Diritti
#IocorroconStefano: seconda maratona per Stefano Cucchi
Chissà quante volte le sarà balenata nella mente l’idea di mollare tutto, quante volte la rassegnazione avrà preso il sopravvento sulla voglia di verità e quelle forze, già labili dopo il dolore della perdita e prosciugate fino all’osso nelle sere passate a studiare documenti, lanciare appelli, campagne, richieste d’aiuto, avranno ceduto il passo alla rabbia prima, e allo sconforto poi. Un urlo che rompe il muro del suono lanciato come un boomerang nel vuoto della legislatura italiana. Eppure Ilaria Cucchi corre ancora, corre da sette anni, senza sosta, e assieme a lei corrono papà Giovanni e mamma Rita, corrono decine di famiglie come la sua, corrono migliaia di cittadini romani, corrono le associazioni, corre quella fetta di società civile che reclama il rispetto dei diritti umani troppe volte calpestati. Ed è una corsa al ripristino della legalità, alle volte estenuante, ma ricca anche di momenti di entusiasmo e condivisione come quello che alle dieci di questa mattina ha radunato i tanti partecipanti alla seconda edizione del Memorial Stefano Cucchi al Parco degli Acquedotti di Roma, lo stesso parco nei pressi del quale il 15 ottobre 2009 Cucchi venne fermato per detenzione e spaccio di stupefacenti, portato in caserma, perquisito e processato, per morire una settimana dopo in condizioni disumane nel reparto di medicina penitenziaria dell’Ospedale Sandro Pertini. La pioggia non ha fermato le due gare allestite per l’occasione, una competitiva da 6 Km e una non competitiva da 3 Km, pur costringendo al rinvio delle attività culturali, artistiche e musicali previste per il pomeriggio, tra cui la performance del Muro del Canto, dibattiti e vari laboratori per i più piccoli, che avranno luogo il 22 ottobre, giornata in cui ricorre l’anniversario della morte di Stefano. All’iniziativa del Comitato Promotore Memorial Stefano Cucchi patrocinata da Comune di Roma e Regione Lazio, hanno aderito anche diverse personalità di spicco del mondo dello spettacolo e del giornalismo tra cui Riccardo Iacona, Sabrina Impacciatore, Ascanio Celestini, Daniele Vicari, Jasmine Trinca, Andrea Rivera, Giulio Cavalli, Silvia e Gaia Tortora (figlie di Enzo, ndr), Ilaria Bonaccorsi, gli Assalti Frontali, il senatore Luigi Manconi e molti altri.
Una manifestazione che cade proprio nel giorno successivo a quello che sarebbe stato il 38° compleanno del giovane. «Correre per Stefano significa correre per la libertà e per i diritti umani. Per la giustizia e contro la tortura che in Italia non è un crimine – ha dichiarato Patrizio Gonnella, Presidente dell’Associazione Antigone, tra i partner dell’evento -; correre per Stefano significa inseguire la verità sulla sua morte avvenuta per mani pubbliche». Già, perché è noto, purtroppo, che la discussione sull’approvazione del ddl per l’introduzione dei reati di tortura e di istigazione alla tortura all’interno del codice penale italiano avviata lo scorso 19 luglio in Senato dopo l’ok della Camera è stata – più o meno volutamente – sospesa per il mancato raggiungimento della maggioranza e rinviata sine die. Non solo: è di pochi giorni fa la notizia che il Consiglio regionale della Liguria ha respinto, con 16 voti della maggioranza di centro destra, un ordine del giorno presentato dal M5S e votato da Pd e Rete a Sinistra che avrebbe impegnato la Giunta ad attivarsi presso il Governo per riportare alla luce quanto prima la discussione sul ddl in questione. Ulteriori ritardi rispetto al resto delle normative europee riguardano l’introduzione di codici identificativi sui caschi delle forze dell’ordine, misura già adottata in paesi come Francia, Spagna, Belgio, Olanda, Grecia e alcune regioni del Regno Unito e della Germania.
In Italia il cammino per l’approvazione di leggi del genere è ancora, come si è visto, lungo e fitto di ostacoli. C’è chi ancora si appiglia ai termini: la tortura è tale solo nel caso di “reiterate” lesioni. C’è chi ancora parla di malnutrizione, mentre i poliziotti già indagati nel caso Cucchi sono ancora a “manganello” libero, e medici e infermieri sono liberi di decidere chi curare e chi no. Ma la corsa non si interrompe. E alla fine della strada c’è un faro: è quello della verità, ancora intrappolata tra le maglie di inutili lungaggini processuali, la verità che tutti conoscono ma che spesso «muore nei segreti».
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