’ambito di un rastrellamento a tappeto effettuato intorno al quartiere di Thision, quello ai piedi del Partenone, Vincenzo fu catturato e destinato ad un campo di concentramento in Germania. Fanny non ci pensò due volte, si costituì dichiarando di essere, oltre che la moglie, colei che lo aveva nascosto, e che voleva restare al fianco di Vincenzo.
Entrambi furono deportati tra lo sgomento dei parenti di Fanny, che avevano sin dall’inizio non visto di buon occhio questa relazione amorosa, ma soprattutto perché stavano perdendo una figlia, una sorella, che avrebbe potuto evitare la deportazione, per effetto delle leggi vigenti.
Quando l’amore è grande e vero, è anche cieco e privo di calcoli razionali. Vincenzo e Fanny credendo e vivendo solo per il loro amore, pensarono fosse questo l’unico modo per poter continuare a stare insieme. Incuranti e forse anche incoscienti, affrontarono il loro destino con ostinata determinazione, soprattutto da parte di Fanny, che poteva restare in Grecia, mettersi a pregare e attendere che il destino le restituisse Vincenzo. No, lei non apparteneva a questo tipo di donna, lei era forte e fortemente amava il suo uomo, motivo per cui, nella difficoltà scelse solo ed esclusivamente di seguire il suo uomo.
Vincenzo e Fanny sopravvissero alla prigionia in quanto elementi necessari per la produzione di materiale bellico, ma non insieme. Nello stesso campo, ma in comparti separati dove ci si poteva vedere solo da lontano. Ma a loro bastava solo quello. Furono liberati in gennaio del 1945 e il loro rientro è stato costellato da una miriade di difficoltà.
Dissero e descrissero una vera e propria odissea, tra sofferenze, fame, malattie, morti e tanta crudeltà, in quanto la guerra con le sue atrocità aveva sclerotizzato non poco i cuori della gente.
Decisero di far rientro a Lecce dove vissero, Fanny sino al 1983 e Vincenzo sino al 1986.
Non so cosa ci riserva il futuro dopo la nostra morte, ma sono certo che per loro due è stata realizzata un’oasi sospesa nello spazio e nel tempo, dove continuano a vivere il loro amore.
Vincenzo e Fanny erano mio padre e mia madre.
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