Diritti
Il Baró porrajmós, genesi di uno sterminio
Cielo rosso di sangue,/di tutto il sangue dei sinti/che a testa china e senza patria,/stracciati affamati scalzi,/venivano deportati/ perché innamorati della pace e della libertà/nei famigerati campi di sterminio./Guerra che pesi/come vergogna eterna/sul cuore dei morti e dei vivi,/che tu sia maledetta (Vittorio Mayer Pasquale “Spatzo”).
Tra il 1942 e il 1945 furono uccisi nei campi di sterminio nazisti dai duecentomila ai cinquecentomila rom, dati contestati, alcuni tendono al rialzo, altri al ribasso.
«Ma Hitler non ha fatto altro che attuare in pochi anni quanto in Europa occidentale si tentava di fare da secoli e per motivi che la razziologia “scientifica” ora indicava: liquidare completamente gli zingari (oltre ad altri, certo), per il bene dell’Europa. O degli ariani» [1].
Va dunque sempre ricordato (e non sempre viene fatto) che le premesse dello sterminio in Germania risalgono a ben prima della sua esecuzione con il regime nazista.
Tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento venne organizzato un ufficio di polizia apposito “contro la piaga zingara” (Zigenuneurplage), informato a teorie lucidamente razziste. È del 1905 la pubblicazione dello ZingeunerBuch di Alfred Dillmann, direttore di questo ufficio, per rendere sistematica la raccolta di dati relativa all’identificazione e alla provenienza dei vari gruppi di rom presenti sul suolo tedesco.
Quanto all’Italia, l’ordine del capo di polizia fascista Bocchini, che diede l’avvio alla pulizia etnica di rom e sinti in Istria fu firmato il 17 gennaio 1938, e dunque precedente al Decreto sulla lotta alla piaga zingara del regime nazista, firmato da Himmler l’8 dicembre 1938.
L’Italia fu un ingranaggio centrale di quanto ha originato la Shoah e anche il Baró porrajmos (il “grande divoramento”). Anche lei ebbe la sua scienza razziale contro le minoranze sinte e rom che portò alla persecuzione, all’internamento e alla deportazione in Germania di uomini, donne e bambini allora residenti del Regno d’Italia.
Liliana Segre, nominata senatrice a vita dal presidente Mattarella nel suo discorso del 6 giugno 2018 così si è presentata: «Una vecchia signora, una persona tra le pochissime ancora viventi in Italia che porta sul braccio il numero di Auschwitz».
E così ha continuato: «Nei campi di sterminio altre minoranze, oltre agli ebrei, vennero annientate. Tra queste voglio ricordare oggi gli appartenenti alle popolazioni rom e sinti, che inizialmente suscitarono la nostra invidia di prigioniere perché nelle loro baracche le famiglie erano lasciate unite; ma presto all’invidia seguì l’orrore, perché una notte furono portati tutti al gas e il giorno dopo in quelle baracche vuote regnava un silenzio spettrale. Per questo accolgo con grande convinzione l’appello che mi ha rivolto oggi su “la Repubblica” il professor Melloni. Mi rifiuto di pensare che oggi la nostra civiltà democratica possa essere sporcata da progetti di leggi speciali contro i popoli nomadi. Se dovesse accadere, mi opporrò con tutte le energie che mi restano».
[1] Piasere, I ROM D’EUROPA, Laterza, p. 59
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