Diritti
Il fascismo? Non esiste! – parte seconda
Ma continuiamo colla retorica neo-fascista sugli stranieri che ruberebbero il lavoro agli italiani. Anziché fare i nomi e i cognomi dei veri responsabili di questa catastrofe occupazionale che caratterizza l’Italia, a causa di sciagurate politiche del lavoro fatte nel corso di questi ultimi trent’anni da governi di destra e di sinistra, di centro, di sopra e di sotto, indissolubilmente legate a un’abbastanza fallimentare gestione del territorio e delle risorse di qualsiasi tipo, sia per incompetenze specifiche, sia per corruzioni, sia per imposizioni e pressioni internazionali, frutto di carsici accordi fra capi per favorire questo o quel produttore, questa o quella consorteria, questo o quel partito, il capro espiatorio più facile su cui riversare tutte le rabbie e i rancori è l’ultimo arrivato, ossia il migrante. Il migrante che non ha nulla a che fare col nostro passato politico e amministrativo. Quel migrante che può essere profugo di guerra, o fuggire da persecuzioni religiose o etniche o sessuali, o anche semplicemente essere un migrante economico. C’è forse qualcosa di male nell’esserlo? Quanti connazionali vanno via dall’Italia a cercare la propria opportunità altrove, e si adattano a fare i lavapiatti o i camerieri o i pulitori o i portieri o i guardiani o i giardinieri o molti altri mestieri? Quante volte l’hanno fatto in passato i nostri bisnonni, i nostri prozii, e quante volte gli italiani lo stanno facendo, anche negli ultimi anni, anche da prima che arrivassero le ondate di profughi via mare o via terra? È più facile far presa sui migranti, meglio se colorati, perché sono immediatamente identificabili e perché, in base ad accordi internazionali, la legge prevede degli aiuti economici e allora viene narrato (sorprendentemente contro la legge) che quei soldi devono andare prima agli italiani, sempre assecondando la visione della nazione-patria, il nido dove bisogna stare e sentirsi protetti. E arriviamo alla réclame. “Prima gli italiani” è pertanto lo slogan di successo dei neo-fascisti per far sentire coccolati protagonisti i loro protetti, ossia coloro che vogliono trascinare ad eleggerli. Poco importa se fra gli italiani ci possano essere truffatori, ladri, delinquenti, assassini. Prima gli italiani e basta. Gli italiani sono evidentemente tutti sani e buoni, i migranti unicamente delinquenti, terroristi e stupratori (rimando al recente stupro ai danni di un’italiana compiuto da due casapoundini italiani ventenni, a Viterbo), e soprattutto ladri di risorse, dimenticando storie imbarazzanti riguardanti la famiglia Bossi, o alleati di governo come Formigoni, governatore della linda e pinta Lombardia, attualmente in gattabuia. Non erano migranti ma italiani, e pure del Nord. Anche per loro vale lo slogan? È efficace, perché le menti più semplici abboccano, ma il guaio è che a furia di sentire questo mantra pronunciato senza sosta anche persone fino a poco fa insospettabili iniziano a prendere in considerazione il fatto che sì, forse gli stranieri sono troppi e sono in maggioranza dei delinquenti. Ed ecco un altro punto forte dei neo-fascisti, la xenofobia, che si va facendo strada attraverso la paura di chi è diverso.
La xenofobia si trasforma molto rapidamente in tuttofobia, per cui, dopo le ripetute e insistenti iniezioni di naturalità, ossia di ciò che sarebbe secondo natura, come quell’obsoleto modello di famiglia così vagheggiato e difeso a Verona da squinternati e che sta così a cuore all’attuale ministro leghista della famiglia, non resta che prendersela con un’altra invenzione neo-fascista: l’ideologia gender, ossia la sostituzione dei generi maschile e femminile con delle forme ibride contro natura, con tutto ciò che ne consegue.
Addirittura i più accesi sostenitori della famiglia “naturale” appongono come giustificante che da un culo non è mai uscito nessun bambino e che i neonati si attaccano alle tette e non ai coglioni (perle di Vittorio Sgarbi, 2016) e che quindi le coppie omosessuali, soprattutto maschili, non possono desiderare dei figli, né tanto meno adottarli perché ne farebbero dei mostri, due padri, o due madri, che assurdità… Natura, natura, natura.
L’oscurantismo neo-fascista, richiamandosi a molti ideali che comunque furono del fascismo, è molto diffuso nei partiti di destra, anche quelli considerati moderati, e più che mai ultimamente iniziano a circolare le idee che il fascismo ha fatto anche tante cose buone. Come no. Buonissime! Ovviamente nessuno sa di che cosa si stia parlando ma uniformarsi a questa corrente neo-fascista buonista è alla moda e dimostra come gli italiani sappiano assai poco del fascismo e dell’antifascismo.
