Diritti

La maratona dei diritti umani di Amnesty International, che ci riguarda tutti

14 Marzo 2017

Il 10 dicembre del 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite proclamava la Dichiarazione universale dei diritti umani. Per la prima volta nella storia dell’umanità era stato prodotto un documento che riguardava tutte le persone del mondo senza distinzioni. Per la prima volta veniva scritto che esistono diritti di cui ogni essere umano deve poter godere per la sola ragione di essere al mondo. Eppure la Dichiarazione è disattesa, perché ancora troppo sconosciuta. Amnesty International dal 1961 si impegna perché per tutti siano garantiti questi diritti. Sempre.

Il Movimento, mettendo in evidenza le ingiustizie perpetuate nel mondo, dà voce a chi non ne ha, cambiando la vita delle persone. Amnesty ha contribuito a ridare libertà e dignità a oltre cinquantamila persone, salvando, fino ad oggi, tre vite al giorno, perché “ogni ingiustizia ci riguarda personalmente” e il percorso affinché i diritti umani siano davvero garantiti a tutti è ancora lungo. Ne abbiamo parlato con Laura Perrotta, direttrice raccolta fondi di Amnesty International Italia.

Quanti soci e attivisti conta Amnesty oggi?
Amnesty International in Italia nel 2016 ha contato 117 mila persone che si sono mobilitate in difesa dei diritti umani. A questi si aggiungono duemila attivisti veri e propri, cioè coloro che dedicano molto del loro tempo e lavoro ad Amnesty International; sono le persone che sono presenti in ogni città di Italia in maniera capillare. Abbiamo infatti sedi in moltissime città del paese, circa 150 e la sede ufficiale è a Roma.

Quali sono i risultati che siete più orgogliosi di aver raggiunto nel 2016?
Nel 2016 grazie alle campagne di Amnesty sono stati liberati 650 prigionieri, persone che erano state private ingiustamente della libertà e siamo riusciti a far cambiare le leggi in 40 paesi nel mondo. Tra i casi di cui siamo orgogliosi di aver contribuito c’è sicuramente quello del Malawi, dove le persone affette da albinismo erano vittime di persecuzioni vere e proprie, perché c’era e c’è la credenza che le ossa, le parti del corpo delle persone albine siano degli amuleti e portino fortuna. Era ed è tradizione culturale infierire su queste persone proprio per avere delle parti del loro corpo. Siamo riusciti a convincere, insieme ad altri, il governo del Malawi a emanare due leggi a tutela delle persone albine, finalmente se qualcuno fa loro del male paga con il carcere e un aggravante. Ci dà grande orgoglio veder cambiare questa spaventosa situazione.

Se si sfoglia l’ultimo rapporto sui diritti umani da voi prodotto ci si trova davanti ad una realtà difficile da affrontare. Ben 36 nazioni hanno respinto illegalmente migranti rifugiati, 22 Stati hanno ucciso difensori dei diritti umani mentre manifestavano pacificamente…
Lo scenario non è dei migliori, è complicato, in cui – come ha dichiarato il segretario generale di Amnesty Salil Shetty – c’è stato un uso enorme della retorica del noi contro loro, tanta enfasi nel sostenere politiche divisive su risposta ad una crisi economica nei paesi più ricchi con un’offensiva rispetto a migranti e rifugiati. Una di queste è l’accordo firmato dall’Europa con la Turchia grazie a cui di fatto i richiedenti asilo vengono rimandati in un paese che è tutto tranne che sicuro. Oppure si pensi alle politiche che Trump desidera mettere in atto e che riguardando i migranti. Tutto questo è condito da governi con aspetti personalistici, come quello delle Filippine. Il presidente delle Filippine con la scusa di voler dare la caccia ai narcotrafficanti sta mettendo in atto un governo di violenze nel paese. La tendenza è preoccupante.

Proprio perché i cambiamenti del 2016 hanno evidenziato una tendenza verso politiche nazionaliste e aggressive, cosa ci aspetta quest’anno?
Sicuramente non ci aspettiamo che la situazioni cambi nell’immediato. Noi desideriamo che ci sia una forte reazione da parte delle persone. Siamo un Movimento fatto da persone comuni e se ciascuna delle persone (che è portatrice di diritti) si mobilita e agisce di sicuro è possibile invertila questa tendenza. Dobbiamo essere uniti.

