Diritti
Il corpo del reato
In meno di una settimana, lo spietato meccanismo dei social media ci ha riservato un filotto preoccupante di casi meritevoli di riflessione.
Partiamo con Pierfrancesco Majorino, assessore ai servizi sociali del Comune di Milano nonché possibile candidato del PD alle prossime europee. A me la sua crescente notorietà fa molto piacere, perché ne sono amico ed estimatore, ma evidentemente c’è chi la pensa diversamente (sempre che di “pensiero” nel caso specifico si possa parlare). Su Facebook è infatti apparso un meme con la foto dell’assessore in un dibattito televisivo accompagnato dalla scritta “Insulta Salvini nei social e si presenta in diretta per parlare del problema droga con la faccia sporca di cocaina”. Non mi sconvolge il fatto che non tutti al mondo sappiano che Majorino ha il baffo sinistro bianco fin da quando era ragazzino, ma anche in tal caso un attacco così surreale si spiega solo in due modi: o chi lo ha cogitato è notevolmente stupido o pensa che lo siano gli utenti dei social network. E, a leggere alcuni commenti, forse non sbaglia.
Rispetto a Giulia Sarti, parlamentare del Movimento Cinque Stelle, mi sento invece piuttosto distante sul piano politico. Umanamente, però, non si può che solidarizzare con una persona che sta subendo un reato grave come la diffusione di alcuni video realizzati nella propria intimità. Uso la parola reato perché sul tema c’è un po’ di confusione: per quanto non sia ancora stata approvata una legge specifica contro il fenomeno del “revenge porn”, diffondere materiale di questo genere è già contro le norme esistenti. Stupisce pertanto che diversi colleghi giornalisti scherzino con superficialità sulla condivisione di tali immagini via WhatsApp.
WhatsApp, Facebook e Instagram nella giornata del 13 marzo sono andati in tilt. O, come si dice nel gergo dei social, in “down”. Augusto Casali, 21enne sostenitore della Lega, in serata ha pubblicato un meme con la foto di tre bambini con la Sindrome di Down (piuttosto evidente sui loro volti) e la scritta “Facebook, WhatsApp e Instagram in questo momento”. Una battuta inaccettabile, stigmatizzata anche da Susanna Ceccardi, sindaca di Cascina e commissaria della Lega in Toscana, la quale oltretutto ha smentito il fatto che Casali fosse il Social Media Manager del suo partito nella Regione, come lui stesso pare avesse affermato. Casali si è poi scusato spiegando di voler fare dell’ironia, ma le contestazioni lo hanno costretto a cancellare i propri account.
Tempo due giorni e ne arriva un’altra, dello stesso tenore. In occasione della manifestazione del 15 marzo sull’emergenza-clima, Rita Pavone (evidentemente non paga dell’attacco a Eddie Vedder dei Pearl Jam sulla questione-migranti) twitta così a proposito di Greta Thunberg: “Quella ‘bimba’ con le treccine che lotta per il cambio climatico, non so perché ma mi mette a disagio. Sembra un personaggio da film horror”. Anche la cantante poi si scusa, spiegando che solo in seguito alle polemiche scatenate dal suo post ha scoperto che Greta ha la Sindrome di Asperger.
In fondo, però, questo non cambia granché le cose e – più che la gaffe di Rita Pavone – hanno un certo peso i commenti del senatore leghista Alberto Bagnai (che ha scritto “Lo è”) e dei molti che hanno associato l’immagine della 16enne candidata al Premio Nobel alle due gemelline del film “Shining”.
Il tratto comune a questi quattro episodi incresciosi è l’attacco verbale che si concretizza sul corpo della vittima di turno.
Il termine “body shaming” è stato coniato per indicare una forma di bullismo particolarmente diffuso negli ultimi anni e che consiste nel deridere il corpo di una persona attraverso i social network. Condotte del genere, evidentemente illegali, possono spingersi sino alle conseguenze estreme, causando nella vittima stati di grave depressione e persino inducendola al suicidio. Anche Tiziana Cantone ha scelto di togliersi la vita, dopo essere stata violata nella propria intimità con la diffusione di immagini che dovevano rimanere private.
A mio personale avviso, questa escalation contiene anche due ulteriori elementi di allarme. Come se la situazione non fosse già sufficientemente penosa.
Il fatto che nella contesa politica sia ormai diventato abituale assistere al linciaggio di chi viene considerato antagonista è l’indice di un imbarbarimento nel quale scende il livello del dibattito e sale quello dell’animosità. L’assuefazione a questi fenomeni può facilmente condurre a trasformare la metafora in realtà, passando dalla violenza verbale a quella fisica.
Il secondo aspetto che si ripresenta con una certa frequenza è il disprezzo verso chi si è macchiato della colpa della marginalità: che sia un disabile o un immigrato, un povero o (per alcuni poveri maschietti frustrati) una donna, in fondo cambia poco. Si sta sdoganando l’odio, che senza freni inibitori può condurci (nuovamente) nei peggiori abissi dell’essere umano. Sì, perché ogni volta che parliamo di comportamenti “disumani” in realtà ci nascondiamo la realtà: anche le aberrazioni peggiori vengono da una parte profondamente insita nella nostra natura, come meglio di me ha spiegato Massimo Recalcati nella sua lezione magistrale “Lo straniero interiore che preme alle frontiere”.
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