Costume
Il peso dell’aria, ovvero piccola mappa del pregiudizio
Quando spiego il pregiudizio, faccio ricorso a una metafora: avete presente che ognuno di noi, con il solo proprio corpo, regge una colonna d’aria pesantissima? Basti pensare che quella presente in una stanza ha un peso di circa 150 kg. Cosa vuol dire questo se applicato ai pregiudizi? Che noi esseri umani spesso non siamo coscienti di ciò che non è visibile, che ciò che è invisibile, comunque, esiste, e che nel suo esistere ha effetti che ci condizionano. Così sono i pregiudizi e gli stereotipi.
Nella prima edizione di Borat, Sacha Baron Cohen saliva a bordo di un camper in cui un gruppetto di ragazzotti statunitensi stava facendo un viaggetto alcolico. Personalmente in quella scena vedo sempre rappresentata tutta la difficoltà dell’essere maschio, con pochissima abitudine a un’interazione che sia minimamente emozionale o spirituale, ma la cosa interessante è quando uno dei ragazzi spiega a Borat come funziona la democrazia in Occidente: dice «In our country actually minorities have more power», e lo fa per spiegare come mai negli Stati Uniti i bianchi non possano avere più schiavi.
Pregiudizi manifesti e sottili
Gli omosessuali sono pedofili; le donne sono puttane; i disabili sono mostri; i migranti sono ladri. A queste formule del pregiudizio, tagliate con l’accetta, si è riusciti nei decenni a mettere qualche argine, e ora se ne stanno seppellite come il gioco Jumanji. Sottratte queste, rimangono in circolo versioni sottili di pregiudizio, versioni che assomigliano più a opinioni personali, rispetto alle quali ciascuno sente di avere il diritto di esprimersi: gli omosessuali non sono adatti a essere genitori, le vittime di violenza provocano, i disabili sono come bambini cresciuti, i migranti sfruttano il nostro welfare.
Oltre al lavoro di sottrazione, è possibile fare un’altra operazione, ossia il ribaltamento del valore del pregiudizio: gli omosessuali sono sensibili, le donne sono forti, i disabili sono gentili, i migranti sono gran lavoratori. La sostanza non cambia molto, in quanto rimane sempre la struttura del pregiudizio, ossia un soggetto che assegna a un altro soggetto caratteristiche e competenze sulla base dell’appartenenza di quest’ultimo a una categoria.
Quando il re è nudo
Di fronte a credenze del genere, chiunque di noi non sia migrante, disabile, donna, omosessuale ha la possibilità di scegliere la via dell’indifferenza, che significa non prendere posizione su un qualcosa che, dopotutto, non ci riguarda. Chi invece sia donna, omosessuale, migrante o disabile ha invece di fronte a sé due sole possibilità: aderire o rifiutare. L’adesione è un atto passivo, che ha spesso luogo nel dominio dell’inconsapevolezza; se un pregiudizio viene lasciato scivolare via nei pezzi che definiscono la propria identità, si ha quel fenomeno detto minaccia dello stereotipo: donne che non fanno ingegneria, omosessuali che non insegnano a scuola, disabili che rinunciano a una vita sessuale, migranti che non si integrano. Il rifiuto degli stereotipi, invece, è ancora più insidioso, perché passa attraverso un lavoro di coscientizzazione (diverso dalla formazione) che ti porta a vedere che una colonna d’aria sulle nostre spalle c’è, eccome, che è invisibile, ma pesa, pesa tantissimo, tanto che alcuni ne rimangono schiacciati.
A quel punto, si accende un piccolo inferno personale, perché tutta la propria vita viene votata alla sindrome di Cassandra, avvisare gli altri di un pericolo che non vedono, che è il pericolo di discriminare, di ferire. E più si va avanti in questo percorso di coscientizzazione, più si diventa oggetto di attacchi e difese: Vendola è un egoista, anzi no è un padre migliore di molti altri; la Boldrini è un’isterica, anzi no avercene di politici così; Aboubakar Soumahoro è un approfittatore, anzi no è uno degli attivisti migliori sul campo. Insomma, non se ne esce, ti si stringe attorno una rete di significati che, a suon di calci o carezze, cerca di neutralizzarti.
Il diritto di discriminare
Infine, un ulteriore mascheramento del pregiudizio è il dire che certi problemi li abbiamo tutti: gli eterosessuali sono discriminati perché non hanno un etero-pride, gli uomini sono vittime di violenza quanto le donne, i normodotati non possono più parcheggiare da nessuna parte perché la città è dei disabili, i lavoratori nostrani perdono il lavoro e le case popolari per darle ai migranti. Ma notate anche voi una grande differenza? I soggetti su cui insistono i pregiudizi sono molto diversi tra loro; sono, appunto, donne, stranieri, omosessuali, disabili, a volte due o più cose assieme; abitano le periferie della società; il soggetto che si sente discriminato dall’altrui rivendicazione è invece lo stesso, e conserva la propria centralità nel mondo: bianco, normodotato, eterosessuale, spesso uomo.
Quindi, la battaglia è ancora, dopo tanti anni, questa, e vede al centro un uomo bianco, normodotato ed eterosessuale che si sente assediato dai fantasmi della diversità, dal pluralismo intrinseco di una società complessa, rispetto alla quale vive – indipendentemente da quanto sia acculturato – un fortissimo senso di inadeguatezza, che rivendica facendo appello proprio a quel potere che è riuscito a conservare, nonostante decenni di battaglie per i diritti: in fondo le donne continuano a guadagnare meno degli uomini, gli omosessuali hanno meno diritti, i disabili in molte città non possono circolare, i migranti continuano a lavorare nei campi.
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