Costume
Il paradosso sulla tolleranza
Cosa succede se in una società democratica, ma di quelle veramente democratiche, non per finta, si lascia troppo spazio agli intolleranti?
Si rischia davvero, come sosteneva Karl Popper, che poi la democrazia termini perché gli intolleranti la soffocheranno?
È il dilemma delle nostre società multietniche che si trovano ad affrontare la tolleranza per dottrine religiose intolleranti come il cattolicesimo, l’ortodossia cristiana o l’islam le quali, in base ai loro dogmi, implicano comportamenti che con una società moderna e veramente democratica non possono convivere.
Francia, Inghilterra e Germania, molto più multietniche dell’Italia, si trovano ad affrontare questo problema, le prime già da un po’, la terza da poco. In questi paesi soprattutto l’islam sta creando molti problemi, acuiti da integrazioni non pensate o malfatte.
Dov’è quindi il limite da non superare per restare veramente democratici e conservare i diritti acquisiti negli anni?
Forse il limite è marcato dal non permettere all’irrazionale di avere la supremazia sul razionale, e non riguarda solo le religioni. È quindi ovvio che tutti i mondi magici, religiosi o affini, debbano essere esclusi da una tolleranza senza se e senza ma e che non si possano permettere ingerenze di altre culture che neghino i principi fondamentali di libertà e uguaglianza che la società moderna ha conquistato dopo la Rivoluzione Francese.
Dopo 235 anni stiamo ancora a chiederci se tollerare le moschee sul territorio europeo sapendo che in alcune di loro si fa propaganda antioccidentale, pur usufruendo i mussulmani dei benefici che la società occidentale indubbiamente fornisce a tutti i cittadini, mussulmani compresi. Ciò riguarda anche i cattolici fondamentalisti e gli ortodossi, che colle loro intolleranze dottrinali pregiudicano le libertà e i diritti civili conquistati con lotte e manifestazioni nel corso del Novecento.
Il mondo magico delle religioni, che, comunque, in Europa, va affievolendosi sempre più nonostante le processioni folcloristiche del Sud, tra Italia, Spagna e Portogallo, è lo scoglio principale che la razionalità incontra sul suo cammino. L’indignazione minoritaria, in Italia, per le sentinelle in piedi, i movimenti Pro Vita che s’insinuano nei consultori, ossia l’ultimo posto dove dovrebbero stare, e le loro istanze antiabortiste, l’eutanasia non ancora regolata mentre migliaia di persone soffrono, non essendo nemmeno padrone di decidere della propria vita, oppure i problemi legati alle adozioni dei figli nelle coppie omogenitoriali, sono la cartina di tornasole per avvertirci che non può esserci tolleranza verso queste posizioni oscurantiste di una presunta maggioranza. Il generale dei generali, Roberto Vannacci, asserisce che in democrazia si fa solo ciò che decide la maggioranza e le minoranze devono solo tacere. Ma ha torto anche lui.
Non deve e non può esserci tolleranza, comunque, verso gli usi e i costumi islamici secondo i quali le donne devono essere considerate come degli oggetti, date in spose da bambine, per decisione dei genitori ossia il padre, a uomini di trent’anni più anziani, relegate al rango di serve, obbligate a indossare abiti totalmente coprenti, facendo loro un lavaggio del cervello fin dalla più tenera età e convincendole che il loro ruolo è quello e non un altro. E, non bisogna dimenticare che, sempre secondo le medesime dottrine, gli omosessuali sono da uccidere. Questo anche secondo l’ortodossia cristiana, gli omosessuali sono sbagliati, anormali, come per il generale Vannacci (il quale, in una recente trasmissione televisiva, voleva abbassarsi le mutande per mostrare i suoi attributi, in modo che non ci fossero dubbi sulla sua normalità. Peccato che non glielo abbiano lasciato fare). Ma, a differenza dell’islam, che non riconosce altra legge che quella coranica, l’ortodossia cristiana è inserita in contesti democratici europei e quindi i fedeli non possono perseguitare o arrestare nessun omosessuale perché non è un reato. Un tempo, in altri contesti, i patriarchi o i papi avrebbero acceso roghi purificatori.
Nel mondo islamico l’omosessuale è passibile di carcere e di condanna a morte, così come le donne, se considerate adultere da una giuria formata da soli maschi, possono venire lapidate. Accade in Iran, mentre in alcune regioni dell’Africa vige ancora la pratica dell’infibulazione, ossia la mutilazione dei genitali femminili. Hamas e i fondamentalisti islamici non sono molto diversi, bisognerebbe rifletterci quando si difende Hamas.
