Costume
I colori dell’umano
Il nostro sguardo indossa sempre degli occhiali: guardiamo gli altri, le cose, il mondo, attraverso le lenti delle credenze, dei simboli, delle rappresentazioni sociali, dell’immaginario.
Culture diverse, lenti diverse, percezioni diverse di una stessa realtà.
Le lenti che indossiamo sono invisibili, ma agiscono continuamente, a nostra insaputa. Immaginate una zebra: gli occidentali vedono un animale a strisce nere, gli africani vedono un animale a strisce bianche; gli uni partono dal presupposto (la lente) che la zebra abbia il manto bianco, gli altri da quello che la zebra abbia il manto nero. Per i curiosi: ricerche genetiche hanno dimostrato che le strisce della zebra sono bianche su fondo nero.
Le categorie con cui interpretiamo il mondo si formano all’interno di contesti sociali e storici e perciò vanno messe in questione di tanto in tanto, per essere aggiornate, riviste. Vanno cambiate se i contesti mutano. Tutto questo però avviene lentamente e a volte con grandi difficoltà se non addirittura conflitti, soprattutto quando il nuovo che avanza non è espressione della forza egemonica del momento, ma anzi è un che di emergente, minoritario, o addirittura marginale.
Le categorie ‘non aggiornate’ sono degli stereotipi.
In materia di diversità e di inclusione le categorie che dobbiamo aggiornare sono tante.
Cristina e Giuditta lavorano insieme. Aiutano i loro clienti a tirar fuori il corpo, la voce, l’emozione che si nasconde dietro ai loro brand. Cristina è una narratrice, Giuditta è esperta in strategie di progettazione, insieme costruiscono storie per condurre al successo il business dei loro clienti. Un mese fa sembrava un giorno di lavoro come tutti gli altri: impegnate sullo storytelling di una grossa azienda alternavano qua e là divagazioni sul meteo, i capelli, le notizie dell’ultima ora, come è solito farsi tra colleghe. Tra una chiacchiera e l’altra Giuditta mostra dal suo cellulare il vestito che si era comprata da poco.
– Sotto dovresti metterti un reggiseno color carne, le consiglia Cristina.
Giuditta si mette a ridere e contemporaneamente Cristina porta precipitosamente la mano sulla bocca come a fermare ciò che oramai è già scappato via, sul suo viso una smorfia di disagio.
Giuditta è nata in Brasile a Bahia e quando ha un mese di vita arriva in Italia. Ha una chioma folta, riccia e nera e la pelle scura.
Non c’è specchio che possa svelarci gli occhiali che indossiamo, l’unico modo per vederli è incontrare lo sguardo dell’altro diverso da noi.
L’imbarazzo tra Cristina e Giuditta svela le lenti e accende in loro il bisogno di fare qualcosa. Si documentano e scoprono che i dizionari italiani, anche quelli più blasonati, definiscono il color carne come il colore rosa pallido simile a quello della carne umana.
L’essere umano è dunque rosa pallido e il ‘color carne’ è il colore della pelle dell’essere umano.
L’espressione ‘color carne’ non è solo l’indicazione di un colore, ma un’idea di umano che individua nella pelle bianca lo standard.
Contro questo stereotipo Cristina Maurelli e Giuditta Rossi lanciano la loro formidabile campagna di advocacy: “Cambiamo colore al color carne, da rosa a tutti i colori dell’umanità!”.
Da un mese a questa parte il loro progetto viene diffuso e condiviso sui social e invita tutti quanti noi a porci delle domande, a prendere posizione, a “sfidare lo standard” e “cambiare la percezione del color carne”, come scrivono le due creative.
Invitano gli editori a modificare i dizionari, i brand che utilizzano questa dicitura per i loro prodotti a usarne un’altra. Hanno già cominciato ad avere i primi riscontri che puntualmente stanno annotando e comunicando attraverso tutti i canali di ‘Color carne Project’ (sul sito colorcarne.it, facebook e instagram), pare che anche il prestigioso Devoto-Oli abbia comunicato che si impegnerà ad inserire una avvertenza per le prossime edizioni del dizionario italiano.
