Diritti
“Il bambino prima di tutto”: cosa dice la sentenza sulla gpa
La madre non genetica non può essere disconosciuta ma neanche riconosciuta automaticamente. Il Tribunale dei minori, caso per caso, deve svolgere «un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano derivare sulla posizione giuridica del minore».
È quanto stabilito da una sentenza (n. 272) della Corte Costituzionale, resa pubblica oggi, con la quale la Corte afferma – pronunciandosi per la prima volta in materia – che un giudice chiamato a decidere sull’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale concepito per mezzo della maternità surrogata è sempre tenuto a valutare l’interesse alla verità e l’interesse del minore in egual misura.
«Pur dovendosi riconoscere un accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà della procreazione, va escluso che quello dell’accertamento della verità biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento» – dice la sentenza. Dunque «la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell’identità personale del minore». Ma essa, nel «definirne il contenuto», «concorre insieme ad altre componenti».
La sentenza arriva a seguito della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’appello di Milano sull’articolo 263 del Codice civile, «nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità del figlio minorenne possa essere accolta solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del minore stesso».
Il fatto da cui è scaturito il ricorso coinvolge una coppia affetta da infertilità che si è recata all’estero, in India, e ha usufruito della maternità surrogata. Con il materiale genetico del marito e un utero in affitto, infatti, è nato un bambino che è stato in seguito riconosciuto come figlio naturale della coppia.
L’Ufficiale dello Stato Civile di Milano, vista la richiesta di trascrizione del certificato di nascita in Italia, ha però segnalato alla Procura della Repubblica il sospetto ricorso alla maternità surrogata, e ha sospeso il procedimento. Il Tribunale dei minori di Milano ha così aperto un procedimento per dichiarare adottabile il bambino, ma nel frattempo la coppia si è vista accogliere la richiesta di trascrizione del certificato di nascita, così il bimbo risultava figlio loro.
Il Tribunale dei minori di Milano in seguito ha dichiarato però nullo il riconoscimento effettuato dalla donna (perché non madre biologica), nominando un curatore speciale del minore. La donna ha allora fatto ricorso contro la decisione, e la Corte d’appello di Milano nel 2016 si è rivolta alla Corte costituzionale perché valutasse la costituzionalità del “divieto assoluto di riconoscere i bambini nati con la surrogata”. Il bambino comunque non è stato dichiarato adottabile essendo verificata, in base al test sul DNA, la paternità biologica del padre.
Non prevedendo alcun riferimento all’interesse del minore, l’articolo 263 del Codice civile per la Corte d’Appello di Milano era sospettato di incostituzionalità. La Corte Costituzionale oggi però ne ha negato l’incostituzionalità. La norma dice che «il riconoscimento può essere impugnato», non “deve”.
L’interesse del minore, secondo quanto si legge nella sentenza n. 272, di cui è relatore Giuliano Amato, non è mai cancellato, anche quando, «il legislatore impone l’imprescindibile presa d’atto della verità, con divieti come quello della maternità surrogata».
Nel silenzio della legge, continua la sentenza, la valutazione del giudice è più complessa e tra le cose di cui bisogna tenere conto, «oltre alla durata del rapporto con il minore e, quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione» e la possibilità per il genitore sociale di stabilire, attraverso l’adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un’adeguata tutela. Il giudice, però, deve continuare a tenere conto dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, che «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».
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