Diritti
La libertà religiosa ai tempi del Covid
Gli osservatori più attenti della vita sociale e culturale italiana lo indicano da tempo come uno dei fenomeni di cambiamento più vistosi dell’Italia degli ultimi anni: il nuovo pluralismo religioso. Dovuto certo all’immigrazione che ha cambiato città e paesi italiani, ma anche alla libertà con cui sempre più spesso ognuno ritaglia per sé un proprio ambito di riferimenti spirituali.
«L’Italia delle religioni ha fatto un tratto di strada, rompendo l’antico assioma secondo cui i processi di pluralizzazione confessionale consolidati in gran parte dell’Europa sarebbero stati impossibili in un Paese caratterizzato da una religione nazionale, espressione di una fede ma anche di una tradizione civile che con essa si è storicamente e indissolubilmente identificata» (Brunetto Salvarani).
Il problema vero è che l’attore politico appare in ritardo rispetto alla crescita di questo fenomeno.
In Italia ancora non abbiamo, dopo numerosi tentativi falliti, una legge quadro di tutela del diritto alla libertà religiosa.
Vi sono due minoranze religiose assai rilevanti, sikh e musulmani, che non hanno ancora un’intesa ai sensi dell’art. 8 della costituzione.
Ad approfondire l’analisi certo vanno anche citate forze politiche che costruiscono il loro consenso alzando veti pregiudiziali al riconoscimento di alcune comunità religiose (musulmani in primis). Perseguendo un confessionalismo simboleggiato da presepi e rosari, si pongono agli antipodi di un’Italia moderna nella sua ormai ineliminabile coscienza secolarizzata, plurale e laica.
C’è invece davvero l’esigenza di un’iniziativa legislativa all’altezza dei tempi.
La pandemia ha lasciato emergere in tutta la sua evidenza la disuguaglianza in atto.
Durante l’emergenza sanitaria ci si è dovuti confrontare con il dramma di non poter accompagnare con riti e preghiere i propri cari alla sepoltura. Ma a fronte di questa situazione difficile, la comunità islamica ha dovuto rendere nota ufficialmente l’ulteriore difficoltà che si è trovata ad affrontare per non avere un posto dove sotterrare i morti, perché in Italia mancano cimiteri idonei alla sepoltura musulmana.
Questo esempio è purtroppo indicativo del ritardo che è stato accumulato e che evidenzia la contraddizione di un pluralismo religioso cresciuto in modo significativo, ma privo di una legge adeguata.
Il 7 maggio il governo ha emanato un protocollo sanitario con la CEI in rappresentanza della chiesa cattolica “per la graduale ripresa delle celebrazioni liturgiche”.
Il 15 maggio sono stati sottoscritti altri sei protocolli con altre confessioni religiose e altri ne sono seguiti nelle settimane successive.
Il Ministero degli Interni non ha optato per un unico atto a validità generale, bensì ha inaugurato una particolare forma di relazione istituzionale e giuridica con singole realtà e famiglie confessionali (Comunità ebraiche, Mormoni, Chiese protestanti, Anglicani, Evangelici, Induisti, Buddisti, Baha’i, Sikh, Comunità islamiche, Comunità ortodosse, Testimoni di Geova).
« Il metodo seguito supera quello della tradizionale bilateralità pattizia, in quanto vede seduti intorno allo stesso tavolo le diverse comunità religiose e i rappresentanti del governo alla ricerca delle soluzioni migliori in grado di bilanciare l’uguale esercizio della libertà religiosa di tutti con le prevalenti esigenze di prevenzione del contagio. Purtroppo, la Chiesa cattolica ha percorso una solitaria corsia preferenziale, ma in ogni caso vedo con molto favore l’avvio di una prassi dialogica che è mancata nella fase iniziale dell’emergenza, come negli anni passati. Direi che siamo di fronte a nuovi esperimenti di dialogo interreligioso e laico» (Pierluigi Consorti).
L’auspicio è che venga avviata un’azione politica più rapida e più convinta di quella fin ora percorsa nell’azione di Governo e del Parlamento.
Il nuovo pluralismo religioso rappresenta una risorsa che può arricchire e qualificare un’Italia ormai imprescindibilmente e diffusamente multietnica e multireligiosa.
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