La pelle è il principale elemento per cui si subisce discriminazione e atti di razzismo. E questo accade esponenzialmente di più se la tua pelle è nera.
Da dove vieni? Non sei italiano…
E quale è il colore dell’italiano? Il bianco? Fino a quale tonalità limite si è bianchi? E neri? E gialli? Quante sono le sfumature della pelle?
Esattamente dieci anni fa la fotografa e attivista brasiliana Angelica Dass lanciava l’idea di catalogare tutte le possibili tonalità della pelle umana perché “viviamo in un mondo in cui il colore della nostra pelle non segna solo la nostra prima impressione, ma quella definitiva” aveva dichiarato. Cominciò così a realizzare il suo progetto “Humanae”, un work in progress che continua ancora oggi. Il progetto consiste nel trovare persone di differenti generi, etnie ed età disposte a farsi scattare una foto-ritratto su sfondo bianco. Successivamente lei individua sulla foto un quadrato di undici pixel della pelle del soggetto, ne rileva la tonalità di colore e con essa colora lo sfondo bianco della foto-ritratto. Infine cerca nel Catalogo dei colori denominato ‘Pantone’, utilizzato in ambito industriale, la specifica tonalità di pelle che ha rilevato, assegnando il codice di classificazione corrispondente. Il risultato è una galleria di volti di esseri umani, con la loro tonalità di pelle, catalogata e dunque ben identificata. Tantissime sfumature di pelle che hanno un ‘nome’, seppur alfanumerico, che le indica e le fa esistere.
“La scelta di utilizzare i colori Pantone – spiega la Dass – è scaturita proprio dalla necessità di precisione; i loro codici alfanumerici, infatti, permettono di rappresentare i colori con esattezza, senza possibilità di distorsione né da parte dei dispositivi di riproduzione né dall’occhio umano, così spesso influenzato dai pregiudizi della mente”. Dai primi 200 ritratti che realizzò all’avvio del progetto oggi è arrivata a fotografare, come si legge sul sito angelicadass.com/photography/humanae/, ben 4000 volti di altrettanti partecipanti provenienti da 36 città di 20 differenti Paesi del mondo: Arteixo, Madrid, Barcelona, Getxo, Bilbao and Valencia (Spain), Paris (France), Bergen (Norway), Winterthur, Chiasso (Switzerland), Groningen, The Hague (Netherlands), Dublin (Ireland), London (UK), Tyumen (Russia), Gibellina, Vita (Sicilia, Italy), Vancouver, Montreal (Canada), New York, San Francisco, Gambier, Pittsburgh and Chicago (USA), Quito (Ecuador), Valparaíso (Chile), Sao Paulo and Rio de Janeiro (Brazil), Córdoba (Argentina), New Delhi (India), Daegu (South Korea) Wenzhou and Shanghai (China), Ciudad de México, Oaxaca (Mexico) and Addis Abeba (Ethiopia).
Sia il progetto ‘Humanae’ che il progetto ‘Color carne’ ci invitano a cogliere la gamma di tonalità che può assumere la pelle degli esseri umani, ci invitano a mettere in discussione le generalizzazioni e l’advocacy che riescono a generare ha una valenza educativa.
Il nostro sguardo sul mondo e sugli altri non può che essere e rimanere uno ‘sguardo culturalizzato’ ma è proprio qui che comincia il bello: provare ad esserne perfettamente consapevoli, cercare di capire quali occhiali stiamo indossando ogni volta. Quando li riusciamo a vedere possiamo giocarci: provare a modificarli, a metterci quelli dell’altro e vedere cosa cambia, scambiarceli, provare a costruirne insieme di nuovi.
Così affiniamo il nostro punto di vista e possiamo riconoscere più facilmente e rapidamente i nostri stereotipi. Le cose di sempre ci appariranno anche nuove e quelle diverse e ignote saranno un invito per la nostra curiosità e voglia di scoprire.
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