La banalizzazione dell’antifascismo che fanno in molti, oggi, a cominciare dal ministro dell’interno per arrivare a certi turbofilosofi autodefinentesi marxiani (piuttosto marziani, in verità), tra i più accaniti ripetitori, fino alla nausea, della tediosa formula dell’antifascismo in assenza di fascismo, ha come inevitabili conseguenze, per i meno informati, una rivalutazione di un fascismo e credere, come da più parti viene sussurrato, che il fascismo abbia realmente fatto delle cose buone, come il sistema pensionistico o le bonifiche o le ferrovie (i treni erano sempre in orario! Chissà come faranno a saperlo e poi, anche quando, chi se ne frega?) o mille altre cose. Mille altre cose che, insieme alle summentovate, erano già state avviate prima del regime e Mussolini se le ritrovò su un piatto d’argento appropriandosene. Ma questo molti non lo sanno, perché il fascismo non l’hanno studiato.
Per carità, è vero che nel ventennio ci fu anche un fiorire di arti e di iniziative che gli stessi fascisti o neo-fascisti ignorano. Se si provasse a chiedere a un neo-fascista che crede di difendere la cultura italiana, soprattutto fascista, chi siano stati Ottorino Respighi, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni, Margherita Sarfatti, Beniamino Gigli, Ottone Rosai (anticlericale e fascista che però poi si ritrovò i Patti Lateranensi voluti da Mussolini e che portiamo sul groppone da allora), Gabriele D’Annunzio, Gio Ponti, Piero Portaluppi e centinaia di altri artisti, architetti, musicisti, scienziati, ben pochi saprebbero collocarli. Erano fascisti anche perché durante il fascismo era molto difficile arrivare a un alto livello professionale se non si era iscritti al partito. E, d’altro canto, perché non esserlo in un mondo dove, alla fine, il fascismo era anche l’identità dell’italiano che, nei primi tempi, piaceva perfino all’Inghilterra e a buona parte dell’Europa?
Il fascismo seppe glorificare coloro che sprofondavano le loro radici nella “tradizione” italica e la valorizzavano, esaltandola, esibendola, insufflandola, ed era anche facile perché alla fine si trattava di mostrare i grandi geni che avevano avuto la sorte di nascere nella penisola italiana anche quando l’Italia non esisteva, e tutti non potevano che amare e riconoscere il genio di Dante, Petrarca, Leonardo, Michelangelo, Galileo, Vico, Vivaldi, Rossini, Bellini, Metastasio, Leopardi, Foscolo… Quasi che coloro li avesse inventati il fascismo. Appropriandosene rifulgeva il genio italico, che riceveva ulteriore vigore dalla classicità e quindi da Virgilio, Orazio, Cicerone. Chi poteva vantare simili antenati? Roma era l’origine di tutto e il Colosseo e San Pietro erano visitati anche allora da visitatori di tutto il mondo (quelli che potevano permetterselo).
Di certo il fascismo incrementò l’industria cinematografica, che serviva come ottimo strumento di propaganda, vista la banalità della maggior parte della produzione, commedie quasi inutili e dove era sconosciuta una visione come quella che altrove aveva un Charlie Chaplin, per esempio; e l’Italia non aveva Fritz Lang o George Cuckor. L’Italia fascista aveva i telefoni bianchi o i drammoni pseudostorici, o insulsi varietà, quando non autentiche opere di esaltazione dei valori fascisti, come il colonialismo, o una visione del Risorgimento tutta falsata, o un Impero Romano modello del nuovo Impero italiano. La censura era drastica e capolavori del cinema internazionale come Scarface (1932) di Howard Hawks non arrivarono a essere visti che nel 1947. E perché? Perché vi si parlava di un gangster di origine italiana, e gli italiani non potevano essere gangster ma solo santi, navigatori, artisti, inventori…
Si provi a chiedere ai neo-fascisti se sanno qualcosa di tutto questo, eppure sarebbe una cultura di riferimento, almeno qualcosa di solido su cui basarsi. Manco quello. I neo-fascisti sono per la famiglia “naturale”, omofobi e xenofobi, anti-europeisti e basta. E sono simpatizzanti per l’ex-regime come se fosse stato una cosa buona.
Ovviamente l’antifascismo in assenza di fascismo, così come la certezza assolutamente assodata, secondo i sostenitori neo-fascisti, che l’ideologia gender stia danneggiando la società femminilizzandola, trovando sostegno anche presso i culti più oscurantisti, come il cattolicesimo, sono parte della propaganda di minimizzazione del fenomeno del neo-fascismo, come se chiamandolo diversamente o non chiamandolo affatto, per magia cessasse di esserlo.
