Costume

Il vero pericolo del politicamente corretto

19 Febbraio 2018

Il dibattito sul politicamente corretto, nato negli Stati Uniti negli anni 90 e rinvigorito dall’elezione di Donald Trump, ha preso piede anche in Italia. L’espressione “politicamente corretto” indica il comportamento di chi propone un uso del linguaggio ritenuto più rispettoso e inclusivo verso le minoranze, suggerendo l’uso di “gay” al posto di “frocio”, “nero” al posto di “negro”, “non vedente” al posto di “cieco”, “diversamente abile” al posto di “handicappato” e così via. Molti accusano il politicamente corretto di essere divenuto un modo per censurare opinioni sgradite e per evitare di intervenire sulla sostanza dei problemi, limitandosi a correggerne la forma. Sebbene questo sia vero, è anche vero che la rivolta contro il politicamente corretto ha assunto gli stessi difetti. Accusare qualcuno di essere politicamente corretto è divenuto un modo per delegittimarlo, per evitare di argomentare contro le sue convinzioni e, spesso, per giustificare convinzioni e comportamenti che sono effettivamente scorretti.

Steven Pinker è Johnstone Family Professor presso il Dipartimento di psicologia della Harvard University

Ritengo quindi opportuno prendere le distanze da entrambi i fronti di questa contesa, la cui unica vittima sembra essere la possibilità di avere un dibattito pubblico aperto dove prevalga il confronto argomentativo. In questo articolo mi concentrerò su un aspetto del politicamente corretto che è stato messo bene a fuoco da Steven Pinker, linguista e psicologo cognitivo della Harvard University e redattore del New York Times. In un dibattito che si è tenuto lo scorso novembre ad Harvard, Pinker suggerisce che il politicamente corretto riguarda non solo il modo in cui parliamo, ma anche ciò di cui parliamo. Pinker sostiene infatti che il politicamente corretto impedisce la menzione di certi fatti e che, così facendo, alimenta lo stesso estremismo che vorrebbe combattere. Il motivo è che spesso chi incontra autonomamente questi fatti non solo matura un senso di sfiducia verso l’accademia e i media mainstream che di quei fatti non fanno menzione, ma trae da questi fatti conclusioni estremiste.

Pinker fa l’esempio di quattro fatti ritenuti non menzionabili: il fatto che le società capitaliste sono preferibili a quelle comuniste, il fatto che uomini e donne sono diversi nei loro interessi, nelle loro priorità, nei loro gusti e nella loro sessualità, il fatto che alcuni gruppi etnici commettono crimini violenti in percentuali maggiori rispetto ad altri gruppi e il fatto che la maggioranza degli attacchi terroristici suicidi nel mondo sono commessi da fondamentalisti islamici. Pinker afferma che chi incontra autonomamente questi fatti senza avere gli strumenti per analizzarli può trarre da essi conclusioni morali e politiche estreme: che ogni regolamentazione del mercato è negativa, che l’uomo è superiore alla donna, che gli afroamericani sono per natura violenti e che i mussulmani sono tutti attentatori. Queste conclusioni sono, oltre che riprovevoli, assolutamente ingiustificate. In altre parole, quei quattro fatti che il politicamente corretto impedisce persino di menzionare non giustificano in alcun modo l’anarcocapitalismo, il sessismo, il razzismo e l’islamofobia.

Il fatto che uomini e donne sono diversi non giustifica la tesi secondo cui  gli uomini sarebbero superiori alle donne. Primo, perché per tutti i tratti riguardo ai quali uomini e donne differiscono ci sono enormi sovrapposizioni, per cui non si può trarre alcuna conclusione affidabile riguardo a un individuo dalla media del gruppo al quale appartiene. Secondo, perché il sessismo non è una tesi fattuale secondo cui uomini e donne sono diversi, ma una tesi morale e politica secondo cui le donne dovrebbero essere discriminate. Terzo, le differenze tra uomini e donne sono in parte culturalmente determinate e variano nel tempo. Questi sono i motivi per cui è possibile credere che uomini e donne siano diversi ed essere convinti femministi. Per motivi analoghi, è possibile credere che le società capitaliste siano preferibili a quelle comuniste ed essere favorevoli a una regolamentazione del mercato, o credere che alcuni gruppi etnici commettano crimini violenti in percentuali maggiori rispetto ad altri gruppi ed essere antirazzisti, o credere che la maggioranza degli attacchi terroristici suicidi nel mondo siano commessi da fondamentalisti islamici e condannare l’islamofobia.

Steven Pinker ritratto nella sua casa di Boston. Stephanie Mitchell/Harvard Staff Photographer

Queste considerazioni dimostrano che il vero pericolo del politicamente corretto non è tanto il suo inibire la menzione di certe parole, quanto il suo inibire la menzione di certi fatti per timore che qualcuno possa trarne conclusioni estremiste. Così facendo, impedisce che questi fatti siano discussi in un dibattito pubblico aperto dove le conclusioni estremiste hanno più probabilità di essere esposte ad argomentazioni razionali e conseguentemente di essere escluse. Ad esempio, in virtù del politicamente corretto, l’accademia e i media mainstream considerano non menzionabile il fatto che gli afroamericani commettono più crimini dei bianchi americani. Chi viene autonomamente a conoscenza di questo fatto è molto probabile che maturi un senso di sfiducia verso l’accademia e i media mainstream e che tragga da esso conclusioni razziste non avendo l’opportunità di inquadrarlo nel giusto contesto. Il politicamente corretto, oltre a costituire una minaccia per la liberta di parola e di pensiero, favorisce quindi quella stessa deriva che vorrebbe arginare.

In un dibattito che si tenuto il 25 febbraio al World Economic Forum di Davos, Pinker ha ripreso queste considerazioni e ha posto l’accento sull’importanza della libertà di parola. “Se solo certe ipotesi possono essere discusse, non abbiamo alcuna possibilità di comprendere il mondo perché nessuno conosce la verità a priori. E’ solo mettendo le ipotesi là fuori e valutandole che possiamo sperare di accrescere la nostra conoscenza del mondo”, afferma Pinker. “La libertà di parola è altamente controintuitiva. Chiunque comprende perché debba esserci libertà di parola per se stesso. L’idea che debba esserci libertà di parola per persone con cui si è in disaccordo è la più grande conquista dell’Illuminismo e una delle cose di cui l’America dovrebbe essere orgogliosa”, prosegue Pinker. E’ questo il motivo per cui occorre difendere la libertà di parola, non stancandosi di ricordare perché essa è così importante. “Gli esseri umani sono estremamente fallibili. Molte delle cose che riteniamo giuste, si riveleranno sbagliate. Gran parte del progresso umano è stato ottenuto grazie a persone che hanno dato voce al dissenso contro l’ortodossia”.

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