Diritti
Guerra nei Balcani: confermato ergastolo per il boia di Srebrenica
Ratko Mladić condannato in maniera definitiva all’ergastolo dal Tribunale dell’Aia per genocidio e crimini contro l’umanità durante la Guerra dei Balcani 1991/95.
Per la Corte d’Appello non c’è stato alcun errore nella sentenza di Primo Grado del 22 novembre 2017 presieduto da Prisca Matimba Nijambe, e neanche nessun errore nel procedimento.
Partecipazione al genocidio di Srebrenica, persecuzione, sterminio, omicidio, deportazione, trasferimento forzato di popolazione, terrore della popolazione, attacchi illegali a civili e presa di ostaggi, sono i dieci capi d’imputazione che inchiodano il Boia di Srebrenica.
Tuttavia la Corte d’Appello non ha accolto il ricorso dell’accusa secondo cui Mladić sarebbe stato dichiarato colpevole di genocidio in altri sei comuni della Bosnia-Erzegovina – Sanski Most, Vlasenica, Foča, Kotor Varoš, Ključ i Prijedor – per il quale è stato assolto in primo grado.
Poco convincente l’affermazione di Mladić secondo cui il suo obiettivo fosse stato quello di evacuare la popolazione civile da Srebrenica per scopi umanitari, e inoltre è stato constatato che l’allontanamento di donne, bambini e uomini anziani musulmani si sia svolto contro la volontà degli stessi e perseguito con violenza.
Come in Primo Grado anche per quanto riguarda l’assedio di Sarajevo, l’Appello ha ritenuto che lo scopo fosse quello di terrorizzare la popolazione della città.
Ratko Mladić era presente in tribunale nonostante le voci che lo avrebbero voluto assente nel momento del verdetto.
È interessante notare che il 3 giugno 2011 l’imputato ha rifiutato di dichiararsi colpevole durante la sua prima apparizione davanti alla corte. Ha ribadito la sua innocenza anche un mese dopo, quindi in conformità con le norme giuridiche, è stato registrato nel file accanto al suo nome che non si sentiva in colpa. Il processo dunque è iniziato con la memoria introduttiva dell’accusa il 16 maggio 2012.
Il tribunale dell’Aia ha presentato la prima accusa contro Mladić nel novembre 1995.
Latitante fino al maggio del 2011 è stato arrestato nel villaggio di Lazarevo vicino a Zrenjanin ed estradato all’Aia.
Le famiglie delle vittime, il Tribunale e la comunità internazionale accolsero con favore il suo arresto, prezzo da pagare secondo i nazionalisti serbi per entrare nel percorso di annessione all’Unione Europea. L’allora presidente della Serbia Boris Tadić affermò che la nazione aveva rimosso una macchia dal suo nome.
Prima di essere recluso a Scheveningen nel 2011, i media di Belgrado ricordano che Mladić è sopravvissuto a tre ictus, e durante la sua detenzione è stato più volte operato ed è stato sottoposto a numerose ed estenuanti terapie. Nel 2013, ha persino ringraziato il Tribunale per avergli salvato la vita.
A nulla sono valsi i tentativi della difesa che ha più volte sottolineato la caducità della salute del suo assistito, e del rischio di un ictus fatale.
I rapporti dei medici legali hanno da sempre affermato uno stato di salute soddisfacente e sotto controllo, e anche assicurato tutte le cure mediche necessarie durante il fine pena mai.
Un piccolo incidente è avvenuto negli spazi adiacenti all’aula durante l’incontro per la sentenza che ha visto protagonisti le due fazioni in conflitto: un certo Dragan Todorović ha esposto due piccoli striscioni a sostegno di Mladic, dopo di che gli si è avvicinato Nihad Aličković dell’associazione “Anti-Dayton”, che ha rubato i suoi striscioni ed è scoppiata una lite.
Non è da negare che la Serbia è divisa in due per l’esito della sentenza, ancora troppo forti i nazionalismi che come allora animarono gli odi e le violenze
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