In Italia invece qual è la situazione dei diritti umani?
Quello che il nostro rapporto ha evidenziato nel nostro paese è sicuramente la mancanza del reato di tortura nel codice. Lo abbiamo chiesto a molti governi, ma ci impegneremo affinché anche il governo Gentiloni si attivi in materia. L’Italia ha firmato una convenzione internazionale ma non ha ancora legiferato. Tutti i processi (dal G8, dalla Diaz, a quelli più recenti) si sono svolti senza questo reato e quindi con imputazioni inadeguate. Ci batteremo per questo.

Legacoop Lombardia ha dato il via ad un crowdfunding creato per sostenere quattro progetti meritevoli dal punto di vista civile, sociale, scientifico e culturale. Tra questi ci siete anche voi. Come avete intenzione di utilizzare i soldi che raccoglieranno?
Li utilizzeremo per Write For Rights, una campagna ricorrente e che facciamo tutti gli anni, e la finanzieremo grazie anche a questi fondi. Noi la chiamiamo la maratona dei diritti umani. Chiediamo alle persone di mobilitarsi su cinque casi che per noi sono esemplari, simbolici, casi di persone che hanno subito pesanti violazioni. Li lanciamo ogni anno a dicembre e raccogliamo firme. Chiaramente non sappiamo ancora quali saranno i casi ma di sicuro i fondi li useremo per questo.

Write For Rights è una delle più importanti campagne di sensibilizzazione di Amnesty, che tipo di situazioni avete risolto grazie a raccolte firme e a iniziative di pressione sulle autorità come queste?
C’è di sicuro il caso di Yecenia Armenta, una donna messicana che una mattina mentre si trovava in auto con sua cognata è stata prelevata da uomini non in uniforme ed è stata portata in un commissariato di polizia, dove ha subito torture e abusi ed è stata obbligata a confessare l’uccisione del marito. Yecenia ha firmato una confessione che non era in grado di leggere. È stata in carcere tre anni per questo, per via di una confessione basata sulla violenza e sulla forza. Ha subito minacce anche sulla vita dei suoi figli, che nel frattempo sono dovuti crescere senza di lei. Ci siamo interessati al caso, abbiamo raccolto quasi 200mila firme e alla fine nel giugno del 2016 è stata liberata. Le nostre pressioni internazionali sono state fortissime. Quando la comunità internazionale si attiva su un caso la vita delle persone come Yecenia cambia, ricevono solidarietà e in qualche modo vengono trattate meglio, in attesa che il caso si risolva. Quando poi un caso si risolve definitivamente si incrina quel meccanismo di impunità per chi ha perpetrato le violenze. Noi sappiamo che in Messico c’è una lotta al narcotraffico ferratissima e molto spesso per dimostrare che si stanno ottenendo dei risultati la polizia fa operazioni di questo tipo. Non è il primo caso quello di Yecenia. Nel 2016 abbiamo elaborato anche un rapporto sugli abusi sessuali in Messico. La maratona in questo caso è servita anche a portare alla luce un problema diffuso, abbiamo scoperto che 33 donne su 100 in carcere sono state violentate. Un fenomeno sul quale stiamo mettendo le mani. Il 75% dei casi che hanno fatto parte di Write For Rights, comunque, ha avuto esito positivo.

 

 

 

Abbiamo celebrato da poco la festa delle donne. Quest’anno, lanciato dalle donne argentine, è nato uno sciopero globale (di oltre 22 paesi) per protestare contro le forme di disuguaglianza tra uomini e donne tuttora presenti nel mondo. Qual è la situazione delle donne nel mondo? Quali situazioni vi trovare a dover affrontare?
Noi sappiamo che c’è una retorica contro le donne che non aiuta certamente la situazione. Trump, ad esempio, apertamente parla delle donne in maniera offensiva. Questo è un problema che va ad aumentare una condizione di discriminazione che esisteva ed esiste ancora oggi. La condizione dei diritti delle donne, oggi purtroppo (seppur in modo diverso) è preoccupante in tutto il mondo. Quello che ci dà speranza è il fatto che c’è sempre più consapevolezza e le donne si mobilitano per i loro diritti. Stiamo promuovendo in questo momento cinque appelli che riguardano casi di donne che non sono solo vittime ma anche difensori dei diritti umani, sia propri che della loro comunità. Molte donne agiscono in questo senso. Uno di questi casi-appelli riguarda un’educatrice che si batte per combattere il fenomeno dei matrimoni forzati, precoci e le mutilazioni genitali in Burkina Faso. La cosa bella è che la mobilitazione per i loro diritti ma non solo. Noi ci teniamo a sottolineare che le donne sono sicuramente vittime di discriminazioni, e sono portatrici di diritti che vengono violati molto spesso di più, ma sono anche in prima linea per la difesa dei diritti umani.

 

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(Foto di copertina di Giancarlo Marisal)

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