Diritti

I nuovi paladini della «Questione morale» sarebbero Maroni, Amicone e Formigoni?

19 Gennaio 2015

C’è persino da confortarlo il povero Amicone, direttore di Tempi, quando gli tocca la fatica di spiegare la presenza in sala di un pedofilo (fu) intonacato al quale la Chiesa ha intimato di posizionarsi a non meno di 4-500 metri da qualsiasi ragazzino e che al suo convegno sulla difesa della famiglia tradizionale, con orgogliosa deriva sul “disagio” omosessuale, sedeva fieramente in seconda fila, appena sopra il cremoso parterre composto da Maroni, Cattaneo e Formigoni, come dire com’era bella la Lombardia quand’era bella. Il bravo direttore ci spinge a vederla molto meglio di come appare e paradossalmente come danno inferto proprio a lui e a tutti i santi che affollavano la sala: «Mi pare che non ci volesse un genio – dice Luigi Amicone – per capire che se si voleva ferire la giornata di sabato, quello era il modo: presentarsi nelle prime file». Dopodiché non migliora la situazione, nel momento in cui per illustrare le bellezze della democrazia partecipativa oppone il casellario giudiziario che alla voce (ex) don Mauro Inzoli sarebbe immacolato: «È un libero cittadino – s’impegna Amicone – e non mi risulta che abbia restrizioni alla circolazione da parte della giustizia italiana».

Scendendo ancora di qualche gradino (sembrerebbe impossibile, ma lui può) e molto più di un comico, si addestra alla bisogna Marietto Adinolfi, la cui reazione è spostare la questione in un altrove siderale, così da confondere le questioni in un mulinello di acquasantiere: «La pedofilia mi fa schifo. Detto questo – ci racconta il direttore de “La Croce” – chiederei un minimo di equanimità al prossimo congresso dei radicali con Mambro e Fioravanti. Tranquilli, nel loro caso non dovete neanche fare la fatica di fare lo screening di ogni singola faccia del pubblico. Loro parlano dal palco». Non vi è nemmeno la necessità forzosa di conoscere la storia radicale, questa è una pirlata per una pirlata a cui Adinolfi ha dato piena rappresentazione.

Ma comunque ha ragione Amicone: la presenza di un pedofilo riconosciuto dalla comunità cattolica non aiuta. Né Tempi né i suoi santi, e neppure le persone che hanno visto in quel convegno qualcosa di vagamente retrivo. Quindi teniamocene fuori perché non sono polemiche onorevoli. Restiamo al convegno che è andato benissimo e molto oltre le più rosee aspettative. Doveva essere un anonimo sabato – la convegnistica è per definizione pallosa e inutile – e si è rivelato il centro di tutte le attenzioni, mediatiche e politiche. A vederla in positivo, cioè attribuendo la massima buona fede a chi lo ha impastato, ci sarebbe da concludere che i soliti maligni oppositori, con l’aiuto dei soliti intolleranti, abbiano fatto scoppiare una questione ben oltre le intenzioni degli organizzatori. Nel senso che al termine di una giornata infuocata è passato il messaggio che questi signori in giacca e cravatta (con patrocinio della Regione) un’aggiustina alle puntine degli omosessuali la darebbero volentieri. Se ciò è successo, e l’immagine finale in effetti è un po’ questa, allora bisognerà concludere che la preparazione culturale, sociale e civile dei partecipanti non è stata (non era) all’altezza della situazione, al punto da padroneggiare la materia in maniera così maldestra, da farsela “scippare” da sedicenti guastatori. Questa è una visione forse la più ingenua, ma non sarebbe onesto non inserirla tra quelle possibili.

Poi ci sarebbe la rappresentazione meno rassicurante, l’idea cioè che tutti coloro che hanno immaginato l’evento «Difendere la famiglia per difendere la comunità» volessero esattamente trasferire quei sentimenti di ostilità diffusa. Sarebbe abbastanza semplice, persino scontato, mettere «Obiettivo Chaire» sotto una lente di osservazione, ma senza la necessità di interpretare chissà cosa, semplicemente mettendo in fila le i contenuti del loro sito. Prendiamo ad esempio “Le radici del lesbismo”, dove si premette che le questioni sono “trattate a grandi linee” (sic). Quattro gli elementi fondamentali, ci dicono.

«1) Un legame conflittuale, distaccato o disturbato con la madre e mancanza di un sostituto materno che genera il bisogno di un legame saldo»

2) Una carenza di rispetto e/o protezione da parte degli uomini, spesso sotto forma di abuso sessuale o rigidi ruoli di genere che genera paura o odio verso gli uomini».

3) Mancanza o scarsità di amiche intime durante l’adolescenza che genera il bisogno di appartenenza e divertimento.

4) Un senso di vuoto e di perdita invece di un pieno e ricco senso di sé come essere femminile che genera il bisogno di un’identità di sé e di genere».

Il corposo paragrafo si conclude in maniera assolutamente straordinaria sotto il titolo «Un’efficace terapia per la cliente lesbica. Ve ne dispensiamo solo un paio di righe significative: «Il lavoro con la cliente lesbica richiede una fatica a lungo termine che può esaurire le forze, ma che può anche essere ricompensata se la cliente è fortemente motivata a cambiare».

Vi saranno sufficientemente chiari i toni da ospedale da campo di «Obiettivo Chaire» e dunque è inutile infierire. E non è neppure il fine della riabilitazione omosessuale a dare scandalo. Lo scandalo di quel convegno è ben altro e sta tutto nell’esercizio di una primazia morale rispetto a mondi che si crederebbero diversi e fallibili. L’esercizio di una difesa della specie liberamente espressa, non si sa a quale titolo, da Roberto Maroni, da Luigi Amicone, da Roberto Formigoni, da Raffaele Cattaneo, da una classe politica che si fa esercito della salvezza in nomi di valori di cui essi stessi sarebbero paladini.

L’ultimo che ha parlato di «questione morale» con un certo spessore è stato Enrico Berlinguer. Tra i signori sopraccitati non scorgiamo epigoni.

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