Diritti

Il vergognoso “sportello anti-gay” in Lombardia è omofobia pagata dallo Stato

23 Luglio 2016

Sulla carta si tratta di uno “sportello famiglia”, un nome innocuo che in realtà nasconde quello che gli stessi promotori dell’iniziativa hanno definito senza alcun accenno di vergogna un “telefono anti-gender”, uno strumento con cui genitori premurosi e poco alfabetizzati potranno denunciare la diffusione della cosiddetta “ideologia del gender” nelle scuole della regione Lombardia, governata dal leghista Roberto Maroni.

A decidere la nascita dello sportello, l’assessore alle Culture, identità e autonomie della Regione, Cristina Cappellini, da settimane oggetto di pesanti critiche da parte di gruppi e associazioni contro l’omofobia, che il 3 giugno hanno organizzato sul suo profilo Facebook un “bombing” dal titolo “bacini per Cappellini”, sulla stessa linea del mitico “gattini per Salvini” di qualche tempo fa. L’esponente del Carroccio, ha così spiegato la funzione del telefono omofobo: «Compito dello sportello è quello di fronteggiare eventuali casi di forme di disagio nel percorso educativo degli alunni, avendo come stella polare i valori non negoziabili della famiglia naturale e della tutela della libertà educativa in campo alla famiglia stessa».

In parole povere, si tratta di una risposta a quella norma inserita nella Buona Scuola che prevede “attività finalizzate all’attivazione di percorsi educativi di lotta alla discriminazione per orientamento di genere”, ovvero quelle attività che dovrebbero prevenire i troppi casi di bullismo di matrice omofoba che purtroppo affollano le cronache locali. Praticamente si risponde a una norma di civiltà con una norma di inciviltà. Ma il telefono anti-gender altro non è che l’applicazione pratica del “pensiero” fascioleghista, quello che per attrarre consensi dalla plebe più disagiata indica nel diverso una minaccia per la società e per il benessere, che il diverso sia un profugo da rispedire a casa o un “frocetto perverso” che frequenta impunemente le stesse aule dei ragazzi “normali”. E guai a considerare il diverso una risorsa o semplicemente un individuo con gli stessi diritti di tutti, chi lo fa è un buonista, un traditore del popolo italiano e dei valori della famiglia.

Il problema reale, quando ci si trova di fronte a iniziative di questo tipo, è che le istituzioni si mettono al servizio di pulsioni animali, senza valutarne le conseguenze. E l’omofobia, come ci insegna la storia, è una delle forme più diffuse di queste pulsioni. Non stupisce che a gestire questo servizio di vitale importanza per prevenire la diffusione della “teoria del gender”, sarà l’Age, una delle associazioni organizzatrici del Family Day, composta da invasati genitori cattolici di ragazzi iscritti nelle scuole statali, che per i primi dodici mesi di sperimentazione percepirà circa 30mila euro dalla Regione Lombardia.

Omofobia legalizzata e finanziata dallo Stato dunque. Ma chiamatelo pure “sportello famiglia”, in fondo è proprio nelle stanze abitate dalle più provinciali e arretrate delle famiglie che covano intolleranza, xenofobia, odio e ignoranza.

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