Diritti

La morte degli altri

27 Febbraio 2017

“I diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri”, così Pier Paolo Pasolini avrebbe introdotto uno dei temi a lui più cari intervenendo al congresso del Partito Radicale nel novembre del 1975: un discorso che il grande intellettuale non poté pronunciare perché fu ucciso due giorni prima di salire su quel palco a leggerlo. Pasolini definì l’insieme di questi diritti un “concetto quasi illimitato” ma al tempo stesso suscettibile al gioco delle maggioranze e delle minoranze: “Il problema del divorzio è un problema che riguarda la maggioranza. Il problema dell’aborto è un problema che riguarda la maggioranza”, scriveva rivolgendosi direttamente ai leader radicali e aprendo di fatto una grande questione ancora oggi dibattuta: il riconoscimento universale dei diritti non come conquista di una parte ma come patrimonio collettivo.

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Quarantadue anni dopo siamo ancora qui e l’annuncio della liberazione di Fabiano Antoniani, in arte dj Fabo, ci ripropone gli stessi grandi interrogativi di allora, certamente aggravati dallo scorrere inesorabile del tempo e dall’italica lentezza nell’apprendere le sfide della modernità. Di eutanasia, di testamento biologico e di trattamento del fine vita si parla ormai da decenni e in molti lamentano – con buona dose di qualunquismo e superficialità – la paralisi della politica su questi temi, con le sue leggi arenate in Parlamento e le sue infinite discussioni circolari che tornano sempre al punto di partenza. Tutto vero, almeno sulla carta (la legge sul testamento biologico in discussione non c’entra nulla con l’eutanasia o il suicidio assistito), ma in realtà, come spesso accade, quando non ci si vuole confrontare con le grandi contraddizioni della nostra collettività, si cerca nel potere il più semplice degli alibi.

Tutte le grandi conquiste nascono da una spinta collettiva, non da manovre d’aula o da iniziative isolate di questo o quel politico, che ne sono semmai la conseguenza. E se per fruire di un diritto oggettivamente scontato come disporre pienamente della propria esistenza bisogna attraversare le alpi, armati delle proprie convinzioni e di diecimila euro, il problema non è politico ma culturale. Inutile quindi pretendere da un vecchio democristiano come il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di esprimersi su un singolo caso di eutanasia chiedendo al Parlamento di legalizzarla. Sarebbe più facile insegnare a un cane miagolare. Altrettanto inutile oggi vomitare accuse contro la politica, perché la sua lentezza è uno specchio della lentezza della società che rappresenta.

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I diritti civili sono in sostanza i diritti degli altri, la morte degli altri è in sostanza la nostra morte. Fino a quando la coscienza collettiva non imporrà al potere questa visione, morire dopo anni di vita vegetativa resterà un privilegio di pochi, utile per fomentare lo sterile lamento di alcuni pseudo intellettuali sulle pagine dei giornali. Pasolini – che intellettuale lo era davvero – con i suoi discorsi e con la sua arte spiegava al secolo breve le proprie debolezze sbattendogliele continuamente in faccia, per risvegliarne le ataviche pulsioni e trasformarle in una ragionata spinta collettiva volta a rendere più umano l’esistente. Lo avrebbe ribadito con un lungo e forbito discorso di fronte a una colta platea pronta ad ascoltare ogni sua parola e magari contestarla, con parole altrettanto forbite a vestire ragionamenti altrettanto profondi. E se oggi tutto ci sembra così fermo e così ingiusto, come “l’inferno di dolore” vissuto per anni da dj Fabo, più che parlare di politica dovremmo interrogarci su quanto sia debole la nostra coscienza collettiva, così spenta come le nostre pulsioni, così breve come un tweet di Saviano.

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