C’è anche un’altra ragione del perché oggi l’antifascismo si mostra ancora così forte. Questa ragione sta nel peso che hanno avuto le immagini nella rappresentazione del fascismo e del nazismo. Il XX secolo ha conosciuto uno sviluppo dell’immagine come mai in precedenza. La fotografia e la fotografia in movimento, ossia il cinema, mezzi modernissimi di rappresentazione, hanno lasciato delle testimonianze molto vive di ciò che è successo. Fa impressione vedere i filmati dell’epoca restaurati, a colori, perché rendono le azioni e i mostri che le hanno compiute assai più vicini di quanto possano essere percepite le stragi dei secoli precedenti, magari istoriate in dipinti e stampe o poemi, ma pur sempre rappresentazioni, filtrate dall’arte. Inoltre a distanza di poco meno di un secolo dal suo manifestarsi, vivono ancora persone che nel fascismo storico sono cresciute, gli ultimi testimoni di cos’è veramente stato. E la memoria storica vivente di un’atrocità è sempre una testimonianza di cui tener conto. L’orrore vissuto da milioni di persone potrà essere raccontato ancora per poco da anziani sopravvissuti. Ecco perché l’antifascismo è ancora potente e disturba i nuovi fascisti che non sanno cos’è stato il fascismo storico, avendolo idealizzato e fermato in un’icona pittoresca, decorativa e attraente in un periodo di confusione come l’attuale perché ricco di messaggi brevi e semplici, slogan facili da ricordare e assimilare, certezze appaganti di colpevolezze di persone che in realtà non hanno alcun legame col disastro commesso dal capitalismo novecentesco, anzi essendone vittime. La cosa ancora più ridicola è l’identificazione degli antifascisti coi comunisti. Antifasciste furono e sono le correnti politiche più diverse, anche comuniste, ma l’identificazione nel nemico comunista è assai più semplice per i neo-fascisti, sempre orientati ad avere uno o più nemici. Antifascismo è una categoria di pensiero, un mantenere viva la memoria affinché il fascismo e i suoi derivati non si ripetano. Questo dà enormemente fastidio.
Il ricordo del passato si è molto affievolito e la rimozione sta a poco a poco prendendo terreno. La fine del fascismo storico, necessariamente coincisa colla fine della Seconda Guerra Mondiale, è stata caratterizzata, oltre che da perdite umane incommensurabili, da immani distruzioni delle città italiane, non al livello totale delle città tedesche ma comunque impattante. I crateri delle bombe e le opere d’arte sbriciolate, chiese, palazzi, strade, sono stati presenti solo negli immediati anni della ricostruzione tranne che in una città che ha portato le ferite della guerra fino a poco fa. Ancora alcune vi resistono a imperitura memoria. Mentre a Milano, a Roma, a Firenze, a Genova, a Messina tutto è stato ricostruito dove possibile, le macerie sono state rimosse e il tempo ha ripreso a scorrere, a Palermo non è successo a breve scadenza. Io sono nato e cresciuto a Palermo e ho perennemente avuto sotto gli occhi i danni di quella guerra mondiale che il fascismo aveva causato: un altro elemento dei fascismi è il non rendersi conto che il “nemico” possa essere più forte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò. L’arte e la sua memoria, polverizzate dalla guerra, colle macerie umane che quest’ultima inevitabilmente si è portata dietro, sono state una costante della mia infanzia. Sull’esterno del monumentale Teatro Massimo, fino a prima del restauro, erano visibili gli enormi fori lasciati dalle schegge dei bombardamenti alleati. E io ci passavo spesso davanti. Mai più, mi dicevo. E come me se lo dicevano in tanti.
Oggi quelle ferite non si vedono quasi più e si stanno estinguendo le persone che potevano raccontare di aver vissuto quegli oscuri tempi in cui il mondo sembrava alla fine ed è anche per questo che il neo-fascismo ha fatto breccia nei più giovani che inneggiano al duce, perché non c’è nessuno che ricordi loro in famiglia o a scuola che cos’è successo veramente. Così quei vecchi slogan funesti sono stati rispolverati. Ed ecco perché un antifascismo o antineofascismo è assolutamente necessario, perché il fascismo non muore mai, è eterno, come dice Eco e come proclama instancabilmente ancora il vecchio Camilleri.
Le verità della contemporaneità, invece, pretendono di dire altro. Il neo-fascismo o il fascismo non esistono. Il razzismo non esiste. L’omofobia non esiste. La discriminazione semmai riguarda il non poter essere liberamente fascisti o neo tali, sempre additati come dei banditi. Ricorda una certezza di qualche tempo fa che faceva sorridere tutti i politici di una certa area di governo: la mafia? LA MAFIA? Ma non esiste! Quindi anche l’antimafia non ha ragione di esistere.
(2-fine)
© Massimo Crispi 2019
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