Diritti
Il futuro della memoria dopo i sopravvissuti
Fino al 2012 uno dei membri principali del partito ungherese ultranazionalista Jobbik, era un giovane politico Csanad Szegedi, da tutti indicato come il suo futuro leader.
Fino a un giorno del 2012 in cui Szegedi scoprì di essere ebreo.
Lo era la sua nonna materna, sopravissuta ad Auschwitz. Lo era il nonno materno. Metà della sua famiglia era stata uccisa durante la Shoah.
Dopo Auschwitz i nonni decisero di nascondere per sempre la loro identità. Quando la madre aveva quattordici anni suo padre le rivelò il segreto, ma le ordinò di non rivelarlo a nessuno.
Dopo qualche tempo dalla scoperta, Szegedi è andato in tv per dire il suo dolore per le sorti degli ebrei: «Io sono stato una persona che procurava dolore agli altri, e peggio ancora quando parlavo di Rom o di ebrei istigavo all’odio anche contro i bimbi di quei gruppi». E a distanza di un anno, si è pentito: ha abbandonato ogni incarico dirigente ed è uscito da Jobbik.
Questa storia ha molto da insegnarci.
In realtà nessuno di noi è in grado di provare il dolore degli altri. Posso provare solo il mio. Per questo siamo così facili a dividere il mondo in buoni e cattivi, gli amici e i nemici, noi e gli altri. E a demonizzarli come l’origine e la causa di ogni male esistente.
Così funziona fino a quando non sperimentiamo un rovesciamento dei ruoli. Cioè diventiamo capaci di capire il male stando dall’altra parte, quella delle vittime.
Ciò che è accaduto a Szegedi.
E’ morto a Roma lo scorso 8 dicembre Piero Terracina uno degli ultimi sopravvissuti ad Auschwitz.
Ne sono seguite dichiarazioni assai cupe sul futuro della memoria di questa tragedia da parte di altre sopravvissute.
Liliana Segre ha dichiarato, quasi scusandosi: «Perdonerete se sono così pessimista, mi spiace soprattutto per i giovani che mi scrivono lettere meravigliose e per tutte le persone dolcissime che mi applaudono o mi fermano per strada, ma io credo che si coltivi troppo poco la memoria e che, con la nostra scomparsa, tutto finirà. Senza Piero, io oggi mi sento più sola».
Gli ha fatto eco Edith Bruck: «Con la morte dell’ultimo testimone sarà strada libera ai negazionisti. Primo Levi è morto scioccato e scandalizzato dal negazionismo degli anni Ottanta. Ricordo una sua telefonata, mi disse “ti rendi conto, stanno negando il lager già adesso, con noi vivi. Figuriamoci dopo”. I giorni della Memoria, le iniziative… sono certamente importanti, ma con noi morirà quasi tutto».
Per Csanad Szegedi il giorno del pentimento è arrivato per un appuntamento del destino.
Per l’umanità io credo questo appuntamento dovrà venire per il moltiplicarsi di iniziative che consentano di vivere esperimenti di ribaltamento dei ruoli.
A partire dalla scuola, per un preciso impegno educativo.
Non basta ascoltare o vedere. Non basta disegnare o leggere.
Occorre dare vita a veri e propri esperimenti emotivi.
«Per guarire dalla violenza potenziale verso l’Altro devo essere capace di immaginarmi come l’Altro. L’hutu in Rwanda deve sperimentare cosa vuol dire essere un tutsi. Il serbo deve immaginarsi come un croato o un musulmano. L’antisemita deve scoprire di essere un ebreo» (J. Sacks)
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