Diritti

“In Iran un anno dopo continuiamo a resistere”

16 Settembre 2023

A un anno esatto dalla morte di Mahsa Amini sembra che i riflettori sulle vicende interne dell’Iran si siano spenti. Ci saranno, certo, commemorazioni e sit-in in tutta Italia, ma il clima è cambiato ed è difficile non pensare che ciò sia legato ai mutevoli interessi geopolitici che l’Italia coltiva insieme ai suoi alleati. I diritti umani, si sa, spesso, più che un obiettivo in sé, sono un comodo strumento di pressione per raggiungere altri fini. Ovviamente ciò non aiuta chi in Iran continua a rischiare la vita per tenere accesa l’opposizione al regime teocratico. Come Sahar, una studentessa di 20 anni, che vive a Karaj, oltre un milione e mezzo di abitanti 20 chilometri a ovest di Tehran, e milita in un’Unità di Resistenza dei Mojaheddin del Popolo (MEK), la principale organizzazione del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana. L’abbiamo raggiunta nei giorni scorsi e le abbiamo chiesto, per prima cosa, in che clima cadrà l’anniversario.

Tra pochi giorni sarà un anno esatto dalla morte di Mahsa Amini. Vuoi dire qualcosa in proposito?

Posso dirti che l’anniversario arriva in un momento molto sfortunato per il popolo iraniano, perché il governo sta creando molti problemi alla popolazione. La situazione sta peggiorando, sia in termini economici che in termini sociali. E questo alimenta la nostra convinzione che bisogna aumentare le proteste per abbattere il regime. La nostra attività è molto importante e il regime reagisce cercando di chiudere i residuali spazi di manovra rimasti nella nostra società e di imporre misure repressive. Oggi, ad esempio, esercita un controllo ferreo su internet, la velocità della connessione viene rallentata e molti pensano che nei prossimi giorni la rete verrà bloccata proprio per impedire che l’anniversario dell’assassinio di Mahsa Amini diventi un’occasione per commemorarla e criticare il regime. Perciò le nostre azioni sono molto importanti.

In che senso la situazione economica e sociale peggiora?

Dal punto di vista economico la situazione peggiora di giorno in giorno. I lavoratori, soprattutto se hanno una famiglia da mantenere, non riescono a vivere con salari che non coprono neppure i bisogni più elementari. A questo si somma la repressione: il numero di esecuzioni di prigionieri politici continua ad aumentare vertiginosamente. D’altra parte questo rende la situazione sociale quasi esplosiva e pronta come mai a una rivoluzione e questo i funzionari del regime lo sanno.

Tu sei una studentessa. Quali sono i problemi più sentiti dai giovani iraniani? Che aspettative hanno per il futuro?

I giovani iraniani, nonostante dispongano di un elevato livello di competenze, in realtà sentono di non avere un futuro. Per questo spesso cercano opportunità di lasciare il paese e trovare occasioni all’estero. Il governo è fortemente responsabile per questa situazione  e il sistema educativo soffre per mancanza di capacità e di risorse.

Ci sono segnali di reazione nelle scuole e nell’università?

Rispetto all’anno scorso è chiaro che le misure repressive messe in atto l’anno scorso hanno avuto delle conseguenze. Molti sono stati arrestati, altri sono riusciti a scamparsela, ma temono di poter essere arrestati se protestano. Perciò, naturalmente c’è ancora rabbia, ma non una reazione manifesta come l’anno scorso. Tuttavia la situazione è aperta, ci sono opportunità e gli attivisti organizzano iniziative, anche se magari queste si svolgono lontano dai campus e dalle sedi universitarie.

Come unità di resistenza come intervenite in un contesto così difficile?

Dato che, come ti dicevo, l’atmosfera di terrore e di intimidazione creata dal regime oggi impedisce di organizzare manifestazioni di piazza, il nostro attuale obiettivo è proprio cercare di superare quest’atmosfera. Colpire i simboli del regime, fare scritte sui muri ed esporre striscioni con l’effige della leader della nostra organizzazione Maryam Rajavi, incoraggiare la gente a partecipare a qualunque tipo di protesta sono alcuni dei mezzi che utilizziamo per infondere coraggio nei giovani e tra gli studenti.

A differenza di un anno fa oggi la stampa e la politica italiana non stanno tributando particolare attenzione a quanto accade nel tuo paese. Vuoi approfittare di questa occasione lanciare un messaggio agli attivisti e a tutti gli italiani?

È un peccato che i giornali non parlino dell’Iran e del lavoro di opposizione che stiamo facendo all’interno del paese come organizzazione. Noi, in ogni caso, continueremo a lottare. Il messaggio che voglio lanciare a un anno dall’uccisione di Mahsa è un invito a stare dalla parte del popolo iraniano e, allo stesso tempo, dalla parte giusta della storia. La storia, infatti, giudicherà chi promuove una politica di conciliazione col regime iraniano e non riconosce il diritto del nostro popolo di resistere. Perciò mi auguro che anche il governo italiano ne tenga conto.

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