I pericoli di un’eccessiva apertura a questi mondi intolleranti potrebbero essere, appunto, perdite di fette di libertà e di diritti per tutti ovverossia la fine della democrazia.
Non dimentichiamo che lo scorso maggio un imam, Brahim Baya, si è permesso di fare un sermone e una preghiera anti Israele, benedicendo la guerra santa, dentro un’università italiana. Ora, non è solamente il fatto che si sia permesso di lanciare anatemi dentro un’istituzione laica come l’università. Sarebbe stato ugualmente grave se lo avesse fatto in una moschea, soprattutto se in territorio nazionale. Queste ingerenze non si possono far passare, proprio perché sono dei piccoli passi dell’intolleranza religiosa nei confronti di uno stato laico e democratico come il nostro dovrebbe essere.
Tornando all’omosessualità, anche le parole del papa, troppa “frociaggine” nei seminari, la dice lunga sulla finta tolleranza verso gli omosessuali, che gesuiticamente Bergoglio aveva fatto apparire all’inizio del suo pontificato, lasciando erroneamente intendere un’apertura. Non c’è stata, invece, alcuna apertura e la Chiesa continua la sua intolleranza, perdendo peraltro sempre più fedeli per strada, almeno qui da noi. Per fortuna.
Solo i più stolti credono che questo papa sia più “aperto”, un po’ la stessa illusione del papa polacco che sembrava aver rivoluzionato la figura del papa rettore della Chiesa immobile a Roma, mentre andava a sciare in montagna, viaggiava, scriveva, anche troppo, apparendo un papa innovatore mentre era, al contrario, uno dei più conservatori. Come il papa solamente può essere, d’altro canto, aggrappato ai dogmi, immaginare un papa progressista è un’assurdità. E come lo sono i corrispondenti ortodossi e islamici. Basti ascoltare i deliri del patriarca Kirill a Mosca o i mullah iraniani. Per non parlare di certe sette ancor più fanatiche, di qualsiasi religione. Tutti maschi, eh.
E, pure, la società democratica è in pericolo per altri movimenti che, apparentemente, sarebbero estranei alle religioni, consumismo a parte.
Nel vuoto lasciato dai cristianesimi, sempre più disertati dagli europei, si insinuano nuove religioni senza divinità, basate su adesioni fideistiche e irrazionali a cause che sollevano paure e inquietudini, come quelle legate al clima e ai suoi capricci. E queste prendono soprattutto i più giovani.
Si preferisce dar retta a bambini che non hanno studiato niente come Greta Thunberg e affini piuttosto che a studi scientifici di professori universitari di geologia, clima, biologia che, forse, se ne intenderebbero un pochino di più. E, ovviamente, l’approccio fideistico alla causa crea un esercito di fedeli inconsapevoli che non sanno come funziona realmente il clima e quante concause influiscono nei suoi cambiamenti. Ogni giorno, per via delle indagini scientifiche sia sul pianeta sia nello spazio, s’imparano cose nuove e vari tasselli s’inseriscono nel mosaico perennemente incompleto del sistema climatico terrestre.
Sì, perennemente incompleto, perché le variabili sono talmente tante che capire come e perché il clima cambi, dal punto di vista umano, in maniera così rapida e violenta, è un lavoro in costante progresso.
I movimenti del pianeta, dovuti sia alle cause astronomiche, cioè quelli legati ai movimenti degli altri astri del sistema solare che, sebbene siano così lontani secondo il nostro concetto di distanza, influenzano, e non poco, l’inclinazione dell’asse terrestre anche di pochi centesimi di grado, oppure gli spostamenti di masse d’acqua dovute allo scioglimento stagionale dei ghiacci, o altro, come i superterremoti, si aggiungono alle variazioni causate dalle attività umane.
Per esempio si sta studiando perché i ghiacci antartici fondano, ma non perché riscaldati dall’alto, bensì dagli abissi. L’Antartide è ancora, per molti versi, un mistero e ci sono zone inesplorate.
Il mosaico del funzionamento del pianeta è in perenne cambiamento e quindi è difficile dire in assoluto quali sono le cause di questo o di quello, si può solamente osservare.
Fasi di vulcanesimo intenso hanno cambiato in passato il volto del pianeta e recenti eruzioni piuttosto corpose hanno mostrato quanto l’attività endogena possa provocare raffreddamenti superficiali dovuti alla dispersione di ceneri e polveri in atmosfera, che riflettono la luce solare.
Le fasi di umidità e di siccità ci sono sempre state, in tutto il pianeta, e sono state determinate da correnti oceaniche, vulcanesimo, variazioni astronomiche, molto più influenti delle attività umane, soprattutto quando l’uomo non c’era ancora.
