Diritti

Johara, uccisa con una bomba a 28 anni. Lottava per i diritti delle donne

10 Giugno 2022
Morta una giovane donna arabo-israeliana a causa di un ordigno posizionato sotto la sua auto. Era una attivista convinta contro i femminicidi: “Il Governo e la polizia non ci garantiscono protezione”, la sua denuncia

 

 

 

 

 

 

Far tacere per sempre una bocca da cui venivano proferite parole assai pericolose, perché carche di verità cruda e libera. Un affare da liquidare ed anche in fretta. E così, Johara, a 28 anni è stata fatta saltare in aria, con una bomba piazzata sotto la sua automobile, per non farla parlare mai più. Era divenuta scomoda, troppo, un vero e proprio disonore per gli ossequiosi di quell’inconcepibile codice comportamentale che impone alle donne di rimanere perennemente mute e sottomesse al volere dei propri uomini, unici signori ed artefici delle loro vite.

 

 

Punita nella maniera più infame, vile ed aberrante che possa esistere, solo perché lottava a voce alta ed a schiena dritta contro tutta la sequela interminabile di femminicidi che continuano a funestare le comunità arabo-israeliane e non solo, purtroppo (per tutti noi).

Una famiglia alle spalle, da sempre, parte integrante della politica locale e nazionale, nella difesa dei diritti civili. Padre, vicesindaco del suo paese, nonno, parlamentare per due legislature ed esponente di spicco dei drusi (filolaburisti) e, madre, impegnata nel Dipartimento per la Parità di genere del suo comune di residenza.

Un dna pieno di grandi ideali e trasparente coerenza di vita che, Johara,  non poteva non ereditare e celebrare nel  migliore dei modi, crescendo con un forte desiderio di giustizia e libertà da riservare a tutti, specie alle donne, per squarciare quell’ ignobile velo di omertà con il quale vengono uccise più e più volte, nell’indifferenza di chi vuol far apparire normale, ciò che è semplicemente: l’Inferno in Terra.

Ad un giornale online (Arab48) aveva dichiarato di non sentirsi sicura: “Tutte siamo esposte, non c’è uno spazio per noi nella società, il governo e la polizia non ci garantiscono protezione”.

Johara, aveva cercato di denunciare in modo credibile e documentato, tutto il meccanismo perverso che gravita intorno alle indagini sui femminicidi, gran parte dei quali rimane irrisolto, sprofondando nel silenzio più assoluto ed assordante per chi ne rimane coinvolto in termini di perdita di affetti e dolore inconsolabile.

Riguardo al suo di assassinio, la stessa polizia non esclude che possa esservi l’interessamento di un parente, accantonando invece eventuali forme di vendetta politica nei confronti di padre e nonno.

Un protocollo di morte, che sempre più membri maschili di una famiglia, decidono di porre in essere, eliminando fisicamente quelle donne a loro vicine, che scelgono di rivendicare qualcosa che ci viene concessa con la nascita: la libertà di autodeterminarci ed emanciparci.

Nel cimitero di Lod,  nei pressi di Tel Aviv, si assiste ad uno sconvolgente allineamento di lapidi, conseguenza di numerosi  delitti consumati tra le mura domestiche. Padri che uccidono le proprie figlie o incaricano i figli maschi di impartire punizioni esemplari  alle sorelle. Colpevoli di non aver mostrato una obbedienza illimitata, accettando qualsiasi forma di umiliazione e programmazione per la propria esistenza, che le rendesse sempre e solo delle schiave al cospetto dei re (rotolanti impettiti nella loro montagna di sudicia ignoranza e perdizione).

Thomas Nides, ambasciatore americano, replica all’accaduto: “Israele ha perso una gemma, una giovane coraggiosa. La sua uccisione codarda ci deve spingere a rinnovare gli sforzi perché tutte le donne possa vivere in pace e sicurezza”,

Johara Khanifs era, o forse sarebbe meglio scrivere, è, una giovane donna di 28 anni, con gli occhi ben spalancati sul mondo, capace di discernere dove stesse di casa la libertà. Quella di metterci la faccia, a qualunque costo, di indossare pantaloni, truccarsi, studiare, leggere, conoscere, lavorare, viaggiare, ma soprattutto amare e non restare immobili mentre qualcun altro, in virtù di un contratto firmato a tua insaputa, decide quando e come cibarsi di te, della tua essenza, della tua vita.

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