Diritti
La Società italiana di chirurgia d’urgenza e del trauma al fianco di chi soffre
Il presidente SICUT, Prof. Massimo Chiarugi, scrive una toccante lettera a tutti i soci per sollecitare il fondamentale contributo di una branca della Medicina che, mai come ora, è chiamata a farsi prossima nei confronti di chi è colpito dallo strazio della Guerra. Senza distinzioni tra vinti e vincitori
In questo sabato pomeriggio, piovoso e pieno di interrogativi angoscianti di inizio marzo, con il Mondo che tiene il fiato sospeso e piange le migliaia di morti ingiustamente scaraventate in quella dimensione infernale, di una Caina dantesca del 2022 che è la Guerra, terra di nessuno, un caro amico, stimato medico presso il presidio ospedaliero “Camberlingo” di Francavilla Fontana, provincia di Brindisi, il dottor Salvatore Pungente, chirurgo generale e d’urgenza, mi sottopone in lettura una toccante lettera aperta che ha ricevuto in qualità di socio della SICUT, la società italiana di chirurgia generale d’urgenza e del trauma, a firma del Presidente, il prof. Massimo Chiarugi, il quale sceglie un estratto tratto da “Vita e Destino“, di Vasilij Grossman, Adelphi Editore.
Grossman, autore ebreo, ucraino, e russo di nazionalità, descrive con parole così emblematiche e verosimili cosa sia la guerra, che non muta la sua potenza distruttiva ed il suo carico di lutti con il trascorrere del tempo. A significare che combattere contro i propri simili è anacronistico e insensato adesso come allora e come sempre.
Lo scopo come si apprende nella missiva, è quello di testimoniare il ripudio della stessa SICUT nei confronti della guerra e della violenza in senso lato. Sollecitando i soci, ad offrire indefessamente il proprio contributo al servizio di chi soffre, avendo a cuore indistintamente, le piaghe aperte di chi vince e di chi è stato vinto, ammesso che di vittoria e sconfitta si possa parlare anche lontanamente, in una spirale brutale ed agghiacciante per l’umanità come quella che si sta vivendo in questi giorni in Ucraina, in una sorta di flipper impazzito, in cui la palla siamo noi tutti, uomini così finiti, piccoli, fragili, inermi. Giorni nei quali sembra voler prevalere il male, nella sua lotta spasmodica di volersi affermare sul bene, per cancellarne le tracce.
E la solidarietà, il cum patire, il riuscire ad annientare le distanze, i rancori, le offese ricevute, le umiliazioni perpetrate in nome dei colori di una bandiera per la quale si combatte, avendo come imprimatur solo quello di uccidere l’altro, presuppone per chi svolge la delicata professione del medico, l’essere capace di farsi balsamo e laccio emostatico allo stesso tempo, per lenire ed arrestare il flusso emorragico che sgorga dalle ferite procurate da una bomba o da un arma da fuoco poco importa. In condizioni estreme, quello che un medico è chiamato a non dimenticare mai, è che quando si ha tra le mani la carne di un essere umano dilaniato dalla guerra, si ha tra le mani la carne sofferente ed inchiodata di Cristo.
–Dall’ospedale militare da campo di Saratov, fronte del Volga, 1942
“L’operazione iniziò alle undici del mattino e finì alle tre del pomeriggio. Ad assistere c’era anche il primario dell’ospedale militare, il dottor Dimitruk. A detta dei medici presenti, venne eseguita brillantemente. Al tavolo operatorio il dottor Meisel risolse prontamente gli imprevisti non contemplati dell’articolo in materia. Durante l’intervento le condizioni del malato, tenente Tolja Saposnikov, restarono sempre soddisfacenti, il battito costante, senza flessioni. Verso le due del pomeriggio il dottor Meisel, persona corpulenta e in là con gli anni, si sentì male e fu costretto a fermarsi per qualche minuto……. Ad intervento concluso e con il tenente Saposnikov già in isolamento, il dottor Meisel ebbe un grave attacco di stenocardia molto probabilmente dovuto alla tensione e sovraffaticamento del cuore malato del dottore. Le condizioni di Saposnikov erano stazionarie. << Il dottor Meisel gli ha ridato la vita, ma per poco non ci rimetteva la sua!>> disse la dottoressa all’infermiera. Verso le otto di sera il malato aprì gli occhi e chiese distintamente qualcosa da bere: l’infermiera Terent’eva ne fu felice e stupita…L’infermiera verificò ancora una volta il battito e gli passò un fazzoletto bagnato sulle labbra e sulla fronte. L’infermiera tornò in corsia. Il malato era nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato ma l’espressione sul viso del tenente Saposnikov, però, la mise in allarme. L’infermiera gli prese la mano. Non riusciva a sentire il battito, la mano era appena tiepida, di quel tepore appena percettibile, non vivo, che hanno la mattina le stufe rimaste accese tutta la notte ma che non ardono più da un po’. E per quanto l’infermiera Terent’eva avesse sempre vissuto in città, si accasciò e a mezza voce, per non disturbare i vivi, lo pianse come una vecchia contadina“.
La legge della guerra è una livella, getta nella disperazione chiunque riesca a sentirne l’odore ripugnante dello sterminio della Vita. Se chiuderemo ancora una volta gli occhi, in quella Caina, in quella terra di nessuno, ci finiremo tutti, perché vinti lo saremo tutti allo stesso modo.
Un ringraziamento sentito al dottor Salvatore Pungente, il cui camice è intriso di profonda umanità, oltre che di una grande passione e competenza.
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