Il Sahara migliaia di anni fa non era un deserto e lo testimoniano i resti di foreste rinvenuti e le acque sotterranee fossili che di tanto in tanto affiorano ma, poiché il pianeta è vivo, si trasforma, per i motivi più vari. Altre zone del pianeta mentre il Sahara era tutto verde erano, invece, desertiche, per il ghiaccio o altri motivi.
La mancanza di spiegazioni e di conoscenza, che Greta Thunberg e i suoi adepti ignorano, e l’indicare unicamente le attività umane come responsabili dell’attuale cambiamento climatico, fa diventare una nuova religione quest’idea affascinante della metamorfosi in negativo che, appunto, riempie il vuoto lasciato dalle altre in declino, almeno in Occidente. Il peccato originale che ritorna dalla finestra dopo essere stato cacciato dalla porta.
La nuova religione del cambiamento climatico causato principalmente dall’uomo comporta, a lungo andare, anche uno scaricarsi di responsabilità perché si sa che non si possono azzerare di botto le famigerate emissioni di CO2, considerate dagli ambientalisti le più pericolose (mentre poi si scopre che le emissioni di metano, perfettamente naturali, come quelle delle torbiere e di ambienti dove i resti organici sono presenti in natura, sono ben più dannose), e, se da un lato comporta l’indignazione delle anime belle, dall’altro comporta un alibi per chi le emette. Gli ambientalisti, più o meno giovani, ci mitragliano, infatti, con informazioni secondo cui i punti di non ritorno sono ormai superati e che se anche si smettesse oggi di produrre artificialmente anidride carbonica la temperatura continuerebbe a salire per decenni, almeno secondo certi schemi prodotti da studi vari.
Ma la religione dell’ambientalismo da rotocalco va avanti e produce disinformazione e intolleranze. Perché certi ambientalisti sono intolleranti, in quanto dogmatici. Inoltre tutti questi giovani ambientalisti fanno uso di capi di abbigliamento sintetico inevitabilmente prodotti in Asia, che poi sono quelli che, una volta dismessi, sono trasportati in enormi quantità in Sudamerica o in Africa, inquinando senza pietà mari e monti e tornando nei nostri corpi sotto forma di microplastiche. Non ci si può fare nulla perché ormai tutto l’abbigliamento, se ci si vuol vestire, passa attraverso l’Asia.
Sembra che l’uomo abbia bisogno di stabilire delle regole irrazionali per poter far fronte alla mancanza di presa di coscienza di sé, troppo impegnativa, e quindi di consapevolezza e responsabilità, mantenendo un livello di approccio infantile e magico alla realtà.
È molto più comodo, per scrollarsi di dosso le colpe dell’inerzia amministrativa, dire che la siccità in Sicilia è un problema dovuto al cambiamento climatico piuttosto che affrontare il problema della manutenzione dei bacini e delle condutture, per cui oltre la metà del liquido si perde per strada prima di arrivare a destinazione, incrementando anche il prezzo dell’acqua delle autobotti e offrendo occasioni agli speculatori privati a danno dei cittadini.
La Regione Sicilia ha delle responsabilità decennali per questa politica dissennata, non è colpa del cambiamento climatico. E la Sicilia, in estate, ha un clima arido, lo sanno tutti. Lo faceva notare perfino il principe di Salina nel Gattopardo, spiegando il carattere duro dei siciliani e il clima al piemontese Chevalley: “Sei mesi di febbre a quaranta gradi, li conti, Chevalley, li conti: Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l’inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo”. Non è una novità come sembra essere presentata oggi sui giornali: quaranta gradi ad Agrigento!
E quando tutti i quotidiani mandano servizi sul prosciugamento del Lago di Pergusa, che non ha immissari né emissari, e il cui livello è unicamente legato alle precipitazioni, fanno allarmismo: la stampa è sempre ingorda di disastri. È bastato un acquazzone estivo particolarmente potente per innalzare di qualche centimetro il livello ormai azzerato . Ci vorranno le piogge autunnali e invernali per migliorarlo, e prima o poi arriveranno, così il lago di Ade e Persefone sarà tornato al suo stato primigenio.
La siccità che ha patito il Nord Italia l’anno scorso è stata completamente risolta (e dimenticata) grazie a una quantità di precipitazioni che nessuno si sarebbe aspettato. E, probabilmente, ha fatto rimettere in cantina dei progetti per invasi da costruire sugli Appennini o sulle Prealpi per difendersi da future siccità, perché l’Italia ha la memoria corta.
Il clima è così, è capriccioso e inafferrabile. Basterebbe semplicemente attenersi a prudenza e al mantenimento delle strutture che servono per racimolare l’acqua quando viene giù dal cielo.
E forse sarebbe meglio evitare di costruire sotto il livello dei fiumi o dei laghi perché, inevitabilmente, se piove un po’ di più, gli argini non basteranno a contenere la piena. È una questione di logica. Se prima un determinato terreno era paludoso significa che le acque avevano facilità a ristagnarvi e, sebbene si bonifichi, in particolari occasioni di precipitazioni estreme, l’acqua può non essere sufficientemente assorbita dal terreno.
È quello che succede regolarmente a Mondello, la bellissima spiaggia di Palermo, che fino ai primi del Novecento era una palude. La zona fu bonificata e resa una località di villeggiatura nello stile della Costa Azzurra ma, se ci sono precipitazioni forti, l’acqua non riesce a defluire e allaga tutto. Ma non è colpa del cambio climatico, è proprio la morfologia del terreno. È successo pure in Romagna pochi mesi fa.
Sono le sfide a cui l’uomo sottopone il suolo.
Anche in Florida le sabbie su cui sono costruiti i grattacieli di Miami sprofondano per il peso dei medesimi, non sono i ghiacci che si sciolgono ad allagare la città, è la subsidenza. Succede anche a Venezia e a Città del Messico.
E, ad ogni buon conto, se in passato le coste erano più basse ed esistono resti di città sottomarine, vuol dire che c’erano più ghiacci che si sono sciolti in massa, anche quando le attività umane non producevano così tante emissioni. In fondo, il Mediterraneo si è formato proprio in seguito allo scioglimento dei ghiacci.
Ma, dal punto di vista dell’uomo, che concentra la sua percezione del mondo e del tempo solamente nell’arco limitato della sua vita, ogni variazione che gli fa perdere i suoi punti di riferimento è un allarme.
Forse converrebbe meno isteria e più responsabilità, inquinando certamente di meno, riducendo gradualmente la popolazione in tutto il mondo (che significa anche minore sfruttamento di risorse e, forse, anche meno cretini in circolazione), e, visto che la scienza e la tecnologia avanzata di cui disponiamo trova rimedi per ogni cosa, magari programmare un razionale adattamento ai cambiamenti del clima planetario.
Oggi abbiamo materiali più idonei e resistenti alle distruzioni, isolanti naturali, possibilità di recupero del suolo, sono cose che secoli fa non esistevano, e di anno in anno anche meno costosi, se solo si volessero evitare le speculazioni.
Gridare allarmi e imbrattare monumenti e opere d’arte non cambia proprio niente, molesta e basta. Bisognerebbe forse punire i protestatari imbrattatori obbligandoli ad anni di studio a carico loro e non dello Stato. Forse capirebbero meglio il mondo che li ospita. Ma indignarsi ed essere intolleranti, perché così facendo non si prendono responsabilità, è più facile per tutti. È molto difficile discutere con un ambientalista d’assalto e farlo ragionare perché il suo approccio è fideistico. Tutta questa energia e intolleranza se fossero indirizzate verso una politica che continua a speculare sul territorio senza rendersi conto dei danni, anziché produrre anatemi su emissioni gassose che paesi come Cina, India e Russia continueranno a emettere senza sosta, sarebbero enormemente più proficue.
Tornando alle religioni in disarmo, è auspicabile liberarsi dagli orpelli magici il prima possibile e non transigere sulle tentazioni di apertura ai dogmi né nostrani né altrui per il famoso “rispetto” della diversità.
Chiudo ricordando il celebre paradosso della tolleranza di Karl Popper, su cui, forse, anche se si può non essere sempre d’accordo col filosofo viennese, scomparso nel 1994, sarebbe il caso di meditare un po’.
“Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti; se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi. In questa formulazione, io non implico, per esempio, che si debbano sempre sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; perché può facilmente avvenire che esse non siano disposte a incontrarci a livello dell’argomentazione razionale, ma pretendano di ripudiare ogni argomentazione; esse possono vietare ai loro seguaci di prestare ascolto all’argomentazione razionale, perché considerata ingannevole, e invitarli a rispondere agli argomenti con l’uso dei pugni o delle pistole.”
La conclusione è, pertanto:
“Noi dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti.”
Questo vale, naturalmente, anche per i neofascismi in crescita, che hanno già mostrato il lato oscuro della loro intolleranza cronica. E il nostro governo attuale, pieno zeppo di neofascisti e fanatici religiosi, è maestro di intolleranze, prima di tutte quella dell’informazione.
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